Skip to main content

Tag: piacenza

Supereroi di Simone Scrivani

In un pomeriggio di inizio aprile, mentre il sole brilla su Piacenza e un bel venticello rinfresca l’aria, ho appuntamento con Simone Scrivani. 

Una vita all’insegna della musica: dai karaoke ai musical fino al cantautorato. La storia di un ragazzo che vuole raccontare delle storie, facendoci riflettere ma con ironia.

Classe 1990 è un piacentino DOC estremamente legato alla sua città, ai suoi luoghi e ai suoi concittadini. 

Ed è proprio da qui, da Piacenza, dai suoi vicoli e dalle sue valli che prende l’ispirazione per le sue canzoni (per chi non lo sapesse Hemingway ha definito la Val Trebbia la più bella del mondo) .

Da cantante di karaoke a cantautore. Raccontaci un po’ la storia che ti ha portato su questa strada.

E’ stata la voglia di lasciare qualcosa di mio alle persone. Cioè è bello anche fare dei karaoke, bisogna pur iniziare da qualche parte.

Prima si inizia con i lavori manuali poi, però, bisogna andare oltre.

Mi piace vedere la costruzione del personaggio musicale come un artigiano della musica. Noi siamo artigiani della musica: ci creiamo, partendo dalle linee base.

Era bello avere il riscontro delle persone che ci ascoltavano e si divertivano. Alla fine non era solo un karaoke. 

Ad un certo punto però, facendo musical, mi sono avvicinato di più al mondo dell’arte musicale. Ho incontrato un gruppo di persone molto bello e positivo che mi ha aiutato molto a credere in me.

Avevo già in mente da un po’ di tempo di fare qualcosa di bello con la musica e allora ho pensato di mettermi in gioco. E lo ho fatto con una mia amica, Elisa Dal Corso.

Mi sono messo alla prova e ho scritto una canzone che ha avuto un riscontro abbastanza positivo; è stato un inizio.

Successivamente ne ho scritta un altra Buon Natale per davvero, però che non c’entra nulla con il Natale. E’ una vicenda che mi sta molto a cuore: è dedicata ad una mia amica che ha avuto una storia d’amore un po’ brutta e quindi ho cantato di lei.

E alla fine sono uscito con Supereroi, perché ho pensato fosse ora di mettermi nel sociale. Perché è questo che fa questa canzone: traccia una critica ironica della società attuale.

Supereroi, è il tuo terzo singolo, e si discosta musicalmente dai tuoi lavori precedenti: come mai questo cambio di rotta?

Mi sono dato un nuovo sound perché lo trovo più mio. Mi sono fatto molto influenzare dai cantautori del passato; penso che da loro abbiamo solo da imparare.

Ma in realtà la musica come si sta sviluppando ora, con le sonorità indie e pop è molto bella, da la carica.

E’ una musica non “melensa” alla Venditti o alla Baglioni, che sono i miei idoli, ma riesce comunque a trasmettere moltissimo.

La musica di oggi ha dei messaggi bellissimi nonostante i suoni viaggino e quindi ho deciso di buttarmi su questo stile perché mi da più allegria, riuscendo comunque a trasmettere qualcosa attraverso le parole.

 

1 min

 

Di cosa parla supereroi? E chi è questo Paolo, che citi più volte all’interno della canzone?

Tutti mi chiedono chi è Paolo…

Supereroi è una visione ironica della nostra società, una società in cui viviamo nel più totale analfabetismo sentimentale.

Siamo in totale crisi di emozioni e di sentimenti e questo va a ripercuotersi sulle scelte politiche e sulle critiche che muovono le persone, spesso non avendo le competenze per farle.

Questi giudizi di solito non hanno una valenza costruttiva. Io sono molto critico di  mio ma penso che ci sia modo e modo per muovere una critica. Se è costruttiva è una cosa positiva e bella; ma se è fatta per screditare, per insultare, è una forma di repressione.

