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Tag: poesia

L’infinito di Giacomo Leopardi

Duecento anni di dolce naufragare, tra musica e poesia

 

<< Perché Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo, che non ti senta migliore; e non puoi accostartegli, che non cerchi innanzi di raccoglierti e purificarti, perché non abbi ad arrossire al suo cospetto >>.

Francesco De Sanctis

 

Vicino al palazzo della famiglia Leopardi, a Recanati, si leva un’altura solitaria, dalla cui sommità lo sguardo può spaziare sul panorama sottostante. Un panorama che si estende dai colli al mare.

Durante la sua giovinezza, Giacomo Leopardi (1798 – 1837) vi si recava spesso, non tanto per ammirare la vista, quanto per immaginare: seduto dietro a una siepe che gli impediva di vedere il lontano orizzonte, egli lasciava operare la forza creativa della mente.

Un potere che, stimolato dalla momentanea sospensione dei sensi, lo rendeva spettatore di scenari ben più ampi, al limite della dimensione spaziale e temporale, quasi al di là della condizione umana. Nacque proprio qui L’infinito, uno dei più celebri componimenti del poeta, l’Idillio per eccellenza, contenuto nei Canti.

 

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A duecento anni dalla sua prima stesura, la città di Recanati ha voluto festeggiare l’importante anniversario organizzando conferenze, mostre, spettacoli e concerti dal 21 al 24 marzo, inaugurando la serie di eventi proprio in occasione della Giornata mondiale della Poesia, istituita nel 1999 dall’Unesco.

La data, che segna anche l’equinozio di primavera, riconosce all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturali, della diversità linguistica e culturale, della comunicazione e della pace. La celebrazione, appunto, cade il primo giorno di primavera in armonia con l’idea di un’arte poetica originaria e presupposto di tutte le altre forme di creatività letteraria ed artistica, luogo fondante della memoria della nostra società” – (dalla XXX Sessione della Conferenza Generale Unesco).

Il suggestivo palcoscenico del Teatro Persiani ha accolto il primo grande ospite della manifestazione, testimone del possibile incontro tra musica e poesia: Samuel, frontman dei Subsonica.

 

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Che cosa accomuna il cantautore e il sommo autore marchigiano? Innanzitutto, la centralità del concetto di infinito. Lo scorso 12 ottobre, la band di Torino ha pubblicato il nuovo album intitolato 8, un numero dalla valenza sia matematica, essendo l’ottavo lavoro in studio, sia metaforica.

Una cifra che, capovolta, rimanda al simbolo dell’infinito, allo scorrere del tempo e alla sua circolarità, in una sorta di eterno ritorno. Obiettivo, poi, del musicista è quello di non limitarsi al panorama di fronte a sé ma lanciare lo sguardo oltre la siepe, verso quell’orizzonte irraggiungibile che è prolifica fonte di ispirazione.

È questo costante andamento iperbolico che spinge l’artista a creare, ad innovare ed innovarsi. È il potente motore dell’immaginazione, madre di tutte le arti.

 

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Stasera, però, non ascolterete melodie propriamente “leopardiane” – ha confessato Samuel, prima di prendere posizione alla consolle e far ballare l’intero teatro sui ritmi dell’elettronica e della dance anni Novanta.

In realtà, il merito di aver osato nell’organizzazione di un dj set – che spesso sta per “utilizzo del suono alternativo e contemporaneo” – all’interno di un’occasione del genere, ha offerto la possibilità di indagare sulla natura del legame tra musica e poesia in tutta la produzione lirica del recanatese.

Le ore “suonano” ne Le ricordanze, così come suonano le “quiete stanze e le vie d’intorno al perpetuo canto” di Silvia nell’opera a lei dedicata. Suona il canto del “faticoso” agricoltore” ne Alla sua donna. Il vento “stormisce” ed ha una “voce” ne L’infinito. Tutta la poesia di Leopardi è come una cassa risonante.

 

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Versi più o meno noti sono suggellati da una colonna sonora a riprova dell’importanza che viene assegnata all’attitudine auditiva e al valore della vocalità. Fascinazioni e ritorni ad immagini concrete confermano la complicità tra suono e parola, tra musica e verso (si pensi al titolo dei Canti).

