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Tag: rc waves

Tre Domande a: KAPUT

Come e quando è nato questo progetto?
KAPUT è nato a luglio scorso, con l’uscita del mio primo singolo Caldo Abissale. È un progetto senza alcuna pretesa mainstream ma con la promessa di essere tanto onesto e vero nella scrittura dei brani, cosa che in passato non ho fatto, a dirla tutta. Nel quotidiano sono anche un autore di canzoni per altri artisti e, potrà sembrare scontato da dire, scrivere per se stessi è un lavoro un po’ più difficile ed introspettivo perché bisogna studiarsi con occhi esterni ed accettarsi per quello che si è per davvero bilanciando l’intelligibilità discografica. Ho scartato tanti brani prima di arrivare alle cinque canzoni contenute nel mio EP Bilocale 9/B proprio perché ho desiderato un filo conduttore il più possibile onesto. Sono convinto che, comunicare in maniera spontanea ed onesta superi le performance di ogni tipo di costruzione fatta “ad hoc”.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?
Il mio intero EP Bilocale 9/B parla di diverse sfaccettature dell’affettività e del sesso e l’aspetto del sesso romantico e giocoso che tratto in Verticale (Tempo) penso mi rappresenti più di tutti gli altri. Anche il graphic designer e illustratore Giuseppe D’Alia, che ha accolto la proposta di realizzare un’opera che potesse sintetizzare il mio EP, di sua sponte ha centrato il tutto su Verticale (Tempo). Credo che se il messaggio arriva anche a chi semplicemente recepisce la canzone, la tematica possa accomunare un bel po’ di gente… D’altronde è la mia traccia più ascoltata e ne sono davvero onorato!

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro? Ce n’è uno che usi più di altri?
Punto abbastanza alla comunicazione. Personalmente preferisco ed uso quasi esclusivamente Instagram (il mio profilo è @kaput.ig) e la cosa che più mi attrae è quella di “misurare” in maniera quasi simultanea quanto la mia musica possa arrivare o meno. Lo uso come uno strumento per analizzare ciò che realizzo e per comunicare con tante persone, dal sostenitore al collega interessato al mio songwriting. Se vi va, scrivetemi anche lì; sono curioso di conoscere il vostro punto di vista.

Tre Domande a: Phomea

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Vorrei incuriosire l’ascoltatore, fargli venire voglia di approfondire, indagare, immaginare. Vorrei che chi ascolta Phomea riuscisse a lasciarsi andare ad un immaginario magari suggerito ma mai imposto, che riuscisse a trovare spazio per vedere oltre la musica.

 

Progetti futuri?

Ci sono tante cose che mi frullano in testa per il futuro, sia legate al disco Me and My Army che totalmente nuove. Nell’immediato futuro voglio semplicemente riuscire a portare il disco live il più possibile! L’idea è quella di continuare ancora un pò con i concerti in solitaria per poi provare a proporlo nella sua interezza in full band.
Mi piacerebbe poi provare a fare delle variazioni sul tema Me and My Army, ad esempio rivederlo in chiave totalmente elettronica oppure realizzarne una versione al pianoforte.
In un futuro non troppo lontano invece dovrebbe arrivare un terzo disco, è già nato qualcosa e c’è già qualche idea che mi stuzzica… Qualche pezzo nuovo lo sto già portando nei concerti per vedere come me li sento addosso!

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?

Sicuramente la possibilità di stabilire un dialogo utilizzando un linguaggio così complesso e semplice allo stesso tempo come la musica.
Non a caso i miei momenti preferiti nella vita di un disco sono due: gli attimi che vengono ancora prima dell’idea del disco, prima della sua nascita, quando i pezzi iniziano a formarsi e l’interlocutore sono io, solo io e le occasioni live, quando tutto quello che mi sono detto nell’intimità del mio studio/salotto/sala prove può essere condiviso con chi è lì per vivere un’esperienza ed è pronto
Mi piace fare musica perchè è l’unico modo che conosco per comunicare (davvero) con gli altri e con me stesso… alla fine, forse, senza nemmeno sapere a priori cosa ci andremo a dire.

Tre Domande a: Sidstopia

Come e quando è nato questo progetto?

