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Tre Domande a: Malvax

Come e quando è nato questo progetto?

I Malvax sono Lorenzo Morandi (voce), Francesco Ferrari (piano e synth), Francesco Lelli (chitarra) e Giacomo Corsini (Batteria) e nascono a Pavullo nel Frignano (Modena) nel 2014, quando Lorenzo e Giacomo, dopo aver suonato insieme ad un saggio di fine anno, decidono di mettere insieme una cover band. A loro si uniranno, nei due anni successivi, anche Francesco Lelli e Francesco Ferrari, e la band inizierà dal 2016 a comporre pezzi inediti. Il vero e proprio progetto Malvax nascerà poi, ufficialmente, nel 2018: abbiamo scelto il nome Malvax prendendo ispirazione da una pianta, la Malva, che da sempre viene utilizzata come antinfiammatorio, e aggiungendo la x per farlo sembrare il nome di un medicinale; un po’ per dire col nostro nome che la musica può e deve essere un rimedio nei momenti meno belli, e che può aiutare a elaborare emozioni ed esperienze nel modo più sano.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Le nostre influenze sono estremamente varie, siamo quattro ragazzi molto diversi e la cosa si rispecchia anche nei gusti musicali; nonostante ciò abbiamo sempre cercato di fare tesoro di queste differenze, cercando sempre di ampliare gli orizzonti, mescolare generi, influenze e suoni. In ambito nazionale, gli artisti che hanno avuto maggiore influenza su di noi sono sicuramente le grandi figure cantautorali del passato e del presente (Dalla, Guccini, De André, De Gregori e Cremonini su tutti), ma negli ultimi anni hanno avuto un grande impatto anche tanti artisti del panorama indie (Calcutta, Gazzelle, Pinguini Tattici Nucleari, ecc…). Anche la musica internazionale ha lasciato una grande impronta su di noi, soprattutto per quanto riguarda il pop-rock inglese, dal Britpop degli anni ’90 (Oasis, Radiohead) ad artisti contemporanei, Coldplay su tutti.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Sicuramente il nostro modo di fare musica non ha nessuna pretesa morale o filosofica, non abbiamo mai cercato nulla di tutto ciò. La nostra musica si limita a raccontare quello che siamo, quello che viviamo, raccontiamo la nostra vita con la speranza che qualcuno, ascoltandola, ci ritrovi parte del suo mondo, che anche solo un’immagine, una frase o una parola lo faccia sentire parte di qualcosa; siamo convinti che la musica sia il miglior mezzo in assoluto per condividere qualcosa, per sentirci meno soli.

Tre Domande a: Lamo

Come e quando è nato questo progetto? 

I brani per come sono oggi ho iniziato a scriverli nel settembre del 2019, anche se già da anni mi esercitavo nella scrittura, alla ricerca del mio modo espressivo. Dopo un’infanzia a nutrirmi voracemente dei dischi che c’erano in casa (Beatles, Dalla, Battiato e tanti altri) crescendo ho sentito il forte richiamo alla scrittura, quasi un’esigenza viscerale, che però all’inizio si manifestava in maniera disordinata e scomposta, con molta autocritica e anche un po’ di vergogna. L’esperienza da musicista per altri artisti che amo, mi ha formata e mi ha aiutata a mettere insieme le parti di me che andavo cercando. Raffaele “Rabbo” Scogna è stata una figura fondamentale per riordinare e mettere a fuoco le idee, grazie al suo talento di polistrumentista e alla sua sensibilità umana e Federico Carillo una guida importantissima per portarle a termine, grazie al suo gusto e alla sua curiosità. 

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi? 

Più che “ispirarci” a degli artisti, per me ascoltare musica che mi gasa è un vero e proprio motore di adrenalina, che alimenta il desiderio di creare. Quando ascolto musica, ciò che mi soddisfa e mi da gioia è sentire un’autenticità che si manifesta. Dei progetti contemporanei amo la spontaneità dei ComaCose, la visceralità e l’umiltà di Blanco, l’umanità è la profondità di Brunori sas, la poeticità di Lucio Corsi, la classe di Ditonellapiaga, la delicatezza di Tricarico. Dall’estero in questi ultimi due anni sono stata folgorata dallo stile e il sound di Noga Erez, l’originalità di Rosalía. Poi ci sono mille altri artisti che adoro, dai più classici e storici ai più sperimentali e psichedelici ma sarebbe impossibile elencarli tutti. 

