Skip to main content

Tag: protomartyr

VEZ5_2020: Massimiliano Mattiello

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Young Jesus “Welcome to Conceptual Beach”

Sono in quattro, sono di Los Angeles e il loro è un disco irregolare ed emozionante che esplora territori prettamente art rock.
In tre quarti d’ora di musica emergono influenze jazz, Talk Talk e post-rock con grande gusto melodico e una creatività compositiva in cui fluttua leggiadra una voce dichiaratamente ispirata a maestri come Antony/Anohni. La loro musica non si pone limiti a proposito di struttura e durata delle composizioni.
L’album lo considero, senza titubanze, una genuina sperimentazione che fa emergere momenti in cui l’ingegno del quartetto californiano incontra il genio.

Traccia da non perdere: (Un)knowing

 

Moses Sumney “Græ”

Statunitense di origini ganesi, Moses Sumney offre un paesaggio sonoro lungo e alieno, complesso e intricato, dove ci si specchia senza pudore e in modo estensivo. Il cantautorato di questi 20 pezzi è stilisticamente liquido e caleidoscopico. Trattasi di un songwriting mutante nel quale fiati, chitarre, violini, archi, arpe, elettronica e tasti vari costituiscono un folklore totalizzante a contrasto di una cornice intimista.
È lampante l’eleganza con cui vengono disposti ingredienti di electro-R&B, tendenze jazz, pop barocco, nu-folk e art-rock.
Moses l’ha chiamato Græ, ma per quel che mi riguarda, i suoni e i temi di questo disco hanno più i crismi dell’esplosione di colori di un Holi indiano convertito in musica. Mai come in questo caso, il grigio diventa un colore carico di riflessi iridescenti di incatalogabile bellezza.

Traccia da non perdere: Bless Me

 

Horse Lords “The Common Task”

Tra colleghi architetti spesso scherziamo definendo alcuni tentativi di minimalismo come una semplice scusa per non fare. Beh, per il quartetto strumentale di Baltimora, il minimalismo musicale è, al contrario, materia molto complessa.
In origine per similitudine accostabile ad una geometria simmetrica, pian piano il disco percorre un’asimmetria come generatrice del tempo musicale nel quale vengono miscelati in un ordine marziale math-rock, matrici afro, e un sapore fortemente kraut rock. Poliritmie angolari definiscono una musica atonale di un’intensità notevole.
Lo trovo un groviglio perfettamente composto di trame e ritmi, nel quale il climax crescendo dell’opera diventa la sublimazione di una sperimentazione lucida e conturbante.

Traccia da non perdere: People’s Park

 

Gil Scott-Heron & Makaya McCraven “We’re New Again – A Reimagining by Makaya McCraven”

Makaya McCraven, talentuoso batterista e compositore della scena di Chicago, crea un progetto dove decide di impiegare il suo estro di arrangiatore, produttore e performer al servizio dell’immaginario del poeta-cantautore di Chicago, “rimaneggiando” I Am New Here, ultimo, folgorante disco di Gil Scott-Heron, cantante e poeta di livello stellare scomparso nel 2011.
Reimmergendo la forza vocale e verbale di Gil Scott-Heron in un rinnovato flusso strumentale, il risultato è un approdo perfetto ad una sintesi fra sonorità elettroniche e acustiche dove il folk diventa rap, il free-jazz, gospel elettronico e molto altro ancora.
Dopo svariati ascolti posso considerare questi 40 minuti scarsi, un remix Jazz-blues contemporaneo pienamente riuscito, in cui un drumming sempre in prima linea e un cut-and-paste chirurgico rendono il disco una scrittura musicale (e feel da presa diretta) dalla forte evocazione culturale afroamericana. Contaminato e contaminante.

Traccia da non perdere: Me and the Devil

 

Adrianne Lenker “Songs / Instrumentals”

Adrianne Lenker dona un folk acustico dall’espressività emotiva coraggiosa. Il disco suona come una dolce confessione nella quale viene esternato un diario intimo di nostalgia e di inquietudine.
Arpeggi bucolici riempiono lo spazio di una musica che scorre in modo fisico, caratterizzata da suoni lo-fi e riverberi quasi naturali di pioggia e vento. Variabili tonali e armoniche della chitarra acustica vengono esplorate in un progetto unitario quanto brutalmente affascinante. La dimensione del disco è coinvolgente e sincera soprattutto nella sua incertezza lirica.
Un disco per anime sensibili, utile alle mie esigenze meditative.