Io credo che tutti abbiamo qualche repressione nella nostra vita, è una cosa umana e normale, ma non è positiva. Dobbiamo accorgercene e lavorarci su. Quando questo non viene fatto si tramuta in odio verso qualunque cosa proprio perché non c’è un contatto tra i propri sentimenti e quello che accade fuori. Deve essere ricreato questo ponte.

E’ di questo che parlo in Supereroi, criticando in modo ironico, e spero costruttivo, queste persone. Cerco di dare una forma a questo mio ragionamento, e questo sarà anche il mio cd. 

E Paolo?

Paolo è il mio migliore amico. Quello con cui sono sempre in giro a fare i bagordi. Ho scritto questa canzone pensandomi con lui in un bar. 

Ho visto la società di oggi come un grande bar dove ognuno ha il diritto di parlare. E alla fine mi sono visto con

Paolo a brindare insieme a tutte queste persone, alzando il calice “alla vostra”.

 

DSC 4854 min

 

In che modo, e in che misura,  la tua vita, le tue esperienze e la tua città entrano nei testi che scrivi?

Sempre. Io e Paolo eravamo in un bar di Piacenza, il bar che frequentavamo di solito, quando ho scritto questa canzone. Io mi sono visto li con lui. E’ ovvio che questa cosa ci sia in tutta Italia e in tutto il mondo ma Io mi sono visto qua e mi sono immaginato qua. 

Quando scrivo mi rinchiudo sempre al Caffè del Tarocco (un bar di Piacenza). E’ in una posizione, in uno scorcio, da cui vedi il centro eppure sei lontano. E’ appartato e c’è un pezzo di cielo, in alto, che si vede sempre…ed è bellissimo.

Oppure scrivo nella Val Trebbia. Ci sarà una canzone, del cd, che parla di una ragazza ed è ambientata proprio in Val Trebbia. 

Per me la mia città è importantissima, non solo come ispirazione. Poi mi piace andare in giro eh? Però quando torno a casa sono contento.

Sei la prima persona che sento parlare così di Piacenza…

Credo che sia tutto nel riconoscere un posto come casa. Non solo per il luogo in se ma anche per tutte le cose e le persone che ci sono legate.

Ho visto, sulla tua pagina Facebook, che hai creato una gallery dedicata ad una serie di persone con #supereroiprimaopoi. Com’è nata quest’idea?

Dietro a grandi progetti ci sono grandi squadre. Ho diverse persone che mi aiutano sia per la parte grafica che per quella social.

Sono due mie grandissime amiche, anzi una è mia cugina ma, prima di tutto è la mia migliore amica. Con loro ci troviamo regolarmente a discutere e parlare di come muoverci e promuovere le mie iniziative.  

Supereroi è una canzone bella, critica ed ironica verso la società. Però volevamo anche lanciare un messaggio costruttivo e quindi ho cominciato a raccogliere testimonianze e storie di persone che sono davvero supereroi per la nostra città.

Qual è la mia idea di supereroe? E’ chi ha il coraggio di essere normale in una società che impone il contrario.

Quello che racconto è di persone così normali che ci fanno pensare di avere dei superpoteri perché hanno il coraggio di trasmettere le loro emozioni, in quello che fanno, senza avere paura di farlo, senza temere il giudizio degli altri.

E’ nato tutto dalla volontà di valorizzare queste persone per il bene che fanno a tutti.

 

DSC 4915 min

 

Cosa rappresenta la musica per te?

La musica in qualche parola…è una domanda molto vasta.

Potrei dirti un banalissimo è la mia vita…ma è vero. E’ una passione che mi tiene vivo.

Il mio sogno sarebbe di vivere di questo ma ora come ora non è così. La musica mi tiene vivo nella monotonia di tutti i giorni, e non è poco.

E’ il mio gancio in mezzo al cielo, come direbbe Baglioni, che è il mio idolo. Sai che è una domanda che mi ha messo in difficoltà? E’ la mia vita, stop.

Come definiresti il tuo stile musicale?

Pop vecchio stile quando la musica non era ancora in 4 K, io dico sempre di me.

