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Tag: nicola picerno

The Darkness “Motorheart” (Cooking Vinyl, 2021)

Rock stravagante

Easter Is Cancelled, pubblicato nel 2019, è diventato il quarto disco nella Top 10 della band inglese, ottenendo ottime reazioni da fan e critica musicale; due anni dopo, The Darkness tornano in scena con Motorheart. Possiamo notare, già osservando la coloratissima copertina, come la stravaganza sia ormai una peculiarità, un marchio di fabbrica dei nostri. Ma riusciranno anche stavolta ad unire in modo equilibrato stravaganza e qualità musicale?

Il primo brano della tracklist, Welcome Tae Glasgae, è parecchio carico. È chiaro, nulla di innovativo, le solite cavalcate di chitarra affiancate da acuti incredibili in puro stile Rock anni ’70, certo, ma questo mix funziona sempre, almeno con The Darkness. E in realtà l’intero album non rivelerà chicche o soprese, ma manterrà un tiro piuttosto costante. Alcuni brani sembrano essere perfetti per essere riprodotti durante un viaggio in auto, magari soprattutto in questo periodo autunnale, altri invece una sana carica preallenamento, come ad esempio la title track, con il suo riff di chitarra che ricorda le sonorità tipiche mediorientali, e Nobody Can See Me Cry. Molto suggestiva la mid-tempo Sticky Situations, che spezza l’album prima degli ultimi brani. Eastbound si rivela il pezzo dal timbro più classico, dal ritmo preciso e adrenalinico. Difficile non notare in alcune parti i tratti distintivi dei più grandi pezzi Rock di fine anni ’70 e inizio anni ‘80, in particolar modo quelli degli Asia. Più variegata e ispirata è Speed Of The Nite Time, che chiude il disco in bellezza.

Tirando le somme, Motorheart è il tipico album Glam Rock senza fronzoli che ci si può aspettare da una band come The Darkness. Una band che ormai sa il fatto suo e soprattutto sa cosa cercano i propri fan. Qui troviamo infatti belle atmosfere, chitarre pesanti, voci che più pulite e acute non si può, ma anche stravaganza e divertimento. Un album che senza dubbio non deluderà, ma che non raggiunge minimamente i livelli del precedente e sembra essere parecchio sottotono.

 

The Darkness

Motorheart

Cooking Vinyl

 

Nicola Picerno

Ice Nine Kills “The Silver Scream 2: Welcome To Horrorwood” (Fearless Records, 2021)

Il quartiere dell’orrore

Abbiamo imparato bene a conoscere gli Ice Nine Kills, soprattutto negli ultimi anni e soprattutto dopo la pubblicazione di The Silver Scream, nel 2018, che li ha portati davvero in alto tra i gruppi appartenenti al panorama Post-Hardcore. La band di Boston, tre anni dopo, è pronta a deliziarci ancora con un nuovo album, che rappresenterebbe la seconda parte di The Silver Scream, intitolato Welcome To Horrorwood. Una sorta di sequel quindi, come da tradizione nel mondo delle opere horror, secondo quanto afferma il frontman Spencer Charnas.

È l’artwork della copertina, cupo e meraviglioso, ancora una volta realizzato magistralmente dall’artista Mike Cortada, l’elemento che ci trasmette le prime sensazioni. Anche questa volta, l’idea è quella di trasportare l’ascoltatore in un mondo abitato dagli assassini delle più famose opere, scritte o cinematografiche, del genere horror. Un esempio è il primo singolo pubblicato dai nostri, Hip To Be Scared, in cui vediamo la partecipazione di Jacoby Shaddix dei Papa Roach, che omaggia il celeberrimo film American Psycho, tratto dal romanzo di Bret Easton Ellis. Ricordiamo che gli Ice Nine Kills, già in The Silver Scream, omaggiarono infatti numerosi film dell’orrore, come Friday the 13th, It e Halloween, per ricordarne alcuni. 

