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Tag: one little independent records

Ásgeir “Time On My Hands” (One Little Independent Records, 2022)

Cronache emotive di lande gelide

 

Scritto sulla sabbia

Fuori attende la sabbia nera
sottile e umida
Il dito si ghiaccia un poco
a scrivervi
Il corpo si scalda un poco
e anche il groviglio che si chiama
spirito
mente
anima
Le onde si avvicinano
il respiro
pieno di mestizia
di gioia di vita
Le onde si avvicinano

Sigurður Pálsson

 

Uno dei più grandi poeti Islandesi descrive appieno il clima in cui si diventa grandi in quest’isola glaciale.

Con le nostre caotiche metropoli, la bellezza dei piccoli centri storici, le distese verdeggianti a perdita d’occhio, la brulicante gioia di vivere delle nostre spiagge, il profumo del nostro cibo, la particolarità dei paesini arroccati nelle montagne è davvero arduo anche solo immaginare di vivere in un luogo così sperduto e quasi surreale.

L’ambiente che ci circonda influisce sulla percezione di noi stessi, sui nostri bisogni e sulle nostre priorità. Così, in uno dei paesi meno popolati del nostro continente, si resta a casa, si coltiva la propria individualità. Un popolo di introversi; nel tempo libero spesso poeti, scrittori, musicisti o cantanti.

Come se il gelo infiammasse i loro animi e li spingesse a scavare sempre più a fondo, a sviscerare ogni emozione, aprendo una finestra su sé stessi e vedere colori vivi e rigogliosi, quando ogni altra finestra affaccia sul grigio dei paesaggi appiattiti da un inverno pressoché perenne.

Una landa quasi desolata, tra ghiacciai, montagne, vulcani e fiumi gelati, ma abitata da esseri umani che mantengono il loro sangue caldo e il cuore pulsante.

Questa piccola isola glaciale ha donato varie gemme musicali tra cui Björk, Sigur Rós, i Múm e gli Of Monsters and Men per citare i più conosciuti.

Dal 2012 è apparso un ulteriore diamante grezzo, Ásgeir, diventato subito famoso nella sua terra, riuscendo a vendere più di Björk, e nel 2014, traducendo i suoi pezzi in inglese, ha intrapreso la conquista verso il mondo. 

Ora prova a rivendicare il suo spazio e la sua identità con un nuovo album, Time On My Hands, sperimentando e tentando di portare il suo stile ad un livello nettamente superiore rispetto ai suoi primi lavori.

La sua natura introversa e riflessiva lo ha portato a sfornare un album eccelso, lontano dal “classico” folk melodico con cui  è stato in passato etichettato. Una crescita di questo giovane uomo concreta, riscontrabile nella ricercatezza delle parole, delle melodie e nella potente sfumatura malinconicamente introspettiva, solenne, che assume ogni testo.

Mescolando l’acustica con l’elettronica, riesce a rendere anche i pezzi più intensi più eleganti.

Già dal primo brano, Time On My Hands, che porta il nome del disco, la delicatezza nella voce di Ásgeir colpisce come il vento gelido islandese; un pezzo molto classico, chitarra morbida e batteria che accompagna senza spezzare il brano. Il secondo brano Borderland ci mette subito in difficoltà, accostando la finezza della voce con la sfrontatezza di un synth e una base più elettronica.

Il terzo pezzo Snowblind è il primo singolo estratto dall’album è il matrimonio perfetto tra elettronica e sonorità ricche di sensibilità. In Waiting Room il suo falsetto leggero riesce ad emozionarci, e, socchiudendo gli occchi, ci troviamo esattamente dove lui vuole portarci: una stanza con vista su una terra di nessuno. Giantess è un pezzo altisonante, dove Ásgeir si avvale di un ritornello folk molto orecchiabile, mentre in Limitless riesce a dare davvero l’idea di qualcosa di illimitato con la dolcezza della sua voce, facendoci planare sull’eternità di un ghiacciaio immacolato.

Time On My Hands non è solo l’ultimo album di questo cantautore, non è solo un connubio tra falsetto, synth ed elettronica, è molto di più. Un lungo viaggio nella sua interiorità, un lungometraggio di terre lontane, di venti gelidi che sferzano le acque, di paesaggi impervi. 