Sono sonorità vecchie, ho ripescato un po’ i sint degli anni 80 e li ho rimessi in chiave moderna con delle basi programmate sotto di percussioni. Il vintage è bello però se modernizzato…quindi faccio vintage.

Il 9 aprile uscirà il video di Supereroi. Dicci qualcosa su quello che vedremo, com’è stato girarlo?

E’ stata una delle esperienze che mi ha emozionato di più nella mia vita, per il tema trattato.

E’ un video che ha riprese in due punti. Uno è dentro una sala, con la band, ed è stato girato nella sala prove in cui sto incidendo il disco e da cui è partito tutto. 

Qui ho trovato una famiglia, la mia terza famiglia. La seconda sono i Viaggiattori e la prima è la mia: è bello avere diverse famiglie. 

Poi ho fatto un evento con dei bambini di una scuola materna. Mi sono presentato da loro vestito come un supereroe, e li ho fatti disegnare.

Gli ho chiesto che cosa farebbero se fossero dei supereroi, che cosa farebbero per Piacenza e quale sarebbe il loro potere per salvare la città.

Era anche per fare un po’ di pressione sulla loro coscienza, che è ancora pulita. Volevo fargli capire che i supereroi fanno del bene a livello base.

E alla fine erano tutti contentissimi di essere anche loro dei supereroi. Ho passato la giornata con loro: li ho fatti volare, li ho fatti disegnare, si sono divertiti tantissimo.

E’ stato bello, mi hanno riempito il cuore.

In questo frangente c’era anche un video maker, Michele Groppi, che ha colto i momenti più belli della giornata. Non era li per fare il video, volevamo creare un documentario di questo evento…alla fine però è diventato parte del video.

Ha molti messaggi secondo me, ma vanno colti.

 

DSC 4825 min

 

In supereroi dici Ma l’amore non è un post-it, non è rosa rossa, tonica e gin. Che cos’è allora l’amore?

Prendo in prestito la frase di qualcuno più famoso di me che ha detto questa cosa Tutto quello che ci serve è amore. All you need is love, Beatles.

E’ vero, senza l’amore non c’è niente. Non c’è la passione, non c’è famiglia e non c’è una storia.

Ho iniziato il mio progetto partendo dall’idea che c’è più amore. Ma amore non è solo quello che può esserci tra me e una ragazza, o tra un uomo e un altro uomo, o tra una donna e un’altra donna.

L’amore è quello per me stesso, per quello che faccio, per la mia famiglia e per i mie amici. Ci vuole quello e senza quello non c’è nient’altro. L’amore è importantissimo.

 

Laura Losi

 

 

Sister Act – Il musical divino. Una storia d’amicizia

Prima dello spettacolo (qui di seguito il report di questa bellissima esperienza) ho avuto il piacere di incontrare Annalisa Missieri, il presidente della compagnia.

Abbiamo preso posto sui divanetti del teatro e abbiamo fatto quattro chiacchiere per capire come  è nata la compagnia e come mai hanno scelto proprio Sister Act per festeggiare i loro 10 anni di attività.

Questa compagnia si auto produce ( ha pochissime sponsorizzazioni) e tutto quello che vediamo sul palco è frutto del duro impegno e della passione di chi ha deciso di credere in questo progetto iniziato nel lontano 2008…

 

Il 2018 è stato un anno molto importante perché avete festeggiato il vostro decimo compleanno. Com’è nata questa compagnia?

Siamo nati nel 2008 in una parrocchia piacentina (quella del quartiere Besurica), però fin da subito abbiamo voluto progredire e quindi ci siamo costituiti come compagnia e associazione. Abbiamo cominciato a formarci, a studiare e a uscire dall’anonimato. E quindi a fare musical ispirati ai musical di Broadway.

 

Siete una compagnia molto variegata vero?

