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Tag: parole e dintorni

Tre Domande a: Wuz

Come e quando è nato questo progetto?

I Wuz sono un collettivo musicale nato nel 2019 da un’idea di Mattia Boschi che insieme al fratello Jacopo e Nico Roccamo si ritrovano a comporre brani strumentali partendo dalla centralità tematica del violoncello ed elaborando arrangiamenti e strutture dove la contaminazione di genere e sound è fulcro fondamentale.

 

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il vostro modo di fare musica o a cui vi ispirate?

La realtà musicale a cui ci ispiriamo maggiormente è quella de The Cinematic Orchestra, dove i concetti di Collettivo, Contaminazione e Trasversalità sono centrali nella composizione nella composizione e produzione dei brani. Il nostro EP Wuz Deluxe Edition uscito il 21 aprile vuole comunicare appunto questo. Anche l’immagine di copertina ne è emblema. La classicità del violoncello (radici/leggio) si spezza al contatto coi diversi generi musicali.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

La cosa che maggiormente ci interessa comunicare a chi ci ascolta è innanzitutto l’importanza della melodia e la trasversalità del progetto.
Concerti, onorizzazioni, colonne sonore, reading teatrali sono solo alcuni dei svariati modi in cui la musica dei Wuz può trovare ottimo utilizzo.

Il Desiderio Che Mi Frega

Accade.

Ogni tanto accade.

E forse è l’unico motivo per cui talvolta mi avventuro ad ascoltare musica nostrana.
Accade che un disco d’esordio solletica territori condivisi, conoscenze, immagini e stupisce per la qualità sia musicale sia di scrittura. Ma se nel primo album si aveva l’impressione che il gruppo avesse l’urgenza di presentare la propria visione del mondo, tritato, masticato e digerito da una profondità di analisi quantomeno notevole, nel secondo lavoro si contano diverse canzoni che iniziano a dare forma a una sorta di visione, di lettura del mondo attraverso il rapporto tra artista e realtà. Accadeva già nell’album di esordio, ma era fenomeno più sporadico. Qui la dualità è il tema. Nel senso più classico ma anche per vie postmoderne.
Con ordine.
Le Viadellironia sono Maria Mirani, Giada Lembo, Marialaura Savoldi e Greta Frera, prodotte dalla Hukapan, dove sono di casa gli Elio e le Storie Tese, tanto che a produrre il disco è proprio (nuovamente) Cesareo. Al disco contribuisce Edda, come già per il primo disco, autore di una intera traccia, Tu Mai, e spicca la partecipazione di Peaches, cantautrice canadese icona dell’electroclash nonché della comunità LGBTQIA+, nel pezzo forse più riuscito dell’album, Sodoma. 

Musicalmente siamo nel secolo scorso, perché le ragazze pescano a mani basse nell’alt rock italiano anni novanta, fedeli alla linea tracciata nel primo lavoro, dove gli echi di Afterhours e soci erano palesi. Sia chiaro, non suona vecchio, suona solo bene. Che vuol dire saper gestire le fonti e il vocabolario, creando un’impalcatura più che stabile per i testi che sono il vero punto di forza della band.
C’è uno spettro di Herman Hesse che si aggira per l’album, fin dalla prima traccia, Boccadoro. Il suo Narciso e Boccadoro, libro uscito nel 1930, torna a dare vita ad un tema archetipico, quello dell’eterno dualismo tra ragione ed emozione, tra razionalità e passione. Boccadoro per le nostre diventa una ragazza, giusto per poter aggiungere alla ricetta nuove sfumature, che, causa machismo inconsapevole, erano assenti tra le pagine di Hesse.
Siamo sul campo di battaglia dell’eterno scontro tra apollineo vs dionisiaco, mentre il tema dello specchio viene evocato per la prima volta, per ricordarci che Narciso era narciso, che Wilde lo ha reso magicamente perfido e che la scatola dei riferimenti è spalancata sul tavolo, vicino alla frutta [cit. di cit. al cubo].
Boccadoro è la nostra Virgilio, ci aspetta alle porte del disco, lei è l’eros, la curiosità per il mondo, è il desiderio che ci frega, prima che il buon Narciso, freddo e razionale, ci riporti con i piedi per terra.
Il dualismo viene cantato con gioiosa consapevolezza nella title track, Il desiderio che mi frega.
Nella seguente Tanqueray i vapori di Baudelaire appannano di nuovo specchi evocati nel testo, mentre lentamente scivoliamo dalla figura letteraria di Narciso al più triviale narcisismo. 
Sodoma mi ha dato una visione, con le ragazze a Sanremo, Peaches decisamente non consona alla fascia oraria e al target, ma l’Ariston in piedi a ondeggiare sulla cassa dritta del pezzo. Pubblico per altro ignaro del testo e del suo significato, perfettamente in linea con quanto narrato poco sopra.
Pezzone, si direbbe, lo candido a secondo singolo dell’album.
Si riposa, nella cinematografica Casablanca, che sa di otium e di sospensione, forse utile alla consapevolezza che sembra arrivare nei brani successivi: Il pianto delle cose e Corallo.  Nel primo la nostra Boccadoro sembra prendere coscienza della propria natura di artista, della condanna all’empatia, al sentire tutto, anche le “cose”, a vedere chiaro e limpido lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. Così in Corallo ci si chiede se non si è cercata la verità nel posto sbagliato, con la conseguenza di aver perso la guida, la strada, il filo della realtà.
Edda aggiunge un brano e un punto di vista nel disco, chiuso poi dal singolo uscito a febbraio ’22, Sade Valentino, che anticipa il racconto del dualismo, entrando perfettamente nel tema affrontato, presentando l’affascinante rapporto tra una ragione raffinata e “alta” e un corpo che non disdegna il piacere della carne. La mediazione tra Narciso e Boccadoro passa per il latex. 