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta? 

Il punto di arrivo per me è appunto essere in grado di esprimere me stessa senza fronzoli, far arrivare la mia autenticità che possa piacere o meno, ma che sia qualcosa che mi appartenga davvero. Mi rendo conto che è un percorso di ricerca continua, ma vedo che man mano continuo a scrivere, man mano si aggiunge un tassello, quindi spero che il mio primo disco che uscirà nel 2022 per Sound to be, possa essere un quadro ben rappresentativo del mio modo di osservare il mondo. In una società che tende ad omologarci, credo che l’atto più rivoluzionario sia riuscire ad esprimere tutti le nostre diverse sensibilità per arricchirci a vicenda.

Tre Domande a: Boccanegra

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Gli argomenti che affronto nelle mie canzoni dipendono dal periodo e dallo stato d’animo associato ad esso. Non mi è mai successo da quando ho iniziato a scrivere di pensare: “Ah, come vorrei che un potenziale ascoltatore o ascoltatrice provi questo mentre ascolta questa parte del pezzo!”. Le canzoni, così come le poesie e le opere d’arte visive, sono spesso frutto di un tentativo non ragionato di cogliere un qualcosa di inatteso e temporaneo che ci passa davanti agli occhi: nel mio caso in particolare, quello che faccio è semplicemente cercare di riportare in maniera fedele sulla carta, sulla chitarra o su Ableton la mia visione di quel particolare momento, che essa sia densa di sentimento o si tratti di una semplice descrizione. Certo, la fantasia va allenata e può capitare che una creazione richieda del ragionamento per arrivare a maturità (in fase di produzione in studio per esempio); ma senza un margine di libertà e irrazionalità iniziale è difficile che un’idea originale prenda forma.
C’è poi un altro punto che è sempre importante ricordare, cioè che la musica si fa sempre in due, autore e ascoltatore. Ascoltando il testo di una canzone cerchiamo spesso di forzare sentimenti o pensieri al suo interno, è una maniera per sentirci compresi. Non è da escludere però che magari l’autore in testa aveva un’idea completamente diversa! Quando ero pischello e scrivevo per il gruppo (i Boccanegra) avevo il mito del brit-rock e i testi, per come li avevo io nella mia testa di adolescente, mi facevano sentire il più cool dei bad boys di Sheffield che faceva pogare tutto alle feste del liceo: se oggi risento Zucchero Candito e i vecchi pezzi, invece, ritrovo aspetti sensibili che al tempo non ero in grado di cogliere perché pensavo che altre cose saltassero di più all’orecchio.
Tuttavia, se volete, un elemento accomuna tutto quello che ho prodotto finora: il tentativo di parlare direttamente all’ascoltatore e di fare in modo che la mia musica sia per lui o per lei un amica fedele capace di mostrare una verità liberatoria e ordinata.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Durante il lockdown sono diventato un grande seguace di Tutti Fenomeni. Ha delle super trovate dal punto di vista lirico e contenutistico: in un panorama di sonorità synth già logore dopo pochi anni di musica indie e di testi copincollati sulla depressione della vita post universitaria, ho trovato i suoi pezzi una boccata di aria fresca. L’ambiente musicale di provenienza è completamente diverso dal mio, ma lo sento molto vicino per una serie di cose: dalla critica diretta priva di retorica ad alcuni aspetti della contemporaneità alla capacità di dipingere in poche parole situazioni ed atmosfere. Entrambi concordiamo sul fatto che “mediocri governano la nostra estetica”: Giorgio reagisce con un flusso di coscienza fatto di battute limpide e dritte nei denti, io ci provo con la narrazione e con la trama. Per questi motivi mi ci sono avvicinato: molti sostengono che ci assomigliamo pure, chi lo sa magari è mio fratello.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