Siamo in 54 di varia età, abbiamo due minorenni e poi arriviamo fino ai sessantenni. C’è un nucleo storico, quello di 10 anni fa. Anche quello però era stato costituito tramite provini e poi man mano, quando c’è una nuova produzione facciamo delle nuove selezioni per ricercare gli interpreti. C’è anche chi chiede di entrare senza avere particolari velleità artistiche che però vuole dare una mano per gli aspetti tecnici. Queste persone quindi non fanno i provini ma si mettono a disposizione per il dietro le quinte che è importante come quello che si vede in scena.

 

Siete passati da Legally Blonde a Sister Act. Qual è stato il motivo di questa scelta?

Si tratta di un musical ispirato al famosissimo film del ’92 che piaceva un po’ a tutti. Il nostro regista, Mario Caldini, lo voleva da tempo ma non c’erano i diritti e quindi abbiamo dovuto aspettare che si liberassero. Non appena si è presentata l’occasione ci siamo buttati e abbiamo colto questa opportunità perché è una storia bellissima e coinvolgente. A noi piacciono i musical corali perché siamo in tantissimi, in prevalenza siamo donne, e questa era l’opera che andava bene per noi.

 

A quale versione del musical fate riferimento?

Noi utilizziamo una  traduzione italiana ovviamente. Il nostro regista ha scelto la versione del 2011 di Broadway perché ha all’interno anche dei brani che non erano presenti nelle versioni successive e quindi era un po’ più completo rispetto alle altre versioni.

Abbiamo una band dal vivo che deve tradurre i brani orchestrali in brani fattibili per una band. E’ più di un anno che lavoriamo a questo progetto. Facciamo prove settimanali, a volte anche due volte a settimana. Prima proviamo separati: ballerini, cantanti, band. Poi da un certo punto iniziamo a provare tutti insieme assemblando i vari pezzi. E da li iniziamo a vedere emergere lo spettacolo.

 

Avete ottenuto un grande successo e infatti avete dovuto raddoppiare le date…

Eravamo partiti con due date pensando che fossero sufficienti. Noi abbiamo due cast e in questo modo avremmo dato la possibilità ad entrambi di esibirsi. Poi la domanda è stata talmente alta che abbiamo aggiunto la terza data e da pochissimo la quarta, che sta andando via velocemente.

Grazie ad Annalisa Missieri e alla compagnia I Viaggiattori per la disponibilità.

Saluto tutti ed entro in platea pronta a vedere il mio primo musical. Felice nel vedere che chi crede nell’arte e nel teatro riesca ad avere la possibilità, grazie all’impegno e al duro lavoro, di avere la soddisfazione di recitare in un’arena senza neanche un posto vuoto.

 

E’ un sabato sera di febbraio quello che è generalmente considerato il mese più triste dell’anno, ma nonostante questo a Piacenza c’è una strana agitazione e i parcheggi sono più pieni del solito.

Questo è merito della compagnia made in Piacenza I Viaggiattori, che ha deciso di mettere in scena il musical Sister Act, con la regia di Dario Caldini.

Dopo il successo ottenuto a Salsomaggiore Terme e le due date sold out al Teatro Nuovo di Milano la compagnia ha deciso di tornare a giocare in casa e di replicare lo spettacolo con quattro date al Politeama (inizialmente erano solo due ma, visto il successo ottenuto, hanno deciso raddoppiarle).

Prendo posto in platea, con l’agitazione che mi accompagna ogni volta che provo una nuova esperienza. Nonostante io ami i musical non ho mai avuto occasione di vederne uno dal vivo e quindi non so bene cosa aspettarmi.

Qualche minuto dopo le ventuno, le luci si abbassano e una voce ci annuncia che lo spettacolo sta per iniziare.

Veniamo trasportati in un locale di Philadelphia dove una cantante di colore Deloris Van Cartier, sta per esibirsi. Capiamo fin da subito con chi abbiamo a che fare, una donna ambiziosa che vuole essere come Donna Summer: il suo sogno è infatti quello di esibirsi con un vestito bianco di palette e una pelliccia candida.

 

DSC 0082 1

 

Passa solo qualche minuto e apprendiamo la prima lezione di vita che questo musical ci vuole insegnare: le cose non vanno sempre come vogliamo noi.