Anche lo stile musicale non varia, e menomale. La maturazione artistica della band, comunque, col passare del tempo, si avverte. Il sound di base è quello tipico del Post-Hardcore e riprende band come We Came As Romans, Saosin, A Day To Remember e i primi Emarosa. Gli Ice Nine Kills, però, si dimostrano bravissimi nell’aggiunta di elementi che possano contraddistinguerli. Ciò che richiama subito l’attenzione dell’ascoltatore sono le veloci e impetuose cavalcate di batteria, unite a scream infernali e una piacevolissima componente gotica data dall’uso, in più casi, di violini e tastiere. Impressionanti alcuni passaggi in vero e proprio stile Deathcore presenti, ad esempio in Funeral Derangements, contornata da rapidi riff di chitarra e growl gutturali. 

Oltre al featuring di Jacoby Shaddix di cui si è parlato prima, Welcome To Horrorwood ci regala la crudissima Take Your Pick, con nientemeno che Corpsegrinder dei Cannibal Corspe. A seguire, The Box, che vede la partecipazione di Brandon Saller degli Atreyu e Ryan Kirby dei Fit For A King, un’accoppiata assurdamente grandiosa. L’ultimo featuring è quello di Buddy Nielson dei Senses Fail in F.L.Y.

Traendo le somme, Welcome To Horrorwood si rivela un album pazzesco e dominante, pieno di sorprese e musicalmente variegato, parecchio oserei dire. Gli Ice Nine Kills ci regalano una vera chicca e non potevano farlo in un periodo migliore. Del resto, ottobre è il mese dell’orrore, no? Beh, ecco la colonna sonora per vivere al meglio questo periodo da paura!

 

Ice Nine Kills

The Silver Scream 2: Welcome To Horrorwood

Fearless Records

 

Nicola Picerno

Destroy Boys “Open Mouth, Open Heart” (Hopeless Records, 2021)

Carattere Californiano

Le Destroy Boys sono una band Punk Rock tutta al femminile, originaria della California, più precisamente di Sacramento, e diciamo che il loro nome è tutto un programma. Loro distruggono, ma tutto eh. Il loro sound non è così innovativo o speciale, ma vi assicuro che sa spiccare. Le ragazze californiane uniscono stili appartenenti a vari sottogeneri del Punk, rendendo così i loro album davvero dinamici, cangianti e mai noiosi. L’ultima fatica, intitolata Open Mouth, Open Heart, è una vera chicca. 

La prima traccia ci proietta immediatamente nel mondo delle Destroy Boys, parecchio influenzato da quella che, se vogliamo, è stata una delle maggiori correnti del Punk Rock, ovvero quella di scuola americana di fine anni Novanta e inizio Duemila. Nei brani dell’album c’è una nota malinconica che ricorda esattamente quei tempi, i fan del genere sicuramente la coglieranno. Ma c’è un’altra componente, assolutamente fondamentale, che caratterizza queste ragazze: l’aggressività californiana, unica nel suo genere. Se non avete ben chiaro di cosa sto parlando, beh, pensate ai Suicidal Tendencies. È un carattere innato, che dona ai brani quella grinta in più, riconoscibile soprattutto in Locker Room Bully, Te Llevo Conmigo, con strofe mid-tempo che la rendono fantasticamente poliedrica, e For What. Muzzle invece è una totale mazzata sui denti: riff molto Hardcore, ritmo veloce, circolare e volutamente ripetitivo che ti lascia senza fiato per tutto il minuto di durata del pezzo, anche questa una scelta tipica del genere. Se Sweet Tooth ricorda veramente tanto band come i Distillers, capitanati dalla fantastica Brody Dalle, ascoltando Escape non si può non pensare ai Blink-182. Una menzione d’onore va indubbiamente fatta a Lo Peor, dal sound latineggiante, e All This Love, due down-tempo meravigliose che fanno sognare un indimenticabile giro in moto al tramonto sulle grandi strade californiane. 

Insomma, le Destroy Boys sanno il fatto loro e ci regalano un full-length bellissimo. Open Mouth, Open Heart è un album ricco, sia di emozioni sia di stili musicali. L’ascoltatore compirà un viaggio attraverso il Punk e la cultura musicale californiana, al limite del dualismo, tra impetuosità e pacatezza.

