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Tag: pure noise records

Sharptooth “Transitional Forms” (Pure Noise Records, 2020)

Girls Power Level Pro

 

Molto spesso nella vita mi son sentita dire “Eh ma sei una donna, non puoi farlo”.

Appartenere al sesso femminile implica una serie di comportamenti e atteggiamenti che devono essere socialmente accettati. Chiunque esce dalla norma automaticamente viene additata come strana, diversa.

“Una ragazza non può fare growl, non può fare screamo come un uomo”.

BENE.

Vi presento gli Sharptooth, capitanati dalla strepitosa Lauren Kashan, con Keith Higgins e Lance Donati chitarre, Peter Bruno al basso, Matt Hague alla batteria.

Da Baltimora, nel Maryland, esportano la ribellione punk hardcore con il loro Transitional Forms. 

Suoni duri, arrabbiati, frutto di anni di lavorazione che hanno portato ad una crescita e alla delineazione di uno stile più personale rispetto al primo album. Un punk hardcore visto attraverso gli occhi di una grande donna, supportata da uomini che la incoraggiano in tutto.

La rabbia trasmessa dal growl di Lauren ha la potenza distruttiva di una bomba atomica, e il primo brano dell’album, Say Nothing (In the Abscence of Content) sfata il mito che le donne non siano capaci a cantare in questo modo specifico, e concretizza le doti vocali di Lauren, nonché il talento di ogni singolo musicista.

Un grande senso di tristezza e inadeguatezza precede l’entrata del secondo brano, Mean Brain, dove una voce di bambina ripete, come una cantilena “Nobody likes me, everybody hates me, guess I’ll go eat worms…” e pervade tutto il brano, nella completa sensazione di disperazione e odio verso se stessi.

In Life on the Razor’s Edge inseriscono elementi elettronici, che accompagnano la storia di una vita condotta appunto sull’orlo del rasoio a causa di un amore malato.

La poliedrica voce di Lauren ci stupisce in Hirudinea (tradotto: sanguisuga) con tratti in cui diviene melodica, ma il testo decisamente forte non riesce ad addolcirla. (A riprova che può cimentarsi in qualsiasi stile, ma lei HA scelto il growl.)

La comparsata di Justin Sane (Anti-Flag) con la sua voce acida e acuta crea un forte contrasto con la schiacciante ringhiata di Lauren in Evolution.

Troviamo 153 che inizia come un classico pezzo punk per trasformarsi in qualcosa di più oscuro a livello sonoro, ma come testo rappresenta l’inizio della presa di coscienza di sé e della propria potenza, e dell’accettazione della propria diversità come una cosa positiva su cui costruire dalle macerie della propria rabbia.

La crescita rispetto al primo album è palese, sia nel cantato sia nell’unione degli strumenti. Lauren dimostra tutta la sua competenza nel gestire anche altri stili, passando dallo screamo al melodico.

Una band da conoscere, ascoltare anche per chi non ama il genere. 

Se non siete abituati al growl e ai suoni hardcore spinti, mi raccomando abbassate il volume, perché Lauren è tosta.

 

Sharptooth

Transitional Forms

Pure Noise Records

 

Marta Annesi

Boston Manor “Glue” (Pure Noise Records, 2020)

I Boston Manor, quintetto di Blackpool formatosi nel 2013 ha già al suo attivo un EP Saudade (2015) e due album: Be Nothing (2016) e Welcome to the Neighbourhood (2018) sotto l’etichetta Pure Noise Records.

Sono una delle band britanniche che più di altre, con grande impulso creativo, affrontano temi forti, proponendosi al pubblico e ai fan come gruppo con “qualcosa da dire” come nell’ultimo album Glue: la colla ti invischia come una pervasiva angoscia, ma potrebbe essere invece la sostanza che ti tiene insieme, che ti ricompone.

Henry Cox, talentuoso e carismatico frontman, in tutta la sua discografia affronta un percorso di recovery da ciò che apparentemente sembrava averlo toccato solo marginalmente durante la sua infanzia trascorsa nell’attraente città di mare del Lancashire: all’età di dieci anni aveva assistito alla morte per suicidio di un uomo. Proprio nella sua città Cox ha sviluppato il suo percorso creativo cogliendone il background meno luccicante e più problematico.

In questo disco compie un ulteriore passo avanti e mette la sua esperienza a disposizione dei suoi fan e del suo pubblico. I temi che affronta sono importanti soprattutto nel nostro tempo: la mascolinità tossica, la salute mentale, il suicidio, le difficoltà di alcuni classi sociali dopo la Brexit.