Non particolarmente, anche se mi diverte molto. In verità, postare e fare storie sui social è anche un bel passatempo, me ne sono reso conto standoci in maniera più strutturata in corrispondenza dell’uscita del Gorilla. Tuttavia, aderisco più alla “vecchia scuola” per cui un artista forma se stesso e il pubblico principalmente in live. È sul palco, al parco, alle feste e nei contesti sociali in cui si creano le connessioni e si cresce con la propria musica. Il social è una bella vetrina per fomentare l’hype, ricordare chi sei a chi ti ha visto dal vivo e per mostrare a tutti la propria attività: richiede tanto tempo oltre che una certa inclinazione caratteriale perché ci possa essere piena integrazione tra avatar sulla rete e vita reale. Ormai è qualcosa da cui non si può prescindere, per cui è diventata una necessità, a meno di scelte radicali (comprensibili), trovare una posizione non invasiva dei social nel nostro quotidiano. 

 

Tre Domande a: JacksonT

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi? 

Si, ci sono diversi artisti che sono la mia fonte di ispirazione, per tantissimi motivi. Artisti del calibro di Ernia, Rkomi, Il Tre, e così via, potrei elencarne qua molti altri. Io ascolto molta musica, prevalentemente italiana, prevalentemente rap, pop. Sono in assoluto i generi che preferisco. Questo non esclude la musica straniera, perché artisti come Justin Bieber, The Kid LAROI, Ed Sheeran, sono comunque tra i miei preferiti. Degli artisti sopracitati mi piace molto la scrittura, le linee melodiche che vanno a cercare, il significato dei loro testi. Insomma io credo che bisogna sempre imparare da chi è più bravo e da chi ha più esperienza di te e, se possibile, prendere spunto per poi andare a costruire un progetto nuovo e fresco.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta? 

Beh, vorrei far arrivare in primis le emozioni; le stesse emozioni che ci metto dentro quando scrivo una canzone e quando la vado a registrare. Scrivere canzoni non è facile, perché è un qualcosa di prettamente personale e, se a qualcuno non piace, ti senti in un certo senso ‘ferito’. Mi piacerebbe davvero raccontare delle storie, alcune felici, altre un po’ meno, anche perché la musica è la metafora della vita, ci sono giorni tristi e ci sono giorni felici e così sono le canzoni. Le mie prime tre pubblicazioni hanno un senso logico, però credo che non sia facilmente percettibile. Io sto costruendo un vero e proprio percorso artistico, con la speranza che prima o poi quest’ultimo venga capito e apprezzato per quello che è.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

I social, ahimè, sono molto importanti oggi giorno. Se torniamo indietro di qualche anno, il buon vecchio passaparola non smentiva mai, adesso invece purtroppo non è così. I social sono letteralmente il tramite tra artista e pubblico. La comunicazione è importante. Io personalmente per ogni pubblicazione ho cercato di catturare l’attenzione del mio pubblico virtuale, per cercare di incuriosire. Purtroppo non è facile, viviamo in un periodo storico dove l’ascolto della musica è passivo, totalmente passivo. Bisogna cercare di farsi spazio e dire a tutti ‘hey, guardate che ci sono anche io!!’. Sono sicuro che non mollerò, anche perché sono all’inizio di questo percorso, sto seminando tanto, spero di raccogliere i frutti in futuro.

