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Tag: pias

Kerala Dust “Violet Drive” (PIAS, 2023)

La bellezza del suono

Edmund Kenny alla voce e strumenti elettronici, Harvey Grant alle tastiere e Lawrence Howart alle chitarre. Questa la fromazione dei Kerala Dust, band alternative rock britannica nata nel 2016 a Londra, ma che oggi si muove tra Berlino e Zurigo. Dopo tre anni di tour in Europa e sei pubblicazioni, è solo nel 2020 che esce Light, West il loro primo album in studio. Su Play It Again Sam, il gruppo pubblica Violet Drive, il loro secondo progetto di ampio respiro già anticipato dai singoli Red Light, Pulse VI e dalla title track. L’album si compone di dodici tracce dove i Kerala Dust confermano le influenze che il rock psichedelico, il blues e la musica techno hanno avuto sulla loro formazione. 

Per ascoltare Violet Drive è imperativo lasciarsi andare al suono, e seguirlo ovunque esso ci porti. Catturano subito i battiti incalzanti di una loop station ipnotizzante, mentre le tastiere creano trame dove la chitarra elettrica cerca e trova il suo spazio in modo graffiante, ma non per questo aggressivo. Da Moonbeam, Midnight, Howl si scivola così in un mondo di melodie suonate come un fiume in piena, dove i testi, estremamente essenziali, sono appigli a cui ci si aggrappa non per salvarsi, bensì per continuare a sentire il piacere di questa fluidità su di noi. La voce di Kenny è come un faro, ma non un approdo dove fermarci, solo la tappa di un percorso da continuare. Mentre viaggi con la band, ti chiedi dove stai andando, ma forse quella domanda è solo un riflesso incondizionato di una mente troppo abituata a esaminare la realtà che la circonda. Basta poco perché ogni titubanza venga meno. Senti dei colpi, sintetici, ma molto vicini al cuore. Pensi davvero che sia il tuo battito, anche se è diverso da come è sempre stato. Solo con un piccolo sforzo, ti rendi conto che sei circondato dalle suggestioni new wave di Pulse VI che rendono l’atmosfera robotica. Ignorate le inutili domande, la mente libera se stessa per creare immagini vive attraverso il gioco di synth, tastiere e suoni onomatopeici della strumentale Nuove Variazioni di una Stanza. Le emozioni che trasmette la musica dei Kerala Dust si amplificano di brano in brano. Nell’ascoltatore nasce un senso di bellezza sonora mentre viene raggiunto dalla dominante corda dell’onirica Salt e dalla elegante Fine della Scena; le parole si spogliano del loro senso letterale per essere solo suono avvolgente fino a che la chitarra si distorce, la batteria esplode e il progetto raggiunge quella potente delicatezza che solo il rock sa dare.

Violet Drive è il frutto di una forte sensibilità sonora ed emotiva. Non lascia niente al caso, eppure l’ascoltatore è libero di interpretare ciò che sente, senza alcuna costrizione. Nella loro musica si sente quella voglia di trasmettere le sensazioni senza imporle. I brani possono essere ascoltati nella sequenza stabilita nell’album, oppure in modo casuale, ed ogni nuova combinazione crea atmosfere sempre diverse, ma comunque accattivanti. Piegarli alla dittatura di una recensione è un peccato originale. Tuttavia è un peccato da commettere, perché quando li ascolti, descriverli e l’unico modo che hai per condividere l’esperienza che ti hanno regalato. Rimane però ancora un desiderio: la voglia di ascoltarli dal vivo, ma in Italia il loro tour non farà tappa. Peccato.

 

Kerala Dust
Violet Drive
PIAS

 

Alma Marlia

Editors “EBM” (PIAS, 2022)

Il confine sottile tra malinconia e piacere

Completamente immobile su una panchina, assisto alla danza malinconica delle gialle foglie. Si tratta di un duetto, il vento le sospinge, le accompagna in questo loro ultimo viaggio che è unico, non esistono due foglie che ballano allo stesso modo.
E la loro fine non è solitaria, anzi, entrano a far parte di un collettivo, un infinito tappeto dalle sfumature cromatiche eccezionali. Ogni tappeto emette un suono, una musica tutta particolare. Ci sono tappeti secchi, che scricchiolano come vecchie porte arruginite; vi sono tappeti morbidi e accoglienti, come l’abbraccio di un’amica cara, oppure ci sono tappeti umidi, di foglie bagnate, scivolosi e precari.
Sto lì, persa in questo infinito danzare di colori che mi circonda. Il sapore agrodolce della nostalgia estiva, di occasioni perse e vacanze terminate rende l’autunno una stagione che tutti percepiscono come transitoria e malinconica.
Il grigio velo del ritorno alla vecchia e stantia routine cala inesorabile, accompagnato dalle prime battenti piogge dà la percezione alle persone che non possa esistere gioia, che tutto sia fermo.
Eppure il mondo si sta preparando.

In attesa dell’inverno tutto si trasforma e mi assale la voglia di fare anche io parte di questo mutamento, un’insolita voglia di alzarmi e ballare.

Questo mio sfrenato bisogno è soddisfatto dalla nuova uscita degli Editors, con EBM.

Il gruppo che fu additato come gli Interpol Inglesi, che dai primi anni 2000 calca la scena new wave, dalle sonorità fortemente influenzate dai Joy Division, sforna un disco autentico, decisamente in linea con il loro stile, ma con sferzate pop e elettroniche. Le tonalità dark dei primi anni vengono riscontrate anche in EBM, la loro vena drammatica è sempre presente, anche se ravvivata da sound innovativi per il loro genere.