Nei progetti precedenti queste tematiche erano già presenti, ma espresse attraverso metafore: in Glue diventa tutto più esplicito, diviene bisogno di condivisione, di non tenersi tutto dentro e mostrarsi con il cuore in mano.

Le sonorità dell’album hanno perso l’effervescenza del pop-punk e si sono orientate più verso il punk hardcore, generando uno stile più aggressivo e variabile con riff energici e suoni elettronici che sembrano arrivare dal futuro.    

Alcuni brani hanno un contenuto che si può definire politico, di denuncia, ed il rinnovato stile che Cox ci propone si fonde perfettamente con esso 

On A High Ledge, che inizia con Father, I think I’m different / I don’t like playing with the other boys / Father, I’m different / I like the way the flowers smell”, parla della mascolinità tossica insita nella cultura britannica e di come questa possa avere una responsabilità nell’importante numero di suicidi di giovani maschi. Ha un incipit lento con sonorità elettroniche che sembra prendere per mano e portare l’ascoltatore a riflettere sulla propria sensibilità. 

1’s & 0’s è una critica ad una generazione invecchiata che ha votato per la Brexit senza alcuna considerazione per il futuro dei giovani mentre Everything is Ordinary tratta dell’insensibilità diffusa e dell’ignavia del nostro tempo; entrambi sono brani squisitamente politici e di una straordinaria energia che fanno trattenere il fiato fino alla fine.

Ratking, con alcune reminescenze grunge che rimandano ai Soundgarden o agli Alice in Chains, è una metafora del forte individualismo: nel cercare di salvare solo noi stessi, senza collaborare, finiamo per distruggerci.

Glue è un album maturo con dei messaggi forti in quest’epoca così complessa: quello che auspica Henry Cox è una maggiore empatia, sarà forse una goccia nel mare ma rincuora sentire chi tende una mano ad una generazione in seria difficoltà.

 

Boston Manor

Glue

Pure Noise Records

 

Margherita Lambertini

Spanish Love Songs “Brave Faces Everyone” (Pure Noise Records, 2020)

Se nel 2015 provavi a digitare su Google Spanish Love Songs, come risultato della tua ricerca ottenevi qualsiasi cosa tranne questa band di Los Angeles, tant’è che se per “sbaglio” incappavi sul loro sito internet (all’epoca ancora in costruzione) una dicitura a caratteri cubitali ti ringraziava per la tenacia che avevi dimostrato nell’averli trovati.

Beh, i tempi son cambiati, e a furia di tour incessanti in America ed Europa siamo arrivati al terzo capitolo di questa incredibile band Californiana, nata inizialmente su Wiretap Records. 

Già dal primo disco del 2016 si poteva intuire che questi ragazzi avrebbero fatto tanta strada, e ascoltando canzoni come Remainder dalle grandissime potenzialità melodiche, m’innamorai di loro dal giorno 1, e con gli amici facemmo le prime furgonate verso Vicenza per vederli real live alla Mesa di Montecchio prima nel 2016 e poi nel 2018. Ringrazio ancora oggi il promoter che li organizzò due volte di fila!!!

Premettendo che il frontman Dylan Slocum ha una potenza vocale tale da poter cantare con qualsiasi band dal grunge degli anni ‘90 al rock dei giorni d’oggi, anche il resto della formazione ha raggiunto la perfezione, specialmente in questo ultimo disco si fa notare una sezione basso-batteria ancor più serrata rispetto i lavori precedenti.

Gli orecchi più fini potranno sentire anche l’uso di tastiere con suoni synth, pad e pianoforti, presenti in sottofondo su quasi tutte le dieci tracce, com’era già successo con Schmaltz, arricchendo ancora di più le frequenze già sature da chitarre crunch al limite.

Come nei loro dischi precedenti, non mancano (piatto forte della band), spazi sonori vuoti, dove ad un certo punto della traccia, la voce graffiante di Dylan rimane da sola, creando atmosfere emozionanti uniche, prima che il muro di chitarre, basso e batteria ritorni ad invadere quello che poco prima era silenzio cosmico.

In definitiva questo album conferma la crescita esponenziale del quintetto californiano, tra l’altro proprio in queste settimane in tour europeo di spalla a Menzingers, tra Inghilterra, Germania, Austria, Svizzera, Olanda e Belgio.