Traccia da non perdere: Anything

 

Honorable mentions 

Yves Tumor “Heaven to a Tortured Mind” Un piacevole schiaffo glamour e smaccatamente pop sui canoni della black music più sperimentale. 

Jeff Parker & The New Breed “Suite For Max Brown” Qui i Tortoise c’entrano poco. Il disco è un percorso in cui un eclettico Jazz astratto viene contaminato dal groove dell’hip-hop e dall’elettronica, in un’epifania musicale impalpabile ma marmorea.

Special Interest “The Passion Of” Una voce male/educata, ritmiche elettroniche compulsive, suoni deflagranti e un espressività post-punk furente quanto necessaria. 

Brigid Mae Power “Head Above The Water” Un coinvolgente folk anglosassone dal respiro antico, un dolce lamento in cui anche la voce si fa strumento.

Protomartyr “Ultimate Success Today” Chitarre stridule e una voce flemmatica definiscono un post-punk in cui incombono pulsioni atomiche. Da non perdere.

 

Massimiliano Mattiello

VEZ5_2020: Alberto Adustini

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Mourning [A] BLKstar “The Cycle”

Collettivo di Cleveland che ruota attorno alla figura di Ra Washington, i Mourning [A] BLKstar hanno sfornato con The Cycle un disco monumentale, imponente e coraggioso. Odora di funk, di hip hop, di trip hop, c’è la black music, il soul, il tutto amalgamato in oltre sessanta minuti di godurioso ascolto. Scelgo tra tutti questa Sense Of An Ending, che ben racchiude le varie anime di questo capolavoro.

Traccia da non perdere: Sense Of An Ending

 

Daniel Blumberg “On&On”

Che Daniel Blumberg sia un genio non lo scopro certo io ma parliamo di un dato di fatto, un assunto incontrovertibile. Vederlo dal vivo è un’esperienza extra ordinaria, così come approcciarsi ai suoi dischi. Se avete amato il precedente Minus adorerete questo On&On, dove tra vette di cantautorato intimo e scarno aleggia sempre quel sentore di spirito libero, di improvvisazione e necessaria irrinunciabile tendenza all’abbandonare il sentiero battuto verso direttrici inesplorate.

Traccia da non perdere: On & On

 

Protomartyr “Ultimate Success Today”

I Protomartyr sono una mia grande, relativamente recente infatuazione, esplosa con lo scorso Relatives In Descent e consolidatasi con questo Processed By The Boys. Un disco che non ha le vette clamorose di Half Sister o di Here Is The Thing, ma è molto più consistente, convincente e, a conti fatti, superiore al predecessore. La base è la stessa, quel post punk con chitarre taglienti ed una sezione ritmica spaventosa, che trova la perfetta quadra con la voce distaccata come no di Joe Casey, ma a spiccare è il maggior azzardo sia a livello di arrangiamenti (comparse di sax e altri fiati qui e lì) che di scrittura e consapevolezza. Discone davvero.

Traccia da non perdere: I Am You Know

 

Keaton Henson “Monument”

Nel 2016 con Kindly Now Keaton Henson era stato il mio disco dell’anno e da allora era diventato il mio spirito guida, il mio faro, per me amante della musica triste o tristissima. Questo Monument è dedicato al padre recentemente scomparso ed è una lenta, accorata personale narrazione familiare, dove noi ascoltatori siamo privilegiati testimoni e necessari interlocutori.

Traccia da non perdere: Self Portrait

 

Waxahatchee “Saint Cloud”

Una delle sorprese per me dell’anno. Un disco che ho ascoltato e riascoltato e che mi ha fatto compagnia nei primi mesi di lockdown. Lei è Katie Crutchfield, statunitense, al quinto disco a nome Waxahatchee. E a mio avviso il migliore. Sarà che gli ingredienti che lo compongono sono tutti a me graditi, con reminiscenze di Macy Gray, Abigail Washburn, addirittura i Postal Service. Il capolavoro tuttavia è alla fine, St. Cloud, chitarra e voce all’inizio, poi poco altro in più. C’è da chiudere gli occhi e lasciarsi cullare. (per altro la qui presente utilizza un lessico pazzesco, se vi piace anche capire quello che ascoltate e vi piacciono un po’ le lingue)

Traccia da non perdere: St. Cloud

 

Honorable mentions 

Phoebe Bridgers “Copycat Killer / If We Make It Through December” Il mio guilty pleasure del 2020.