La donna infatti assiste per sbaglio ad un omicidio commesso dal suo amante e quindi è costretta a chiedere aiuto alla polizia per nascondersi.

Eddie Umidino, il poliziotto che si occupa del suo caso, conoscendo bene la donna decide di portarla nell’unico posto in cui i sicari non andrebbero mai a cercarla: un convento.

 

DSC 0186

 

Ed è qui che inizia il bello. Facciamo conoscenza con le suore che vivono nel monastero, la madre superiora, che non vede di buon occhio l’arrivo della cantante, Suor Maria Roberta giovane novizia che non ha ancora capito quale sarà la sua strada, Suor Maria Patrizia l’ottimista e Suor Maria Lazzara la burbera amante del rap.

Ed è qui che l’esplosiva Deloris Van Cartier diventa la bomba Suor Maria Claretta riuscendo ad entrare fin da subito nel cuore di tutte le altre sorelle.

L’abito monacale non basta a nascondere l’essenza della protagonista che aiuterà le altre suore a capire chi sono davvero e lo farà attraverso la musica.

Quando le monache iniziano a proporre le loro messe rock il pubblico impazzisce, gli applausi spesso partono prima che le canzoni finiscano. Tutti sono conquistati dalla bravura degli attori sul palco ma soprattutto dalla timbrica  delle “suore”.

 

DSC 0228

 

DSC 0349

 

Gloria Enchill, che interpreta Deloris, ha una voce calda e potente in grado di catturare l’attenzione dello spettatore fin dalle prime note. E quando verso la fine dello spettacolo la timida Maria Roberta, impersonata da Elisa Del Corso, canta il suo assolo, quello in cui acquista la consapevolezza di chi vuole davvero essere nella vita, il pubblico impazzisce scatenando un fragoroso applauso mentre Elisa sta ancora cantando.

Le scenografie sono semplici, facili da cambiare per permettere in modo agile i repentini cambi di scena e di abito. Ma funzionano alla grande perché non tolgono spazio ai veri protagonisti di questo show benedetto da Dio: gli attori ma sopratutto la musica (rigorosamente dal vivo visto che dietro le quinte c’è una band).

E’ lei la vera protagonista di questo spettacolo, una musica che prende il cuore e ti scalda l’anima.

 

DSC 0490

 

Ognuno in questo spettacolo capirà qual è il suo posto nel mondo proprio grazie alle canzoni. Si tratta di una storia sull’accettazione, l’inclusione ma sopratutto l’amicizia, una storia vecchia ma tuttavia senza tempo, capace di unire generazioni. Deloris, trova le sue sorelle, capisce che avere qualcuno accanto è più importante della fama se non hai nessuno con cui condividerla, anche se alla fine coronerà il suo sogno di essere come Donna Summer.

Suon Maria Roberta troverà la sua voce e avrà il coraggio di dire finalmente no, di lottare per le sue idee e questo grazie a un paio di trasgressivi stivali di vernice rossa che simboleggiano il suo legame con Deloris.

Persino la Madre Superiora, le cui canzoni sono quelle più lente di tutto lo spettacolo, alla fine si ammorbidirà e accetterà i cambiamenti che Suor Maria Claretta ha introdotto nel convento, prendendo parte all’ultima canzone che è una celebrazione dell’amore e dell’amicizia.

 

DSC 0839

 

DSC 0817

 

Quando le luci si sono alzate al termine dello spettacolo mi sono guardata un po’ intorno e mi sono accorta che il pubblico era estremamente variegato: bambini, ragazzi, anziani, gente distinta e chi era pronto per andare a ballare.

Questo è il potere della musica, del teatro e dell’arte: unire tutti. Perché quando le luci si spengono e ognuno è seduto al proprio posto siamo tutti uguali, non ci sono differenze, perché tutti siamo rapiti dalla magia di quello che accade sul palco.