ASMA500 nasce nel bel mezzo del primo lockdown (maggio 2020) quando stavo improvvisando sul divano di casa un riff di chitarra accompagnato dal ritornello de La Scelta Sbagliata. Mi sono registrato con l’iPhone e da quelle parole la penna non ha più smesso di scrivere. Era un periodo strano, avevo appena pubblicato un EP importante nel momento peggiore e in cascata sono successe un po’ di cose che mi hanno demotivato. È stato un lungo processo di autoanalisi e la penna un mezzo per conoscermi meglio.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

La semplicità di un 23enne, la consapevolezza del proprio vissuto, l’amore per il cinema e l’hiphop. Insomma, non serve dimostrare di essere di strada per fare rap, basta amare questa cultura e condividere la proprio storia, non per forza fingersi dei nuovi Tony Montana. Una cosa che mi dicono sempre è che nei miei testi c’è questo contrasto tra testi e musica, dove i temi, il più delle volte scuri e sensibili si amalgamano a strumentali luminose e ritmate. Mi piace, è stato un approccio naturale e proprio per questo sento di aver trovato una mia identità musicale.

 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale – in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Ho sempre desiderato esibirmi al MIAMI Fest, penso sia l’evento più coerente con la mia idea di festival, ascolto praticamente tutti quelli che ci hanno suonato.
Da anni salgo sempre per la Milano Music Week, quest’anno ci suono e sono emozionatissimo. Il 24 Novembre tutti qui.

Tre Domande a: Brida

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare/condividere il palco?
Ci sarebbero tanti artisti con cui vorrei collaborare, penso che sia un buon momento per la musica in Italia, ma se dovessi scegliere adorerei collaborare con Mahmood. Penso che sia uno degli artisti più intriganti che abbiamo in Italia, sia dal punto di vista della scrittura, sia da quello del sound. Mi piacerebbe chiudermi ore ed ore in uno studio con lui e vedere cosa succede. Sarei molto curiosa di sentire i nostri mondi musicali insieme, ma soprattutto di unirmi alle sue pazze coreografie sul palco. 

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro? Ce n’è uno che usi più di altri?
I social, se usati bene, oggi possono davvero essere uno strumento efficace, permettendoti di connetterti con tante persone, sono, a mio avviso fondamentali perché possono far volare il tuo progetto musicale potenzialmente ovunque. Non bisogna certo far confusione, la musica non si fa solo sui social con chi ti segue; il supporto della propria community si vede soprattutto live. Io, ad esempio, punto tanto su instagram per esprimere me e la mia musica, sono una persona estroversa e molto autoironica, quindi adoro creare contenuti come foto e video e mi piace moltissimo raccontarmi attraverso le stories.

 

Qual è la cosa che ami di più del fare musica?
La cosa che amo di più del fare musica è la libertà che si può avere nello sperimentare più sonorità diverse, tutte in un unico pezzo. Adoro quando mi connetto con quei pezzi che iniziano in un modo e finiscono in un’altra maniera; come fa Rosalia nel suo album Motomami: punto ad arrivare a quella consapevolezza nello sperimentare diversi stili, vorrei tanto creare un album di quel calibro. Penso che la libertà che ti da la musica, ti permetta anche di conoscere sempre artisti diversi e penso che questa sia una cosa importantissima: conoscere nuove persone, nuove realtà e nuovi suoni per arricchirsi e per creare legami. La musica, in fin dei conti, unisce sempre.

Tre Domande a: Gospel

Ci sono degli artisti in particolare che influenzano il vostro modo di fare musica o a cui vi ispirate?

A dire il vero ce ne sono molti che ci influenzano, fa tanto quello che stiamo ascoltando mentre scriviamo i pezzi per un album. Durante le produzioni del secondo disco abbiamo ascoltato (come sempre) molta musica anglofona. Mentre per il primo disco le influenze provenivano per lo più dal blues e dal vintage rock, per questo lavoro i nostri ascolti sono virati più alla scena contemporanea, tornando indietro al massimo di 30 anni. Dagli Alice In Chains ai Chastity, dai Kyuss ai Them Crooked Vultures. Un bel frullato di musica pietrosa.
Non ce lo siamo imposti, ascoltavamo e basta.
Per quanto riguarda gli italiani, oltre ai gruppi progressive che amiamo molto, i più validi sono sempre stati Verdena e Teatro degli Orrori. 