Claver Gold & Murubutu Infernvm” Un disco che andrebbe fatto ascoltare in tutti i licei. Non scherzo.

Pigs Pigs Pigs Pigs Pigs Pigs Pigs Viscerals Altresì detti quelli che spaccano i culi.

Non Voglio Che Clara Superspleen Vol. 1” La conclusiva Altrove/Peugeot è roba per pochissimi. 

Philip Parfitt Mental Home Recordings” In realtà è questo il disco dell’anno. Capolavoro senza senso.

 

Alberto Adustini

Protomartyr “Ultimate Success Today” (Domino Records, 2020)

Appena sotto resilienza/resiliente, nella speciale classifica di termini italiani che mi creano sentimenti poco amichevoli verso l’umanità tutta, si colloca divisivo.

Saltando a piè pari i contesti nei quali in tempi più o meno recenti mi è capitato di veder utilizzata la parola sopra citata, ho fatto questa scoperta sulla mia pelle: il fatto che una band abbia un cantante con una voce che ondeggia, barcolla meglio, tra il parlato che sovente diventa biascicato e il cantato che non di rado sconfina nello stonato, un’attitudine sul palco più adatta ad un netturbino in strada, alle 4 del mattino, in novembre, sotto la pioggia, aggiungiamoci una chitarra che mena fendenti acidi e nervosi senza sosta ed una sezione ritmica che strizza l’occhio diciamo ai Fall per dirne uno per tutti (insomma, tutte peculiarità che adoro e trovo quasi imprescindibili per poter ascrivere un gruppo alla mia cerchia di “band di culto”), ebbene, tutto questo ben di dio in un solo gruppo, e scopro che un sacco di gente non li apprezza. In alcuni casi arriva addirittura a detestarli proprio. Follia!

Si scherza ovviamente, ma la situazione sopra descritta si confà perfettamente al mio rapporto con i Protomartyr, quartetto di Detroit, giunti al quinto album in studio e che personalmente ho iniziato ad amare relativamente tardi, in occasione di quel Relatives in Descent, anno di grazia 2017, che è uno dei dischi che di rado mi stanco di ascoltare.

Amore dicevamo che però non si è affatto trasformato in un flirt estivo, al contrario, ma si è consolidato con l’EP Consolation (uscito in collaborazione con l’ex Breeders Kelley Deal) e che con quest’ultimo Ultimate Success Today è diventato una storia d’amore che non vedo come possa interrompersi.

Ora che ho scoperto da subito le carte e che non ho più spazio per bluff e doppi giochi, non ci giro attorno e direi che non sia sbagliato affermare che il succo, il nucleo di questo Ultimate Success Today non si discosti di molto dal suo predecessore, quantomeno nelle intenzioni, ampliandone però l’area di movimento, e non per una mera questione di incremento della strumentazione utilizzata; dopo nemmeno un minuto infatti dell’apertura affidata al singolo Day Without End compare un sax, ad aumentare il senso di tensione e sospensione di un brano di per sé già poco piantato a terra, che si spegne d’improvviso, quasi inatteso. 

I Am You Now ci riporta il Joe Casey (il cantante NdA) sermoneggiante di Here Is The Thing, mentre la chitarra di Gregg Ahee disegna incubi metropolitani su tappeti ritmici secchi e sincopati (vedasi anche la seguente The Aphorist) che risultano essere il vero marchio di fabbrica dei quattro.

Ascoltate Michigan Hammers per avere chiaro un compendio di come non si dovrebbe (pff…) cantare su di un disco, se siete di quelli che si trovano a proprio agio principalmente coi “poeti laureati”, io mi tengo stretto le esplosioni allucinate di Tranquilizer, il valzer drogato di Bridge & Crown, la dilatata coda, criptica e fatalista di Worm In Heaven (I exist, I did, I was here, I was, or never was recita il finale ), al quale si accompagna un video altrettanto allucinato, che merita 4.31 minuti del vostro tempo.