Tre Domande a: California

Come e quando è nato questo progetto?
Il progetto nasce da una forte amicizia con il  chitarrista Fabio Brando (ex Canova), una sera di agosto di due anni fa. Dopo una pizza entrammo nella sua stanza per chiacchierare, lui si sedette al pianoforte e mi disse “Dai, io invento un giro e tu ci canti delle frasi sopra!” . Quella sera nacque una della canzoni a cui siamo più legati, la prima del progetto (di cui ora non posso dire il titolo, lo scoprirete più avanti).
Tutto comunque è nato in maniera naturale senza forzature, dalla passione che hanno in comune due veri amici, che sfogano le proprie ansie e i propri problemi con la musica. Da lì in poi sono arrivate altre canzoni, come Mediterraneo appunto.
Fabio mi ha inoltre seguito in studio durante il processo creativo nella lavorazione dei brani, insegnandomi e consigliandomi un sacco di cose che non conoscevo, è stato un vero e proprio guru, non smetterò mai di ringraziarlo!
Ci sono degli artisti a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?
Solitamente ascolto davvero tutto, soprattutto nell’ultimo periodo, dove il mercato discografico è ricco di uscite.
Io però sono cresciuto con il pop/rock americano: Blink 182, Sum 41, Green Day, Offspring, ma anche la scena britpop come Oasis, Blur e The Verve. Ci sono poi altri gruppi ai quali sono molto legato come i Nirvana, quando ho cercato di scrivere e comporre musica in studio mi sono sempre ispirato a loro. Il suono di quei gruppi per me rimarrà sempre il mio preferito, tant’è vero che nonostante ascolti un sacco di altra musica, torno poi sempre a quella, perche è l’unica che ancora oggi mi dà forti emozioni e mi riporta un po’ alla mia adolescenza.
Per i testi invece è un discorso diverso, nel senso che non mi sento vicino a nessuno, qualcuno mi ha detto che somiglio a Gazzelle, anche se lui scrive da dio, io no!
Mi piace molto inventare racconti, storytelling dove la gente si rivede, ma anche parlare della vita che vivo tutti i giorni. Credo che al giorno d’oggi, scrivere cose autentiche ma soprattutto sincere sia la chiave per far bene.
Come ti immagini il tuo primo concerto live post pandemia?
A volte me lo sogno la notte. Giuro, non scherzo, ci penso spesso con la speranza che arrivi presto.
La cosa più bella della musica è portare alla gente il tuo lavoro, farglielo ascoltare dal vivo, senza filtri, solo loro e la tua musica.
Dopo un periodo così tragico e pesante c’è bisogno di concerti, di aggregazione, e non capisco perché a oggi ancora si sia mosso ben poco.
Nei piccoli live che ho fatto mi piace trasmettere al pubblico energia, ma anche far riflettere con i pezzi più lenti. Insomma, spero arrivi presto il mio primo concerto post pandemia, e spero pure di avere tanta bella gente sotto al palco da invitare a bere una birra insieme finito il live!

Tre Domande a: Frank!

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

L’artista, o meglio, la band con cui mi piacerebbe collaborare di più in questo momento sono The 1975, gruppo britannico per il quale ho un debole da molto tempo. Le loro sonorità penso si sposerebbero bene con le mie essendo a metà tra l’analogico e il digitale. L’unione del mio mondo sonoro con il loro amplificherebbe la dimensione ibrida in cui mi piace gravitare.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?
Il mio primo concerto post-pandemia lo immagino con tante persone che cantano a squarciagola le mie canzoni, che ballano e si divertono tanto quanto me! Se ci penso, riesco quasi a sentire quell’emozione prima di salire sul palco, quell’ansia che poi si trasforma nella spinta giusta! Essendo i miei brani usciti dopo l’avvento del COVID purtroppo non ho ancora avuto occasione di suonarli dal vivo davanti ad un pubblico. I concerti sono sempre stati uno dei miei aspetti preferiti del fare musica. Mi mancano moltissimo i palchi e non vedo l’ora che sia finalmente possibile ritornare a pieno regime anche per quanto riguarda i live show!

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?
Penso che ogni artista abbia sognato almeno una volta di suonare a Wembley. Uno stadio cosi grande e iconico sarebbe il massimo per me oltre che un grande privilegio essendo stato palcoscenico di molte band e artisti che nel corso degli anni hanno fatto la storia. Per quanto riguarda i festival, su tutti mi piacerebbe suonare al Glastonbury Festival, con tutte quelle bandiere che sventolano tra il pubblico!

Tre Domande a: UVA

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Ho la fortuna di avere un altro lavoro, però è stato un momento super difficile, e penso che rimarrà così ancora per un pò. In questo periodo è importante andare ai live per supportare la musica e gli artisti.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Un’emozione, vorrei che gli ricordasse qualcosa, qualche esperienza della sua vita qualche momento. Che gli facesse un po’ da colonna sonora del momento.

 

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Ce ne sarebbero tantissimi. Non ho un idolo in particolare, non seguo le orme di una persona, o cose del genere. Mi piacciono tanti artisti diversi, per altrettanti diversi motivi. Dipende da cosa si vuole comunicare, ogni artista ha la propria chiave di lettura.