Un riassunto di anni di lavoro e impegno sulla sperimentazione con vari suoni, che riesce egregiamente a padroneggiare per creare qualcosa di davvero caratteristico.

 

Ásgeir
Time On My Hands
One Little Independent Records

 

Marta Annesi

Sarah Walk “Another Me” (One Little Independent Records, 2020)

Nothing’s hurt me more than men that grew up with no consequences.
La padrona di casa ci accoglie con queste parole, dopo poche note, nella prima traccia di questo album.
Il primo ascolto avviene in preda a un lieve senso di colpa per genere, orientamento, storia personale e situazione endocrina.
Poi un’immagine, di mia figlia nella vasca, cinque anni, capelli raccolti, luce da tramonto, mi riappacifica col mondo e con questo album. Perché, alla fine, noi maschietti viviamo un enorme conflitto interno, fatto di sensibilità soffocate vs. celodurismo istituzionale, di poetica interna vs. gara di rutti. A volte neanche noi ci sopportiamo, solo non siamo capaci di cantarlo così bene.

Sarah Walk aveva piacevolmente stupito la critica con il suo primo album, Little Black Book, nel 2017. Un disco fatto di pianoforte, testi profondi e una voce notevole.
Questo Another Me è frutto di una nuova produzione, affidata a Leo Abrahams, musicista, autore e produttore britannico, che vanta collaborazioni con Regina Spektor ed Editors, Paolo Nutini e Brian Eno.
Ma delle piano ballads del primo lavoro qui rimane poco. I brani sono sorretti da sezioni ritmiche più sytnh pop, arricchendo il ritmo interno dell’album, e i movimenti all’interno delle singole canzoni giocano con le saturazioni, di strumenti, di voce.
E proprio voce di Sarah merita una menzione a parte. Così come la sua estensione vocale, che soprattutto nei bassi lascia piacevolmente sorpresi gli ascoltatori. Ecco, avete presente quelle presunte cantanti, con trucco da Casa nella Prateria e ukulele in mano, sguardo verso l’alto a destra e sequenza di sussurri e ultrasuoni con distruzione programmatica di un qualsivoglia pezzo intimista? Bene, la nostra Walk è la loro nemesi, per uso del diaframma, per aria tra le corde vocali, per vocabolario, intenzione e obbiettivo finale. È un album che viene cantato, non sussurrato, e a gran voce si trattano temi come la misoginia, vulnerabilità, l’autodeterminazione, la definizione di se stessi.
È un album crepuscolare, per ritmi ma soprattutto per la sospensione in cui galleggia: è una continua riflessione sulle azioni, quindi sull’essere, in attesa di una risposta o di una conseguenza. È un album sulla terza legge della dinamica femminile, che analizza il personalissimo segmento che unisce azione e reazione, causa ed effetto. 
La cantante stessa spiega:

Con questo album, vorrei sottolineare che ci sono molte cose che le donne sentono e sperimentano al di fuori delle relazioni romantiche. Ci sentiamo in colpa quando diciamo no, ci assumiamo responsabilità anche quando non dovremmo, ci scusiamo anche se non abbiamo fatto nulla di male. Queste sono tutte situazioni che sto cercando di disimparare. Questo è un album sull’emarginazione, sull’essere donna, sull’imparare a stabilire i confini senza scuse, e senza sentirsi in colpa per questo. Imparare ad amare del tutto senza aspettative.

Another Me è un bellissimo flusso di coscienza, un monologo interiore a voce alta, personale ma universale, lirico a volte, mai barocco.
Ci sono dubbi e interrogativi in questo album, che riescono ad arrivare anche a noi maschiacci, senza sforzi eccessivi, anche se spesso abbiamo evitato le conseguenze.
E alla fine dell’album avrete quella stessa sensazione di quando, a fine serata, dopo qualche pinta, vi accorgerete di aver ascoltato una persona di valore, che non è mai cosa scontata.

 

Sarah Walk

Another Me

One Little Independent Records/Audioglobe

 

Andrea Riscossa