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Probabilmente sceglierei la canzone che darà il titolo all’album che sta per uscire il cui titolo non è ancora stato reso noto. Forse è quella che si lega di più al disco precedente come sonorità ma sicuramente racchiude bene la nostra anima più soul senza tralasciare quella rock venuta fuori più evidente in questo secondo album.
Verso la fine c’è una frase iconica, che racchiude un concetto sottointeso in tutta la nostra produzione: “Dichiaro guerra al genere umano” ma qui non stiamo palando della guerra adolescenziale fatta di rabbia verso tutto e tutti, siamo troppo vecchi per questo, la guerra è più profonda e il genere umano comprende anche e soprattutto noi stessi e la nostra natura, non siamo altro che belve, dopotutto.

 

Qual è la cosa che amate di più del fare musica?

In assoluto suonare dal vivo. Certo, produrre registrare e lavorare ai dischi è bello, ma vivi costantemente nell’attesa di poter far ascoltare la tua musica. Fare i live ha un riscontro immediato, nel bene e nel male. Se fai schifo lo leggi in faccia alle persone, se sei coinvolgente, il pubblico ti trascina a sua volta. Per noi è come raggiungere il livello più alto di soddisfazione nella musica. In più, siamo tutti cresciuti suonando in tante band e facendo molti concerti in giro, dai palchi più rispettosi alle peggiori bettole di provincia.
Tutto questo ci ha proiettato in una dimensione dove il live pesa tanto quanto la musica registrata (talvolta di più). Oggi sembra che la tendenza sia al contrario: tanto tempo passato dietro alla produzione e pochissimi live. Ma questo è un altro discorso.

Tre Domande a: Houston

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Sicuramente energia, perché è esattamente quello che provo mentre la compongo. Ogni volta che ascolto anche solo un mio provino non riesco a stare fermo. Sono contento perché anche le persone che lavorano al mio fianco vivono così la mia musica. Con PRY PRY per esempio, a me e Marco Ravelli, il mio produttore, bastava far partire anche solo la prima strofa per volare dalle sedie in studio, questa gag la facciamo tutt’ora ogni volta che parte quel pezzo. La stessa cosa succede con il mio nuovo singolo Dirty, ricordo me e Tommy Kuti ballare per ore intere sul drop, ci piaceva talmente tanto che abbiamo deciso di portarla live ancora prima che uscisse!
Direi anche leggerezza perché sempre Dirty non è un pezzo che ha bisogno di chissà che spiegazione a riguardo, è proprio quel senso di spensieratezza e spontaneità che lo rende incredibilmente reale.
La terza parola è groove, componente che non manca mai all’interno dei miei brani e che fa da collante tra tutti i generi che la mia musica attraversa.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

I social per me sono fondamentali. Ad oggi, nel 2022, sono la nostra miglior vetrina e forniscono moltissimi mezzi di comunicazione, soprattutto per noi artisti emergenti.
Per esempio, il mio nuovo singolo Dirty nasce da uno scambio di messaggi con Tommy Kuti. Ci siamo sentiti su Instagram, l’ho invitato nel mio studio qui a Milano e il brano è nato in pochissimo tempo, giusto il tempo di due birre!
A parte gli scherzi, quella sera nell’aria si sentiva profumo di hit-hot internazionale, entrambi sapevamo che insieme saremmo stati la combo perfetta tra R&B e Afrobeat. Con Dirty infatti ho toccato più da vicino il mondo Afrobeat e ho anche trovato un fratello.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Ci sono moltissimi artisti super forti con cui vorrei collaborare, forse per primo direi Thasupreme. Oltre a piacermi molto il suo stile e la sua voce, sono curiosissimo di vedere come lavora in studio e penso potrebbe nascere qualcosa di unico visto che apparteniamo a due mondi musicali diversi ma al contempo molto simili. R&B e Trap, un mix che può funzionare, come ha funzionato sul mio penultimo singolo PRY PRY che ha esattamente questo tipo di sonorità.
Mai dire mai, a presto!