È un disco sconsigliato a quelli dal palato fino, a chi non ha ancora avuto il coraggio di affrontare i propri incubi peggiori, ai tecnofili (passatemelo come neologismo per piacere), a coloro alla ricerca di decorazioni, ornamenti e finiture di classe, ai canonici, agli amanti del reggaeton.

E se non rientrate in alcuna di queste categorie ed allo stesso tempo non vi siete innamorati di questo Ultimate Success Today, beh, de gustibus non est disputandum.

Divisivi si diceva…

 

Protomartyr

Ultimate Success Today

Domino Records

 

Alberto Adustini

Sospensione causa virus: il lockdown dei Protomartyr

I Protomartyr sono quattro, sono di Detroit, si sono formati nel 2008, suonano un viscerale post punk e con il loro Relatives In Descent del 2017 hanno riscosso unanimi consensi dalle principali riviste e siti musicali americani ed europei. In uscita in questi giorni, ritardata causa Covid, il loro ultimo attesissimo disco, Ultimate Success Today, che con ogni probabilità riscuoterà ancor più gradimento. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con il cantante, Joe Casey, per capirne qualcosa di più e sentire come si sopravvive chiusi in casa quando si sarebbe dovuti essere in pieno tour mondiale.

 

Ciao Joe, grazie per la tua disponibilità. Innanzitutto come stai?

“Beh, mi sono appena svegliato, quindi bene!”

 

Beato te! Ascolta, qui in Italia le cose stanno lentamente tornando alla normalità, lentamente… Si inizia ad organizzare qualche concerto, in luoghi piccoli, distanziamenti, mille accorgimenti e via dicendo. Coi Protomartyr avete dovuto posticipare l’uscita del disco che era prevista per maggio, sareste dovuti essere in tour proprio in questi mesi, quindi ti chiedo: come hai passato questo periodo? Hai ascoltato qualcosa di nuovo? Hai guardato film? Ti sei messo a scrivere?

“In tutta sincerità non ho fatto davvero niente di che in questo periodo… Proprio oggi (3 luglio, NdA) i nostri amici Cloud Nothing hanno pubblicato il disco nuovo, che hanno registrato durante la quarantena e che mi fa davvero incazzare perché a me non è venuta nessuna scintilla (creativa). Questo periodo mi ha ricordato di come vivessi prima di essere in una band, e non è stato il periodo migliore della mia vita diciamo… sto ingrassando di nuovo, guardo robaccia in TV, non riesco a leggere perché proprio non riesco a concentrarmi… non si tratta di un momento particolarmente creativo per la band, ecco. Sfortunatamente viviamo in America, e l’America non pare aver ancora capito come convivere e ridurre questo contagio, e francamente sono preoccupato perché non so quando potremo di nuovo suonare in giro…”

 

Ma sei a Detroit al momento? Perché alcuni amici in America mi dicono che la situazione cambia radicalmente da zona a zona…

“Sì, sono a Detroit ma il virus ha colpito in maniera molto più violenta proprio la parte di città nella quale vivo io. Per dire il più giovane decesso per Covid d’America viveva accanto a casa mia. Per un periodo la gente ha fatto quello che doveva, ma adesso hanno ricominciato a girare di nuovo senza mascherine e quindi non so che pensare… Poi, non so se da voi sia uguale ma qui i concerti saranno l’ultima cosa che permetteranno, quindi mi auguro sarà possibile tornare in tour nel 2021.”

 

Beh, lo speriamo tutti davvero, abbiamo tutti un gran bisogno di tornare sotto ad un palco. Ad ogni modo, parliamo di questo nuovo lavoro, Ultimate Success Today; l’ho ascoltato e riascoltato diverse volte in questo periodo e temo sia addirittura meglio di Relatives in Descent. Complimenti davvero. Possiamo dire che questo disco rappresenti una sorta di continuazione di Relatives ed anche dell’ultimo EP, Consolation?

“Allora, intanto grazie mille, sono contento ti sia piaciuto. Ti dirò, a livello di scrittura è stato direi grossomodo simile, ovvero Gregg (Ahee, chitarra) e gli altri realizzavano il pezzo e alla fine io ci mettevo sopra il testo. Ciò che è cambiato è stato che Gregg ha avuto il tempo per dire “ok, in questa canzone credo ci stiano bene gli archi, o su quest’altra il sassofono”, quindi rispetto al passato non potevi sapere come sarebbe stata la canzone finita fino all’ultimissimo secondo. Io personalmente non scrivo mai i testi fino a che non ascolto la canzone chiusa, finita, e non so quindi come mi fa sentire, cosa mi suscita. Per certi versi direi che mi ha ricordato un po’ quando registrammo il nostro primo disco.”