Tre Domande a: Andr3

Come e quando è nato questo progetto?

Andr3 è un progetto nato da poco, ho scritto Portovenere 254 quasi un anno fa ma il primo singolo l’ho pubblicato solo da qualche mese; è il mio progetto solista e che mi rappresenta totalmente, soprattutto perché è il mio primo progetto musicale in italiano e questo mi da la possibilità di esprimere al 100% quello che voglio dire.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi? 

Mi ispiro a tantissima roba, soprattutto perché sono cresciuto con il punk rock californiano dei primi anni 2000, con l’alternative rock inglese degli ultimi anni e ho avuto una grande fonte di ispirazione anche dai grandi producer e DJ EDM. Quindi le mie influenze vanno dai Bink 182, ai Bring Me The Horizon e i Linkin Park, per poi finire a Martin Garrix, Avicii e The Chainsmokers
Con il genere pop italiano è sicuramente difficile inserire certe sonorità ma quella è la musica che ascolto di più.

 

Progetti futuri? 

Ho finito da poco la registrazione di tre nuove canzoni, spero di far uscire un EP a Ottobre che comprenda appunto i tre pezzi già usciti e i tre inediti.
Spero di riuscire anche a fare dei concerti il prima possibile ma ora sono concentrato sulla promozione del nuovo singolo e portare a termine il mio primo disco.

Tre Domande a: platìni

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Nonostante l’assurdità di questo ultimo periodo, per tutto e per tutti, paradossalmente credo sia stato fondamentale per la mia musica. Poco più di una settimana prima della chiusura totale di Marzo 2020, quando ancora non si sapeva quello che sarebbe successo da lì a poco, ho chiuso il primo pezzo del progetto platìni.
Dopo una serie infinita di tentativi finiti nel cestino del mio Mac ero arrivato ad una quadra musicale che forse mi soddisfaceva e che mi ha fatto dire “OK, forse questa roba mi piace per davvero, da qui posso partire”. E così è stato. Ho sfruttato tutto il tempo libero che avevo chiuso in casa a produrre i pezzi che poi sono diventati i primi pezzi di questa avventura e che adesso stanno iniziando ad uscire.
Quindi a livello artistico, per mettere a fuoco davvero il tipo di sonorità che volevo dare ai pezzi che avevo scritto, è stato importantissimo questo tempo di sospensione che abbiamo vissuto a causa della pandemia. E probabilmente è stato d’aiuto anche per farmi smettere di rimandare il momento in cui prendere la decisione di lanciarmi poi con il progetto solista. In un momento di totale incertezza, dove davvero si faticava e si fatica tutt’ora a capire cosa succederà mi sono detto “Vado, io da adesso cerco di esistere, va come deve andare e vediamo che succede”.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare? 

Milano è una città che, abitandoci piuttosto vicino, ho frequentato spesso per diversi motivi ma in particolare modo per la musica e per tutta l’offerta di concerti che offre. Un festival iconico per Milano, e forse per l’Italia in generale, che negli anni si è fatto sempre più grande ed importante, a cui ho partecipato diverse volte come spettatore (ma una volta mi ci sono ritrovato pure a spillare le birre) è il MiAmi. Quindi forse forse, se dovessi scegliere un festival a cui terrei in modo particolare a partecipare, potrebbe essere proprio questo. Anche solo per il gusto di poter dire al me sedicenne e ventenne e venticinquenne e così via, che più volte si è trovato sotto quei palchi, “Toh, guarda, a sto giro ci sei sopra tu, bravo!”.
E poi va beh dai, anche un capatina al Festival di Sanremo non sarebbe mica male.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro? 