E mentre tornavo alla macchina, parcheggiata lontanissimo dal teatro, mi sentivo più leggera e più felice e, stranamente, sentivo anche meno freddo del solito mentre canticchiavo a bassa voce fammi volare. 

 

Laura Losi

Faccia a faccia con gli All But Face

E’ un nebbioso pomeriggio di dicembre e dopo aver attraversato stradine dissestate e aver incrociato un paio di cerbiatti sono finalmente arrivata all’Elfo Studio di Tavernago.

Ad aspettarmi li c’erano gli All But Face, impegnati in una seduta di registrazione per incidere il loro nuovo singolo.

La band piacentina ha accettato di adottarmi per un pomeriggio per permettermi di vedere come lavorano e per fare quattro chiacchiere insieme.

L’atmosfera è la stessa che c’è quando un gruppo di sei amici si riunisce in un bar per bere una birra e parlare del più e del meno: allegra e distesa.

Mi spiegano che durante il pomeriggio avrebbero registrato la parte di Fabio Riccò, il cantante, perché la base musicale l’avevano già incisa nelle sedute precedenti.

Mentre Fabio va nella stanza insonorizzata per registrare l’audio io rimango in sala di registrazione con il resto della band e trascorro li il mio pomeriggio tra una battuta e l’altra.

Il pezzo, che ho ascoltato in anteprima, si chiama Cavehouse e posso garantirvi che è una bomba!

Per chi non li conoscesse gli All But Face sono: Fabio Riccò (voce), Gianluca Bolzoni (chitarra), Andrea Bocelli (batteria), Matteo Losi
(console), Vincenzo Ferrari (basso) e Andrea Chicchi (chitarra).

 

Partiamo dal nome, che è piuttosto singolare, da dove viene?

All But Face deriva da una storia molto stupida. Si parte con una ragazza che si era invaghita del chitarrista che però era un po’ restio a darle corda perché lei era tutta perfetta…a parte la faccia. Quindi gran fisico, simpatica, però la faccia…proprio no. Quindi All but face.

 

Al momento vi appoggiate a qualche etichetta? Cosa ci dite dell’esperienza in sala di registrazione?

Stiamo lavorando con la Tanzan Music, anche se non siamo sotto contratto con loro. Dopo questa esperienza in sala di registrazione oggi siamo più coscienti di quello che vogliamo e come lo vogliamo. Oggi siamo decisamente più preparati rispetto a 5/6 mesi fa. Prima, avevamo meno esperienza e facevamo molta più fatica. Lo studio di registrazione è una grande palestra che ci ha insegnato molto. E’ un qualcosa che ti sbatte in faccia quello che ti manca. Tu vai in studio, pensi di sapere come si fanno le cose e invece, dopo due ore capisci che le cose non vanno, e le devi rifare. E’ stata un’ esperienza molto importante per noi.

 

La formazione è sempre stata quella che ho conosciuto oggi? E come vi siete incontrati?

La composizione del gruppo è un po’ variegata. Fabio è arrivato dopo ma ci siamo conosciuti tutti per passaparola diciamo. Il gruppo si è evoluto nel corso degli anni. Abbiamo avuto diversi nomi e diversi componenti. Questa formazione è stabile da un paio d’anni, da quando è arrivato Fabio. Il gruppo ha questo nome dal 2015 quando sono arrivati Matteo e Andrea. Però comunque ci conoscevamo già anche prima di iniziare a suonare insieme.

 

Chi si occupa di scrivere i testi? E come nascono i vostri brani?

I nostri pezzi sono tutti inediti, scritti da noi, e tutti in inglese. Generalmente si parte con un’idea di elettronica, a cui pensa Matteo. La
seconda fase di arrangiamento e di scrittura, o di completamento avviene in sala prove. Ad ogni modo cerchiamo di riunirci tutti e di confrontarci. All’inizio i testi li scrivevo io (Vincenzo, bassista), invece ora li scrive Fabio.

 

Quali sono le vostre influenze musicali?