 

In effetti ho trovato semplicemente fantastico l’uso, l’introduzione del sax e del clarinetto, penso a Processed By The Boys o a Tranquilizer. Dicevi che l’idea è stata di Gregg ma pensi che la cosa possa avere un futuro, che possa diventare un’evoluzione nel suono dei Protomartyr o la possiamo considerare una parentesi, assai felice a mio avviso?

“L’idea è tutta di Gregg, sì, e principalmente perchè credo iniziasse ad essere un pò nauseato dal suono della band e dal dover incidere cinque o sei chitarre ogni volta e credo sia il motivo per cui ha deciso di esplorare nuove strutture, anche perchè ultimamente stava ascoltando un sacco di jazz. Personalmente sarei davvero entusiasta se il suono dei Protomartyr potesse espandersi in futuro ancora in maniera più marcata.”

 

Credi sia corretto sostenere che Ultimate Success Today rappresenti una sorta di continuazione di Relatives in Descent e dell’EP Consolation?

“Direi di sì. Consolation in realtà è più una collaborazione con Kelley (Deal, ex The Breeders) che ci è servita molto in quanto ci ha mostrato come accrescere, arricchire il nostro suono e che ci ha mostrato che inserire un oboe nel mezzo di una nostra canzone non era di per sè una brutta idea. Dal punto di vista dei testi c’è sicuramente una continuità. Se prendi il brano finale di Relatives, Half Sister, termina con le parole “She is trying to reach you / Trying to reach you”. Il primo brano di Ultimate recita “I could not be reached”. Quindi direi che i due lavori sono strettamente collegati.”

 

E tra le tracce, esiste un comune denominatore? Che so, un’immagine, una parola?

“Vedi, è strano perchè solitamente capisco, scopro di cosa parla davvero un disco quando sono in tour, ripetendo i versi ogni sera, ed è una cosa che non abbiamo ancora potuto fare con questo disco. Il titolo del disco è nato molto presto in effetti, perchè volevo spostare l’attenzione sull’ora, sul momento, “today is the day”. Passiamo troppo tempo a pensare a come sarà il futuro o a com’è stato il passato. Probabilmente è questo il trait d’union.”

 

Una curiosità. Conosci il detto “squadra che vince non si cambia”, che in inglese suona tipo “you never change a winning team”. Possiamo dire che nel vostro caso non funzioni proprio così? Mi spiego, ho notato che cambiate produttore ad ogni disco, e se penso che ci sono band che registrano con lo stesso team per tutta la loro carriera non posso non pormi la domanda…

“Credo che la cosa proceda di pari passo alla nostra voglia di sperimentare continuamente e non fossilizzarci. In realtà abbiamo lavorato con lo stesso produttore per il secondo e il terzo album ed in entrambi i casi probabilmente non siamo riusciti ad avere un pieno controllo ed una piena gestione del tutto, quindi ci siamo detti proviamo a lavorare con gente nuova, vediamo cosa possono portarci, in aggiunta. Anche con Sonny DiPerri (produttore di Relatives in Descent) abbiamo passato dei momenti fantastici, ma poi hai sempre voglia di vedere se c’è qualcuno in grado di portare il tuo suono ad un livello diverso e che sia disposto ad assecondarti. Di sicuro non ci piacciono troppo i produttori che tengono troppo le redini, “and no assholes””

 

protomartyr cover

 

Joe, volevo chiederti questo adesso, perchè è una cosa che ho notato l’altro giorno e mi son detto “non può essere un caso”. Tutte le copertine dei vostri dischi sono primi piani…

“Beh, per il primo disco c’era questo flyer che avevo fatto per un concerto e lo abbiamo usato perchè ci stava bene. Arriva il secondo e “oh shit” dobbiamo pensare ad una nuova copertina così ne ho preso un altro. Poi però mi son detto che volevo assolutamente che questa cosa continuasse e ti dirò che questo aspetto di curare e pensare all’artwork mi dà gratificazione e gioia tanto quanto registrare i brani. Anche se cerco sempre di non creare copertine troppo potenti, che rischino di schiacciare il disco. Credo però che se ascolti per diverse volte il nostro disco, alla lunga tu riesca davvero ad immaginarti quel mulo”.