La loro natura londinese, fumosa e malinconica, contribuisce alla particolarità del loro stile; una personale rielaborazione di gruppi inglesi (e non solo) come i sopracitati Joy Division (anche se il gruppo nega somiglianze), gli U2, Snow Patrol e Radiohead.

L’ottava meraviglia degli Editors ci viene presentata con l’uscita del signolo Heart Attack, in cui realmente il nostro cuore viene messo a dura prova dall’intro elettronica e con sonorità anni ‘80. La voce di Tom Smith ci conduce in un universo di ossessione, in un amore tossico e morboso.

Il secondo singolo sparato sul mercato è Karma Climb, dal testo disperato che si scontra con il suono ritmato del pezzo.

Con l’ingresso ufficiale di Benjamin John Power (Blanck Mass) si dà il via ad una nuova era per il gruppo, e tutto l’album è incentrato sul creare un rapporto fisico con il pubblico, servendosi di un sound elettronico anni ‘80 che divampa nei nostri cuori portandoci a chiudere gli occhi e a smarrirci nella tristezza dei testi.

L’epicità data dai synth è qualcosa che ci riporta indietro nel tempo come in Kiss, quarto brano dell’album. In Silence i toni si abbassano, e la voce profonda di Tom si trasforma in un’emergenza emotiva, una ballad romantica e memorabile, piena di malinconia. Strawberry Lemonade, Vibe ed Educate sono i pezzi che più rappresentano il concept del disco, ossia la voglia di instaurare un collegamento emozionale e fisico con i fans. 

EBM è sconcertante proprio per questo motivo: hanno architettato un album che è in grado di farti ballare grazie al sound molto anni ‘80, ma nel momento in cui ti soffermi sul significato di ogni singola parola puoi assaporare la disperazione e la malinconia tipica degli Editors. 

Come l’autunno, sono qualcosa che sembra immutabile, statico, ma in realtà in continua evoluzione. Nostalgici e sognatori, depressi ma con una sfrenata voglia di passionalità.

 

Editors
EBM
PIAS

 

Marta Annesi

Dropkick Murphys “Turn Up that Dial” (Born & Bred / PIAS, 2021)

L’Irlanda a casa tua

 

Classico Pub Irlandese: profumo di legno intriso di birra, umidità, chiacchiericcio. Tutti appicciccati col naso nella pinta. Musica Live.
Ecco quello che ci manca, quello che la quarantena c’ha portato via: il pub non solo come posto in cui bere, ma soprattutto un luogo dove socializzare e ascoltare buona musica.
Ecco dove ci trasporta il nuovo lavoro dei Dropkick Murphys Turn Up That Dial, decimo album per la band americana più irlandese che ci sia.

Band proveniente da Boston, fin dal 1996 calca la scena musicale internazionale a colpi di Celtic Punk; famosi anche per aver partecipato alla colonna sonora di The Departed, film diretto da Scorsese del 2006, le loro sonorità palesemente celtiche hanno sempre attirato skinhead (di destra e di sinistra), dai quali si sono sempre discostati. Hanno sempre affrontato temi sociali, mai sfociando nella politica, per evitare di influenzare i fans, ma sono molto attaccati alle lotte della classe operaia, e appoggiano i sindacati.

Gli anni trascorsi non hanno cancellato la loro voglia di far musica e di comunicare tramite essa. Con il loro stile inconfondibile hanno presentato, (non a caso il giorno di San Patrizio) alcuni brani del nuovo album, in un concerto live stream secondo le regole anticovid vigenti. “Pugni in alto e alza il volume” è il messaggio insito in questo album che la band, con 25 anni di esperienza vuole diffondere la sua gratitudine ai fans, sfornando un album tutto da ballare.

Con brani come Middle Finger, col suo ritmo celtic punk è un invito alla ribellione, a non abbassare mai il dito medio, a combattere per ciò che riteniamo giusto. Strofe indiavolate che sfociano nel ritornello figherrimo “I could never keep that middle finger down”.
Teppistelli attempati che non hanno perso il vigore dei primi anni: è una rarità che una band conservi l’energia vitale per così tanti anni, non cambiando minimamente, anzi progredendo nel loro personalissimo modo di fare musica.

Il singolo che da il nome al loro album, Turn Up That Dial, è un’ode, un ringraziamento alle band che li hanno accompagnati nell’adolescenza, che, urlando rabbiosi nei loro walkman, sono riusciti in un’opera di catarsi con la giovane collera tipica dei teenager.
Pezzi come Good As Gold, L-EE-B-O-Y, ritmo serrato, schitarrate pesanti e batterie battenti sono fatte per pagare sotto palco o, in questo particolare periodo, per fare le faccende di casa con uno sprint in più.

Per la prima volta, spiega Ken Casey fondatore dei Dropkick Murphys, hanno deciso di chiudere un loro album con una canzone decisamente più lenta e evocativa. Un tributo al padre di Al Barr, una malinconica e toccante marcia arricchita dalla fisarmonica e dalla cornamusa, che dona al pezzo una solennità unica.

L’Irlanda è più vicina di quel che pensiamo. L’Irlanda è sentirsi a casa, non importa quale sia il tuo paese di provenienza. L’Irlanda ce la portano un gruppo di “boomer” americani, che possiedono più energia e voglia di far casino dei ventenni.

FUN FACT: il13 marzo 2013 Ken Casey, durante un’esibizione al Terminal5 di New York ha aggredito un tizio per aver fatto il saluto nazista, ha preso il microfono e ha detto:
“NAZIS ARE NOT FUCKING WELCOME AT DROPKICK MURPHYS SHOWS!”

 

Dropkick Murphy

Turn Up that Dial

Born & Bred / PIAS

 

Marta Annesi