Purtroppo questa volta non c’è l’occasione di rivederli in Italia…speriamo in futuro.

Ancora una volta gli Spanish Love Songs dimostrano che siamo nel 2020, che un album punk può contenere otto canzoni su dieci di quattro minuti e che negli U.S.A. non vige il divieto dell’uso di tastiere e chitarre acustiche su questo tipo di musica, cosa che in Italia invece sembra essere ancora scolpita sullo statuto dell’alternative punk.

Oggi è una bella giornata, è uscito il nuovo degli Spanish.

 

Spanish Love Songs

Brave Faces Everyone

Pure Noise Records

 

Peter Torelli

The Warriors “Monomyth” (Pure Noise Records, 2019)

Chi non muore si rivede – in questo caso possiamo dire “si risente”. 

Nella nostra cultura letteraria, il monomito, cioè il viaggio dell’eroe, è uno schema comune di un’ampia categoria di storie che descrivono le avventure intraprese dal personaggio per vincere una sfida, che lo faranno tornare a casa trasformato. Questo modello narrativo è stato descritto da Joseph Campbell studioso americano di mitologia comparata e storia delle religioni, ed ha influenzato la nascita di Star Wars e Il Signore degli Anelli.  

Capendo l’eroe e il suo scopo capiremo il mito, e capendo il mito capiremo l’uomo. 

Il monomito rappresenta lo scorrere della vita. Tutti affrontiamo le nostre battaglie interiori per riuscire a sconfiggerle, e queste storie ci raccontano di eroi che riescono a vincere, infondendo speranza a chi sta ancora lottando.

Come asserisce il maestro YodaProvare no. Fai. O non fare. Non c’è provare”.

Questa concezione di racconto ha ispirato l’album Monomyth de The Warriors, che tornano dopo otto anni di silenzio. Band punk hardcore californiana, si sono sciolti nel 2011, ed ora eccoli, cresciuti, e decisi ad esporre il loro punto di vista sulla società attraverso un viaggio musicale in dodici tappe, che mantiene l’ambientazione punk hardcore con influenze rap metal, funk metal, alternative metal e nu metal.

Quattro album all’attivo in puro stile punk hardcore americano. Influenzati dai Rage Against the Machine e Snapcase, hanno riscosso molto successo nella prima decade degli anni 2000, finendo anche in serie tv (Netflix, Daredevil seconda stagione) e in videogiochi (Far Cry 5 e Steep) con il brano The Price of Punishment.

Questo nuovo album, composto da dodici canzoni, raffinato e progressivo, è il migliore del gruppo. Il talento è palpabile, l’esperienza pure. Una band in cui ogni componente sa quello che deve fare e porta a termine il suo compito in maniera precisa e coesa.

La voce altisonante di Marshall Lichtenwaldt , la batteria pistata come se non ci fosse un domani di Roger Camero, gli assoli e riff di chitarra da paura di Charlie Alvarez e Javier Zarate e il potentissimo basso di Joe Martin sono gli ingredienti fondamentali per cui il vostro culo salterà giù dalla sedia, questo Natale.

Sono stati assenti quasi un decennio, e ora eccoli riaffacciarsi alla musica con un album possente, eccitante, che inchioda l’ascoltatore di (buona) musica sin dalla prima nota. In questo periodo di assenza hanno visto il mondo cambiare, e non solo quello musicale.

Il singolo, Death Ritual, brano musicalmente metal, con schitarrate degne di nota e un growl pesante, parla della vita, di come migliorarci. Da quando ci alziamo, tutte le nostre azioni sono rituali, ogni giorno è uguale a quello precedente, e i colpi di scena (ove presenti), non sono mai positivi. Questo brano ci spinge a cambiare la nostra routine, a guardare le nostre scelte da fuori, come se non stessimo pensando alla nostra vita. Solo sacrificando quelle situazioni che compongono una routine possiamo sentirci liberi.

L’altro singolo, The Painful Trust, è la dimostrazione che non sono cambiati, padroneggiando un growl preciso e metodico, e una forte armonia tra gli strumenti.

Sperimentano un intro groove in Fountain of Euth per sorprenderci dopo 30 secondi in un’esplosione in uno scream profondo, su una base ritmata, che sembra l’unione civile dei Massive Attack e dei Bring Me The Horizon. 

Si buttano in un pezzo decisamente trip hop, Tavi Üüs Yukwenaak (The Sun Is Dying), per poi tornare nella loro identità punk hardcore in Burn From The Lion nel quale sono evidenti le influenze rap metal.