 

Mi pare di capire che come band vi piaccia essere coinvolti e attivi non solo per quanto concerne la musica in sè, ma anche come si diceva con le copertine o con i video. Ne avete fatti di splendidi e sembra che ci diate davvero un grande peso.

“Fino a qualche anno fa era semplicemente un problema di soldi, nel farli o meno. Adesso che possiamo curare anche questo aspetto le cose si son fatte davvero eccitanti e ultimamente davvero interessanti. A parte il video di Processed By The Boys (ambientato in un coloratissimo set di uno scadente show brasiliano, merita di essere visto…), gli altri due (Worm In Heaven e Michigan Hammers) sono stati fatti durante il lockdown e quindi abbiamo dovuto essere in un certo senso più creativi. Spesso ho sempre ben chiaro in mente come vorrei venisse fatto un video, l’idea di fondo, ma a volte è bello lasciare anche carta bianca al regista e vedere quale idea gli suscita un determinato brano e scoprire che è totalmente distante da come lo immaginavi o l’avevi pensata tu. In realtà adesso abbiamo in progetto di fare un video per ogni brano del disco; è piuttosto dura da realizzare, soprattutto in questi tempi, ma ci stiamo provando”.

 

 

Parliamo un attimo dei vostri concerti. Stefano Solventi, una delle maggiori penne musicali in Italia, raccontando un vostro live di un paio di anni fa, introduce un interessante concetto di quarta parete, quella che separa il palco dalla platea, e dei vostri concerti usa l’espressione “teatro rock”. Sappiamo che ad un vostro live non ti vedremo mai fare stage diving, rotolare, saltare ed altre attitudini da rocker? Credi che abbia centrato il punto? Perchè personalmente non vi ho ancora visti dal vivo, però credo sarei un pubblico perfetto in quanto non canto, raramente batto le mani, non sono molto attivo ecco (risa diffuse).

“Allora, quando salgo sul palco solitamente sono estremamente nervoso. Ad ogni modo la cosa che più di tutte voglio evitare e che vedo costantemente accadere specialmente a band molto più grosse di noi, è che le stesse esatte cose da intrattenitori accadono non dico il 100% delle volte ma quasi, ogni sera, ad ogni concerto, in maniera quasi seriale. Quindi è l’esatto opposto del concetto di vivere ed immergersi nell’istante. Cioè ogni volta, in quel preciso istante di quella canzone, io cantante sento la necessità di dovermi sdraiare in mezzo al palco… Personalmente non mi piace vedere band che esagerano con gli atteggiamenti e replicare la stessa cosa, nello stesso momento, l’indomani in un’altra città. Mi sembra una grande commedia, una finzione. Se la canzone mi fa stare in piedi completamente immobile scelgo di rimanere in piedi, completamente immobile, capisci? Non voglio costringermi a dover replicare le stesse scenette ad ogni sera. Mi sembra quasi di insultare il pubblico, di essere irrispettoso. Quando vedevo concerti con frequenza non sopportavo quando qualcuno dal palco saltava giù, quindi perchè dovrei farlo io adesso… Rispetto gli spazi personali (risate sparse)…”

 

Ok, ultima domanda e poi ti lascio. Rispondi solo se vuoi: cosa credi accadrà in Novembre negli Stati Uniti?

“In Novembre? Ah le elezioni! Non ne ho idea! E tutto ciò mi terrorizza perchè vedi, negli ultimi quattro anni, ogni giorno mi sveglio e accendo il telefono e le notizie sono sempre più ridicole, orribilmente divertenti. Quindi non so, davvero. Ma sono terribilmente preoccupato”.

 

Direi che siamo a posto Joe, non ti rubo altro tempo. Grazie mille. Di cuore.

“Grazie a te. A proposito, dimmi dove abiti, che vediamo di venire a suonare dalle tue parti la prossima volta!”

 

Perfetto. Una bella data nel ridente nord-est e con l’occasione vi invito anche a cena allora.

 

Alberto Adustini