 

Destroy Boys

Open Mouth, Open Heart

Hopeless Records

 

Nicola Picerno

Spiritbox “Eternal Blue” (Rise Records, 2021)

Melodia furiosa

Gli Spiritbox, band canadese originaria dell’isola di Vancouver, nella Columbia Britannica, attiva dal 2016, sono pronti a dare al pubblico il loro primo full length, intitolato Eternal Blue. Ormai si sa, nei sottogeneri del Metal più moderno, soprattutto nel MetalCore, è spesso difficile spiccare ed è abbastanza comune che varie band, anche se con background completamente diversi e luoghi di provenienza più vari, possano risultare simili tra loro e che, soprattutto nei ritornelli, ci comunichino qualcosa di “già sentito” rischiando di restare nell’anonimato. Per questo, gli Spiritbox hanno sempre cercato di farsi strada nell’originalità, provando a distinguersi attraverso quello che è diventato il loro punto di forza, ovvero l’alternanza di leggerezza e pesantezza nel sound. 

Questa dualità che caratterizza la band canadese è facilmente riconoscibile già nei primi due brani presenti nell’album, Sun Killer e Hurt You. Infatti, se la prima mostra un animo più sinfonico, magari ricordando a tratti anche band come gli Evanescence ma dal carattere più moderno, la seconda resta più ancorata ai canoni del MetalCore, con chitarre e bassi pesanti affiancati ad uno scream aggressivo alternato al ritornello melodico con voce pulita. La terza traccia, Yellowjacket, presenta una grande sorpresa per gli amanti del genere, ovvero un featuring con una delle voci più potenti e importanti nel panorama Core, quella di Sam Carter degli Architects. Un brano carico e incredibile, in cui il contributo dato da un artista come Carter è più che palpabile e dove a fare da padrone è proprio lo scream di quest’ultimo, arricchito dai cori emozionali tipici del MetalCore che ricordano molto band come i Parkway Drive.

La fantastica frontwoman Courtney LaPlante ci delizia per tutta la durata dell’album con la sua voce armoniosa e piacevole, il cui apice si manifesta nella meravigliosa Secret Garden e nel brano di chiusura, Constance, solenne e introspettiva. 

Cosa dovrebbe aspettarsi dunque l’ascoltatore da Eternal Blue? Sicuramente un album molto valido, assolutamente non scontato e sentimentale, a tratti commovente. Gli Spiritbox mostrano dunque una combo vincente che sono sicuramente in grado di gestire, dimostrandosi capaci e maturi nonostante questo sia il loro primo full-length. Una band, quindi, che avrà tanto da dire nel panorama MetalCore.

 

Spiritbox

Eternal Blue

Rise Records

 

Nicola Picerno

The Raven Age “Exile” (EX1 Records, 2021)

Corvi d’Autunno

È in arrivo l’autunno (finalmente, aggiungerei) e le giornate calde e soleggiate iniziano a lasciare spazio al cielo grigio e piovoso. Ora ditemi, cosa c’è di meglio, con questo meteo, che rilassarsi sul divano, bere un caffè caldo ascoltando musica rilassante? Beh, The Raven Age ci hanno proprio preso in pieno. Quest’ultima loro fatica infatti consiste in una raccolta di brani acustici, tra cui due nuovi pezzi inediti, cinque tracce scelte da Conspiracy, album del 2019, riarrangiate in chiave acustica appunto, e quattro live registrati in Cile, Canada, Regno Unito e Stati Uniti.