Il viaggio dell’eroe, dalla “chiamata” ad intraprendere un’avventura, passando per le varie prove da affrontare per portarla a termine, fino all’arrivo a casa, dove il nostro eroe tornerà nei suoi luoghi totalmente cambiato. Questo è il viaggio che ci propinano, sperimentando varie sonorità ma nel tempo stesso mantenendo la loro personalità. Il tutto unito da un sentimento negativo verso la società moderna, combinato ad un bisogno di combattere la sopravvalutazione dell’ego, e anche la svalutazione di esso, in un momento storico dove l’importante è apparire e non essere. 

La visione che ci regala è straordinariamente punk. “Se vogliamo parlare di hardcore, dobbiamo iniziare a pensare in termini di fare le cose effettivamente difficili. Essere gentili e compassionevoli con qualcuno che non se lo è guadagnato. Se riesci a farlo, provoca un effetto a catena che riverbera più lontano di quanto tu possa immaginare. Vivere per gli altri può essere la cosa più difficile da fare a volte. Una volta che lo fai, inizi a sentirti più soddisfatto.”

 

The Warriors

Monomyth

Pure Noise Records, 2019

 

Marta Annesi

 

Senses Fail “From the Depths of Dreams” (Pure Noise Records, 2019)

Crescita personale e artistica o versione politically correct?

 

Si può scappare da ciò che siamo stati?

Possiamo, noi umani, cambiare il passato?

Per i Senses Fail, gruppo contaminato dal punk e post hardcore formato nel 2002 in New Jersey, la risposta è SI.

Il nome della band fa riferimento alla credenza Buddhista che essere vivi sia l’inferno, e l’unica via per raggiungere il Nirvana (quindi vedere Dio) sia non avere alcun attaccamento emotivo agli averi della vita terrena: per raggiungere la Pace si devono rimuovere del tutto i sensi.

Durante la loro carriera musicale hanno cercato di unire le sonorità punk\emo\post hardcore con la poesia, la letteratura e la filosofia per creare un loro personale genere.

Durante gli anni 2000 ebbero molto successo, pubblicando circa sette album e adesso, a distanza di diciassette anni, hanno deciso di ripubblicare il loro primo EP From the depths of dreams, per Pure Noise Records.

La scelta appartiene al cantante, il quale ha pubblicamente ammesso su Twitter la sua intenzione di cambiare alcuni termini denigratori contenuti nei loro testi durante la registrazione della nuova versione dell’album.

L’adolescenza, la ribellione e il disagio tipico di questa fase evolutiva è palese nei testi e nelle sonorità dell’album, il quale contiene anche pezzi screamo, che conducono l’ascoltatore su un piano di malessere generalizzato, caotico.

Questo album è sinonimo di crescita personale e stilistica, una rivisitazione espressiva sia a livello linguistico – elimina, per esempio, whore nel pezzo Hand Guns e bitch nel coro di Bastard Son –, che a livello musicale, ove si denota soprattutto una maturazione del cantante stesso, vocalizzi più puliti, potenti, senza risultare disturbanti.

Il frontman ha spiegato sempre su Twitter che usare quei termini spregiativi rappresentava una fase passeggera della sua vita, era un teenager furioso ed esprimeva in quel modo il suo disappunto, ma non è più sua intenzione insultare nessuno o permettere che qualcuno si senta denigrato dai suoi testi.

Le sonorità abbandonano le vibrazioni punk e si lasciano un po’ cadere nel pop, nel melodico, per testimoniare la loro uscita dall’era dell’odio, per entrare a gamba tesa nell’era del conformismo sociale.

Tuttavia, alcuni fan della band non hanno reagito bene alla notizia, anzi, l’hanno accolta come un tradimento al loro stile e a tutto quello che hanno rappresentato per la loro adolescenza: li hanno accusati di essere diventati politically correct, e di aver così alterato profondamente la loro natura originaria.

E forse hanno ragione.

Per citare una delle più intriganti compositrici e cantanti islandesi, BjörkLa musica deve essere libertà, non schiavitù”.

Rivisitare un album, nonostante sia piacevole all’ascolto, anche se punta più sul pop che sull’alternative, e cambiare dei termini per non risultare offensivi sembra una scelta che va sul politicamente corretto, atteggiamento in forte contrasto con tutto ciò che è punk.

 

Senses Fail

From the Depths of Dreams

Pure Noise Records, 2019

 

Marta Annesi