Chi teme, canta” – scrive Leopardi in un passaggio cruciale dello Zibaldone (3527), all’indomani delle delusioni del soggiorno romano (settembre 1823), durante una notte insonne e dominata dalla suggestione del vuoto. Un vuoto in cui l’immaginazione, diventata sterile, trova compenso in un’attitudine ad interrogarsi incessantemente, disperatamente.

Un vuoto che si apre a dismisura, che si muta in un fantasma di sogni quasi spezzati, esorcizzabile soltanto attraverso l’eccitazione dei sensi e della mente nell’armonia di suono e di parole. Un sogno che, benché sconfessato dalla realtà, se cantato, mantiene l’altissimo potere di attrazione.

 

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Chi teme, canta” – o meglio – invoca il canto come sorgente di forza sull’animo dell’uomo, in grado di colmare abissi, timori, incertezze. Non si pone come mero bisogno di distrazione, quanto come una rassicurazione, una restaurazione, soprattutto nel frangente della notte, quando le tenebre avvicinano alla constatazione tragica del rischio di fallimento.

Canto, melodia, musica e armonia sono assi portanti nella struttura poetica dell’autore. Si incontrano e si incrociano in un sistema che, a partire dal concetto di natura, assegna al suono un ruolo preminente, in linea con le teorie dell’arte nella sua primordiale autenticità pertinenti con la cultura estetica romantica.

Si afferma, in modo chiaro, nello Zibaldone (79): a differenza delle diverse arti (pittura, scultura, architettura, poesia) che “imitano ed esprimono la natura da cui si trae il sentimento”, solo la musica “non imita e non esprime che lo stesso sentimento in persona, ch’ella trae da se stessa e non dalla natura”.

 

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Secondo Leopardi, tutte le arti si servono dei più vari strumenti espressivi per raggiungere lo stesso obiettivo: il “diletto”.

L’identica considerazione vale anche per la musica i cui effetti, però, non appartengono alla sfera del “bello”, ma esclusivamente a quella del “piacere”, grazie alla capacità del suono di agire sull’animo umano a presa diretta, senza ricorrere al concetto di armonia, influenzato invece da molteplici indicatori di gusto.

I suoni, come gli odori, non sono definibili né belli né brutti, ma solo più o meno piacevoli. Essi, agendo direttamente sull’immaginazione e sul ricordo, suscitano quel desiderio infinito di cui il poeta tratta nella sua “teoria del piacere”, definendolo come tendenza connaturata all’esistenza che spinge l’uomo verso il piacere in senso assoluto.

 

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Un suono, un oggetto, un odore, un luogo ignoto, un ostacolo che restringe la vista, uno scenario sconfinato, sono i principali stimolatori di quella facoltà immaginativa che compensa l’inafferrabile conquista del piacere.

In questa accezione, il suono, sia in versione tenue che cupa, è un fenomeno naturale capace di evocare rappresentazioni poetiche: così una musica dolce o il rumore del tuono, un’orchestra classica o una traccia elettronica, la furia della tempesta o lo stormire del vento, creeranno “immagini bellissime in poesia”, rendendo dolce il naufragare.

 

Testo: Laura Faccenda

Foto: Luca Ortolani

Quando la musica elettronica incontra la poesia: da Spezia il progetto dei Mitilanti

Vengono da La Spezia, sono giovani e affamati di poesia (e di musica): si chiamano Mitilanti e sono un collettivo di poeti performativi. Da qualche tempo i loro testi sono entrati in contatto con una nuova realtà, la musica elettronica di Michele Mascis, dando vita ad un progetto innovativo di poesia sonorizzata che si è tradotto in un concept album intitolato Casa Dentro. Un prodotto che vuole raccontare il tema del viaggio e della marginalità nell’epoca della globalizzazione.

“Casa dentro contiene 6 brani inediti – ci spiegano – un progetto nato nella periferia della provincia della Spezia, in una mansarda di un borgo, San Venerio, che si affaccia sulla centrale elettrica a gas e carbone Eugenio Montale.