La base di partenza è il metal core ma abbiamo anche influenze di elettronica e alternative metal. Il fatto di cantare alcune parti in
melodico ci differenzia dal metal core tradizionale. E’ tutto un ricongiungersi di varie influenze. Gruppi come i Bring Me the Horizon, gli
Architectes, gli Eskimo o gli I See Stars fanno parte del nostro backround. Sono tutti gruppi che come noi mescolano l’elettronica ad altri generi, soprattutto gli ultimi due che abbiamo citato. Forse noi stiamo insistendo ancora di più sul discorso dell’elettronica rispetto a questi gruppi; ma ad ogni modo sono loro che ci hanno fatto da base.

 

A gennaio uscirà il vostro nuovo singolo Dark Angels. Dobbiamo aspettarci qualcosa di diverso da Steel?

Quello che volevamo ottenere con Steel era un impatto forte, con un ritornello orecchiabile suonato a tutto volume e con degli scream
abbastanza accentuati. Dark Angels invece, pur non essendo una ballad, assume toni un po’ più riflessivi. Pur avendo delle componenti di scream e un’elettronica abbastanza forte è un brano più morbido di Steel, con un testo più profondo e più pensato.

 

Vincenzo, visto che sei tu che ti sei occupato dei testi, dove hai trovato l’ispirazione per scriverli?

Si tratta di testi (parliamo di Dark Angels e Steel) che prendono spunto da episodi o da sensazioni che fanno parte del mio passato. Steel per esempio si riferisce a un particolare periodo della mia vita, Dark Angels a un particolare episodio che mi ha colpito, anche se non direttamente. Nonostante questo però io preferisco sempre fare dei testi un po’ generali perché mi piace pensare che chi legge un testo, o ascolta un brano, si possa in qualche modo immedesimare in quello che ho scritto. Per questo li lascio sempre un po’ aperti… Perché ognuno possa vedere qualcosa di suo e quindi non risulti essere una cosa totalmente personale. Anche perché non sono sempre felicissimo nel raccontare certe cose della mia vita, ovviamente.

 

Quali sono i vostri programmi per i prossimi mesi?

Cercheremo di essere più presenti sulle piattaforme come Spotify e YouTube. Cercheremo di essere il più regolari possibili con le pubblicazioni. Il 20 dicembre uscirà Steel su Spotify. E a gennaio, verso la metà del mese, rilasceremo il video di Dark Angels. Con il nuovo anno ci saranno tante novità, anche dal punto di vista del live. La musica va molto in giro su internet ma c’è bisogno di suonare dal vivo, di confrontarsi con il pubblico.

 

Saluto gli All But Face e me ne torno verso casa.

Ricordatevi che il 20 dicembre Steel verrà rilasciato su Spotify.

Io andrei ad ascoltarlo perché questi Vez spaccano davvero!

 

Laura Losi

L’indie piacentino dei Flidge

[vc_row][vc_column][vc_column_text]L’indie piacentino dei Flidge

I Flidge sono una delle giovani, e più promettenti band, del panorama musicale piacentino.

Li incontro al termine del loro concerto a Tendenze Festival, una manifestazione che si svolge ogni anno in autunno a Piacenza e che per la prima volta è stata ospitata al Parco Daturi, ai piedi di Palazzo Farnese uno dei simboli della città

Era la prima volta che li vedevo suonare dal vivo, nonostante li conosca ormai da diverso tempo e il loro Ep sia tra i miei preferiti su Spotify.

Nonostante la giovane, anzi giovanissima età (il più piccolo ha 16 anni e il più grande ne ha 20) non hanno nulla da invidiare a band più mature.

Mi fermo a parlare con loro al termine del live in cui hanno presentato, per la prima volta, i loro nuovi inediti scritti in italiano.

Ci sono tutti: Elia Callegari (cantante), Alessandro Landini (chitarra e seconda voce), Francesco Marini (chitarra) Juan Rinaldini (basso) e Luca Maserati (batteria).