Ad introdurre Exile c’è la meravigliosa No Man’s Land, uno dei due pezzi inediti, in cui il vocalist Matt James ci delizia con la sua voce graffiante attraverso una power ballad molto anni ’80, ma allo stesso tempo originale e moderna, dal ritornello catchy ed emozionante. A seguire, troviamo già il secondo inedito, Wait For Me, che sembra essere scritto per calzare perfettamente in un live: ritornello diretto, struggente, chitarre imponenti ma melodiche. Un brano davvero affascinante. Ed ecco che arriviamo alle tracce scelte da Conspiracy, un album parecchio amato dai fan della band londinese. A quanto pare infatti, si tratterebbe di brani fan-favorite, chiaramente in versione acustica. Per la precisione, troviamo Fireflies, As the World Stood Still, A Look Behind the Mask, Dying Embers e Hold High the Fleur De Lis. Si sa, quando una canzone Metal viene riarrangiata in chiave acustica è sempre un’emozione che, certo, spesso può essere negativa, perché c’è sempre quella paura che si rovini qualcosa, ma poi va a finire che quella canzone che ami tanto diventa ancora più emozionante e ti entra ancora di più nel cuore. Questi riarrangiamenti sono davvero benfatti e funzionano, c’è poco da dire. Sicuramente accompagneranno l’autunno e, successivamente, il lungo inverno di molte persone, che non vedranno l’ora di poterle cantare anche dal vivo. 

Concludendo, The Raven Age si dimostrano una band ormai capace e matura, che non solo sa creare ballad incantevoli e originali, ma sa anche trasformare brani che ormai sono un must nelle loro scalette live in incredibili chicche acustiche. La band, inoltre, indovina il periodo dell’anno più azzeccato per una release del genere e questo darà sicuramente ad Exile un sapore ancora più intenso.

 

The Raven Age

Exile

Explore1 Music Group/EX1 Records

 

Nicola Picerno

Sleep Walker “Alias” (UNFD, 2021)

Simulazione o Realtà?

 

Alias, questo è il nome del secondo full-length degli Sleep Waker, che segue l’EP di debutto Lost in Dreams del 2017 e l’album di esordio Don’t Look at the Moon del 2018. Ho avuto la possibilità di ascoltarlo e recensirlo in questo caldo pomeriggio di luglio, pronto a vivere quella particolare energia che il Metal-Core riesce sempre a sprigionare.

Con i due lavori precedenti, siamo stati abituati a pensare agli Sleep Waker come una band dal sound non troppo originale, ma comunque deciso e penetrante. Una malinconia di fondo che si unisce a breakdown cattivi e massicci. Un’atmosfera che a tratti può facilmente ricordare importanti gruppi come i Bad Omens o, perché no, i Code Orange, soprattutto in brani come Melatonin. L’assenza di voci clean, neppure nei ritornelli, rende il tutto ancora più cupo. A questo, si uniscono le tematiche racchiuse nei testi di Alias: secondo quanto affermato dai nostri, infatti, di assoluta importanza e ispirazione per la scrittura dell’album sono stati prodotti cinematografici come Twin Peaks, The Matrix, Blade Runner e persino Ghost in the Shell e il famosissimo anime Cowboy Bebop. In particolare, gli Sleep Waker si sono concentrati sul concetto di realtà sintetica e su quella teoria che si domanda se siamo davvero svegli, se davvero stiamo vivendo o se è tutto frutto di una simulazione ricreata nelle nostre menti. Un argomento parecchio spesso, insomma, di una complicatezza elevata e che, ovviamente, si riflette sullo stile musicale.

Ascoltando i brani, risulta particolarmente di spicco 110 Minutes, uno dei singoli pubblicati. Energica, veloce, di forte impatto, tuttavia in un certo senso oscura, che racchiude un po’ quello che è il sound della band, con tutti i suddetti elementi che la caratterizzano. Il tiro resta alto per tutta la durata dell’album, creando un’omogeneità piacevole, ma che non sarebbe stata male se spezzata ogni tanto da brani più melodici. Un po’ come succedeva nei primi album dei While She Sleeps, giusto per capirci. Qui gli Sleep Waker invece hanno preferito dare all’album un’impronta più Death-Core, che comunque fa la sua figura.

Tirando le somme, Alias, seppur non presentando elementi originali o ricercati, resta un buon album, con sonorità potenti e impetuose, ma soprattutto con tematiche molto interessanti. Non deluderà i fan del genere musicale in questione.

 

Sleep Walker

Alias

UNFD

 

Nicola Picerno