È ovvio e forse anche un po’ banale ricordare e ricordarsi quanto i social siano in questo momento uno strumento importante, importantissimo, probabilmente fondamentale e quasi indispensabile per un artista emergente. Non sono mai stato un grande frequentatore dei social, o quanto meno non in modo attivo. Da quando è partita questa avventura come platìni però mi ci sono lanciato, con un certo entusiasmo e senza fatiche.
Sono un gran coglione, mi piace proprio fare il deficiente nella vita, e se nelle canzoni mi prendo sul serio, a volte forse fin troppo, con i social mi piace lasciar passare la mia parte più cazzona. Per dire “Oh, guardate che se nei miei pezzi cerco di dire solo cose più o meno serie, nella vita in realtà sono anche questo gran pistola che vedete nelle storie di Instagram”.
Ah tra l’altro, momento marchetta, su Instagram sono platini.wav

Tre Domande a: Zoelle

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto Zoelle nasce in piena quarantena, durante il primo lockdown. La solitudine di quel momento mi ha spinto a tirare fuori i pensieri più profondi e metterli in rima, sfruttando quell’irreale silenzio per dare voce a tutte le sensazioni negative che mi divoravano dentro. Un vecchio pianoforte e una chitarra sgangherata mi hanno permesso poi di trasformare tutto questo in musica e in seguito, grazia alla collaborazione con Joestar e Akiyame, i miei attuali produttori, ho confezionato le mie prime canzoni.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare? 

Nel futuro immediato mi piacerebbe collaborare con Etmo, un giovane rapper di Torino che fa parte del roster RKH e registra nell’omonimo studio a cui mi appoggio per i miei brani. Mi sono innamorata del suo stile e della sua musicalità e credo che con la produzione giusta potremmo tirare fuori qualcosa di speciale.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perchè? 

Se dovessi scegliere una sola canzone sarebbe senza dubbio Fanfara Dark, il mio brano d’esordio. Comporla è stato come fare un salto nel buio. Mi ha portato in una dimensione nascosta, in cui mi sono svestita dei panni di Martina per indossare quelli di Zoelle. Probabilmente avevo solamente bisogno di dimostrare a me stessa di potercela fare e quel brano rappresenta in pieno l’iniezione di fiducia di cui avevo bisogno per andare avanti e inseguire i miei sogni.

Tre Domande a: Brunacci

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Vorrei che chi mi segue, una volta ascoltata la canzone, sentisse un po’ di conoscermi, come se avesse parlato con me. Vorrei che le mie canzoni facessero sentire meno soli e che dessero la forza per affrontare al meglio le difficoltà.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole quali sceglieresti e perchè? 

Vera: perchè nelle mie canzoni non c’è nulla di inventato, ogni pezzo è una piccola parte di me.

Semplice: amo cantare degli aspetti semplici della vita e racchiuderli in una canzone. Nella musica anche la cosa più semplice, e non banale, prende un grande significato.

Profonda: per quanto io parli di aspetti semplici cerco sempre di ricavarne uno spunto di riflessione più profondo. Le cose semplici mi aiutano a concentrarmi meglio su ciò che conta.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perchè? 

Ogni mia canzone racconta qualcosa di me. Non è facile scegliere fra una di loro, in questo momento probabilmente sarebbe Quel che è, l’ultimo pezzo uscito, perchè rappresenta quanto il mio pensare a volte sia nocivo e mi impedisca di godermi le cose belle della vita.

Tre Domande a: Guidobaldi

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Sono molto legato a tutte le canzoni di Scusate il ritardo, il mio primo album, ma sceglierei Cartolina Portuense, non solo perché è stato il primo singolo, ma anche perché è il brano con cui si apre il disco: è il primo di sei capitoli di una storia d’amore in cui l’ascoltatore si può immedesimare.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Nell’immediato? Mi immagino un concerto in acustico, molto intimo, col pubblico distanziato, ma entusiasta di ritrovarsi ad ascoltare della musica dal vivo. Sarà potente e sicuramente molto emozionante per tutti noi. Quando invece avremo davvero sconfitto il virus, allora il concerto sarà una festa dalle chitarre distorte e dai piedi pestati. In ogni caso, non vedo l’ora di girare l’Italia con la mia chitarra.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il vostro lavoro?

Non sono mai stato molto attivo sui social, anzi sono fermamente convinto del fatto che la miglior promozione possibile per noi artisti siano i concerti. Ma la pandemia ci ha insegnato che il flusso digitale è l’unica cosa inarrestabile, perciò ho iniziato a dedicar loro più tempo, per cercare di rimanere in contatto con il mio pubblico e anche per cercare di ampliarlo, ma non sono e non sarò mai un influencer, il mio posto è sul palco e non dietro a un telefono.