Ci fermiamo a fare quattro chiacchiere, in mezzo al campo che ha ospitato il concerto, mentre veniamo assaliti dalle ultime zanzare superstiti e parliamo di loro, della loro musica, della loro evoluzione e dei loro progetti.

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”8704″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”8703″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”8702″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

Fino al 2016 eravate i “Blue Freedom” poi avete cambiato e siete diventati i Flidge. Questa svolta ha avuto ripercussioni anche nella vostra musica? E che cosa vuol dire Flidge, visto che sembra non avere una traduzione in italiano…

Prima tendevamo a fare cover, sopratutto classici del rock, ora abbiamo cambiato genere e ci scriviamo da soli le canzoni. Ci siamo spinti verso l’onda indie mantenendo comunque un’impronta rock. All’inizio facevamo inediti in inglese e infatti il nostro Ep non contiene tracce in italiano. Ultimamente, invece, stiamo provando a scrivere nella nostra lingua rimanendo sempre sul genere indie, o meglio simil indie diciamo. E comunque Flidge è l’acronimo delle iniziali dei nostri nomi.

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8705″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8698″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

A luglio è uscito il vostro primo Ep dal titolo Ep e le tracce sono tutte in inglese. E’ una scelta particolare per una band emergente italiana. C’è una motivazione?

Abbiamo scritto il nostro primo inedito Sweeter in inglese e poi abbiamo seguito l’onda di fare canzoni tutte in quella lingua. La motivazione principale è che scrivere in inglese risulta più semplice rispetto all’italiano. Il testo passa quasi in secondo piano ed è una lingua più facile da mettere in musica. In italiano bisogna stare molto attenti a tanti aspetti: a non dire cose strane, a usare una grammatica corretta e, soprattutto, non si possono tagliare le parole a metà. In inglese invece si è molto più liberi.

Abbiamo pensato a tanti possibili titoli, presi da frasi delle nostre canzoni, ma alla fine nessuno ci piaceva e ci convinceva davvero. Quindi abbiamo detto facciamo una cosa semplice…ed ecco perché Ep.

Nonostante siate così giovani avete avuto numerose esperienze anche al di fuori del territorio piacentino e anche su palchi importanti: Collisioni, San Remo Rock, Fiat Music e Tanta Robba. Cosa ci dite del vostro percorso?

E’ iniziato tutto con Collisioni. Siamo andati li per incontrare Red Ronnie che faceva le audizioni nel suo furgoncino. Subito dopo l’audizione ci ha detto che gli avrebbe fatto piacere averci a suonare la sera stessa sul palco di Collisioni. Non ce lo aspettavamo e ci siamo arrangiati con quello che avevamo: per fortuna ci eravamo portati gli strumenti! Abbiamo suonato un paio di brani che sono poi entrati a far parte dell’Ep. Qualche mese dopo, a dicembre, ci ha chiamati per andare a esibirci sul palco dell’Ariston di San Remo per il suo Fiat Music Tour un contest, anzi per meglio dire un palcoscenico, dedicato ai gruppi emergenti. Abbiamo suonato li, non abbiamo vinto, ma ce la siamo cavata abbastanza bene, penso. Da quell’esperienza ne siamo usciti moralmente vincitori. Abbiamo rincontrato Red Ronnie a maggio di quest’anno a Milano e ci ha dato solo un consiglio: scrivere in Italiano.

“Che tra l’altro è una delle lingue che ultimamente uso più spesso nel parlato” ha aggiunto  Francesco.

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”8701″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”8700″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”8699″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Un nuovo cd, che ovviamente sarà in italiano. Stiamo scrivendo delle nuove canzoni, due le abbiamo presentate stasera per la prima volta. le altre sono ancora tutte in fase di progettazione.

Il nostro obiettivo è quello di fare un album con almeno una decina di brani e vedere se riusciamo a trovare un’etichetta che ci rispecchi perché indipendenti è bello, ma è anche un po’ stressante. Comunque l’album non lo chiameremo Album, ma magari Lp…anzi forse è meglio di no.

 

Testo: Laura Losi

Foto: Andrea Landini[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]