La nostra fonte di ispirazione – continuano – è stato “Il bestiario” di Maria Monti con Aldo Braibanti, oltre a performer come Luigi Nacci, Lello Voce, Gabriele Stera, ed esperienze come quella di Max Collini, (Spartiti, Offlaga Disco Pax), Pierpaolo Capovilla e Massimo Volume”.

Noi di Vez abbiamo fatto due chiacchiere con Michele, che ci ha raccontato della sua collaborazione con i poeti e di come la musica elettronica si sia adattata perfettamente alla loro forma d’arte. Un progetto nuovo e originale che ci auguriamo di sentire presto dal vivo.

Ecco l’intervista!

 

Ciao Michele! Raccontaci un po’ di te…

Ciao Vez! Sono Michele Mascis e sono un musicista…per hobby! Si può dire che la musica sia il mio passatempo preferito che mi distrae dalla vita di tutti i giorni. Mi sono avvicinato a lei piuttosto tardi, intorno ai 18 anni e per questo mi manca tutta la fase tipicamente adolescenziale dei primi gruppi rock liceali. Le cose si sono fatte un po’ più serie dopo l’università, quando iniziai a interessarmi di produzione e di musica elettronica grazie ad un’amica. Piano piano cominciai a produrre la musica in autonomia e le cose cambiarono.

 

Negli anni subentrarono poi alcuni progetti…

Sì, nacquero alcuni progetti paralleli di cui faccio tuttora parte: prima di tutti i Frequenza, poi i Palmaria e infine i Mitilanti. A proposito di quest’ultimo, si tratta di un collettivo di poeti performanti che recitano poesie moderne. Qualche tempo fa mi chiesero di unire le forze per creare un qualcosa di originale facendo incontrare la musica elettronica alla poesia. Da questa collaborazione è nato il tema del disco, cioè il viaggio, che accomuna tutti i lavori.

 

Dai Frequenza, ai Palmaria fino ai Mitilanti: quali sono le differenze tra i progetti a cui hai aderito?

Frequenza e Palmaria sono due progetti molto vicini, soprattutto perché alcuni dei componenti sono gli stessi. I Mitilanti, come dicevo, sono invece un progetto diverso e originale per il quale mi sono messo a disposizione. Frequenza e Palmaria sono due realtà creative dove si mettono insieme le idee, mentre con i Mitilanti sono sostanzialmente due mondi differenti che si incontrano, si tratta di un progetto eterogeneo.

 

In che modo un musicista e dei poeti riescono a collaborare?

È molto semplice in realtà: loro mi mandano i loro testi tramite WhatsApp e io creo la musica lasciandomi ispirare dalle loro parole. Ma non è mai un processo unilaterale: una volta creata la melodia si discutono sempre i dettagli insieme in base alle esigenze e ai gusti del gruppo. Si parte sempre dalle parole e da alcuni riferimenti musicali, come possono essere i Massive Attack o altra musica elettronica. La cosa interessante è che non sono mai costretto a seguire uno schema preciso “strofa-ritornello-strofa” come nelle canzoni, ma il processo creativo è molto più libero e senza vincoli di tempo e durata.

 

L’album prende il nome di Casa Dentro, perché?

Si tratta di un concept album sul tema del viaggio – tema scelto da loro – dove si fa riferimento, in antitesi, alla casa come punto di riferimento nella vita. Sentirsi a casa dentro se stessi inteso come viaggio spirituale/mentale, ma anche il viaggio fisico fatto di movimenti e spostamenti. Uno dei suoni che ho proposto, infatti, è stato proprio quello dei passi di chi affronta il viaggio a piedi.

 

Quali sono i tuoi progetti futuri in ambito musicale?

Sicuramente con i Frequenza e con i Palmaria c’è in progetto di continuare a suonare e fare uscire dei nuovi singoli. Mentre con i Mitilanti sarebbe interessante partecipare a qualche festival e suonare insieme dal vivo per l’Italia per far conoscere questa commistione di generi artistici.

 

Giovanna Vittoria Ghiglione