Questo è un disco intelligente. Evoca con musica e parole immagini, miti e personaggi. Crea un piccolo mondo abitato da dubbi e citazioni. Ma soprattutto è una piccola lectio magistralis di trenta minuti sulla presa di coscienza della propria fallibilità, della giustamente squilibrata dualità che vive in noi. È l’autocoscienza che passa anche per la via dell’(auto)ironia a creare gli anticorpi più potenti, perché tra Narciso e Boccadoro non vince nessuno se non alla fine del libro di Hesse, quando tutti, ma soprattutto Boccadoro, imparano a leggere l’esperienza della vita senza un rapporto bulimico con la realtà.
Che poi, contorsioni mentali a parte, quel Sade Valentino alla fine del disco mi ha ricordato l’ultima battuta di Eyes Wide Shut.
Mo’ me lo segno. 

Viadellironia
Il Desiderio Che Mi Frega
Hakupan

Andrea Riscossa

Giovanni Truppi @ Auditorium Parco della Musica

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• Giovanni Truppi •

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Auditorium Parco della Musica (Roma) // 06 Dicembre 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Venerdì 6 Dicembre siamo stati a Roma al concerto di Giovanni Truppi. Poesia e civiltà è l’album di undici pezzi inediti che il cantautore napoletano sta portando in tour da Aprile di quest’anno. 

Entrando all’Auditorium Parco della Musica si percepisce un’atmosfera elegante, molto diversa da quella dei concerti a cui siamo abituati. La sala Sinopoli è ampia, accogliente e raffinata nella sua semplicità. 

Si abbassano le luci in sala e si accendono sul palco, illuminando ogni singolo strumento. Non c’è scenografia ma solamente uno sfondo nero come un abisso. La band entra in scena: Giovanni Truppi (chitarra, piano e voce), Paolo Mongardi (batteria), Giovanni Pallotti (basso), Daniele Fiaschi (chitarra), Duilio Galioto (tastiere) e Nicoletta Nardi (voce e tastiere) si posizionano. 

È L’Unica Oltre l’Amore, uno dei singoli, ad aprire il concerto. “Noi siamo, viviamo, ci percepiamo in questo spazio e in questo tempo” canta Truppi che si muove dalla chitarra al piano. Il pubblico è concentratissimo e viene avvolto dalla voce di Nicoletta Nardi che coccola e che trasporta in un altro universo, rendendo questo pezzo un perfetto primo impatto.  

Da qui la musica è incessante e le canzoni si susseguono una dietro l’altra, interrotte soltanto da qualche “grazie”. Conoscersi in una Situazione di Difficoltà, Adamo, Mia. Durante il concerto vengono proiettate delle luci sullo sfondo, semplicissime, perché non serve altro. L’attenzione della sala è tutta sulla band.

L’altro singolo, Borghesia, è un pezzo dalle dinamiche incredibili “per avere sempre un po’ di più, un pochino di più”. Scomparire rimarca le straordinarie capacità vocali ed emozionali del cantante che alla fine della canzone lascia il palco insieme al suo gruppo, accompagnato da forti applausi.

Applausi che non si arrestano se non al rientro di Truppi, solo: si siede al piano, una luce lo illumina. “Quando ridi mi fa pensare alle cascate di carta argentata che da bambino facevo per il presepe e quando sono insieme a te che c’è intimità è così calda e viscerale che qualche volta un po’ mi spaventa”. Quando Ridi ci abbraccia, ci fa sentire uniti, ci fa sentire soli, ci fa piangere. È il momento più intimo e privato del concerto e lo è per ognuno di noi. 

La band rientra e suona Pirata, Hai Messo Incinta una Scema, Ragazzi. 

Tutti si alzano: è standing ovation per Poesia e civiltà. [/vc_column_text][vc_column_text]

Testo: Cecilia Guerra

Foto: Simone Asciutti

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Grazie a: Ponderosa Music & Art | Parole e Dintorni

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Achille Lauro @ Estragon

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• Achille Lauro •

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 Rolls Royce Tour 2019

Estragon (Bologna) // 10 Ottobre 2019

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Foto: Luca Ortolani

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