Tre Domande a: Life Like Low

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto Life Like Low nasce qualche anno fa, nel 2017, da un’idea di Jacopo Rossi: fare un disco usando solo chitarre, drum machines e sintetizzatori. Alla ricerca di un cantante, dopo svariati tentativi, si lega a Fabrizio Peccerillo alla voce. Il progetto prende quindi forma e anche nome, partendo da una citazione di Ry Cooder nel brano Can I Smoke in Here?, dove il cantautore scrive la frase “Life is like a low budget movie”. Dopo vari taglia e cuci e una stesura non definitiva dei brani, il duo si affida al produttore Mattia Tavani per dare la svolta. Le influenze nel progetto Life Like Low, sono tante e tutte diverse, dal trip hop di Bristol, all’hip-hop stile Gorillaz, al cantautorato italiano e americano, da Elliot Smith a Sufjian Stevens, passando per Niccolò Fabi.
La scelta di fare un disco in italiano, con influenze musicali prettamente anglo americane, senza cadere nella copia o nell’appropriazione culturale, è ciò che noi pensiamo sia la nostra carta vincente.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Ci piacerebbe tanto che al nostro pubblico arrivasse la ricerca della profondità espressiva, nel suo ossimoro della leggerezza pop, sia nei testi che nella musica. Insomma, che arrivi e non voli via, ma rimanga e sia da stimolo, o almeno sia un vero momento di condivisione emotiva, personale e collettiva. 

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Sarebbe sicuramente Messico e Cenere, che è stato anche il nostro primo singolo.
La canzone esprime perfettamente la nostra idea di brano: una tessitura di incastri tra batteria analogica e drum machines, chitarra dalla melodia semplice ma ricercata e sovrapposizioni di vari sintetizzatori e loop atti a non interrompere mai il movimento del pezzo.
La sua leggerezza poetica, il climax e l’arrangiamento articolato crediamo ci rappresentino fino in fondo.

Tre Domande a: Glauco

Come e quando è nato questo progetto?

Glauco nasce dal piacere di fare rap. Facevo sempre freestyle e scrivevo canzoni, pensai di farne uscire una. Non pensavo sarebbe andata bene. Da lì ho iniziato a sentire di dover continuare ma non avevo i mezzi adatti per poter fare la mia musica. Per quanto mi riguarda il progetto vero e proprio è nato da un paio di anni, dal momento in cui iniziato a prendere consapevolezza di me stesso, più nello specifico da un anno a questa parte grazie anche all’incontro col mio produttore. Ora lavoro in team con persone competenti e sento di voler raccontare senza paura la mia vita.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Io, vera e provincia. Io perché indubbiamente viene da me e da come vedo e sento le cose. Vera perché è reale, non sparo cazzate, non parlo di ciò che qui non si vive, non parlo di pistole solo perché fa tendenza. Provincia perché vengo da un paese e questo lo porterò sempre con me. Penso che in un modo o nell’altro sia una cosa che traspare, mi piacerebbe essere la voce della mia gente. O meglio la voce di chi ha già voce e non sa usarla.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Il mio sogno sarebbe collaborare con Massimo Pericolo, amo la sua scrittura e anche lui viene dalla provincia come me. Il sogno ancora più grande Marracash.

Tre Domande a: Marvin Tramp

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perchè?

Sicuramente Tutto il Mondo È una Bugia, è una canzone a cui sono particolarmente legato perché esprime a pieno i sentimenti che provo ora che i trent’anni iniziano a farsi vedere all’orizzonte. C’è la paura di invecchiare, di smettere di sognare e di comportarmi come quando ero un bambino o un adolescente spensierato e arrabbiato con tutto il mondo. C’è la preoccupazione di non innamorarsi più come una volta, delle cose, della vita e delle relazioni, che prima erano solo una genuina conquista d’amore, spensierata e sempre nuova, mentre crescendo tutto diventa sempre più una responsabilità verso gli altri e verso se stessi, qualcosa da costruire con attenzione e fatica, senza potersi più permettere di rischiare, esagerare e sbagliare, perché tutto ciò che non funziona si trasforma in una ferita difficile da sanare. Questa canzone mi ricorda sempre di cercare di vivere come allora, con la consapevolezza acquisita negli anni ma allo stesso tempo con il coraggio e la spensieratezza di un bambino, che ogni giorno vive una nuova scoperta.

 

Che messaggio vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Chiaramente ogni canzone racchiude un messaggio a sé. Tuttavia diciamo che il messaggio che provo a trasmettere in ogni pezzo che scrivo è un messaggio di positività nascosto tra sonorità e vibrazioni melanconiche. Mi piace molto descrivere emozioni “in bilico”, ovvero a metà tra un sapore triste ed un retrogusto felice, dove si intende che è presente una certa nostalgia che tuttavia termina con un riscontro positivo, quasi ad affermare che tutto fa parte della vita e tutto può essere visto come qualcosa di positivo, anche i momenti difficili. Mi diverte poi il fatto che, a seconda del momento in cui ascolto una mia canzone, a volte la trovo particolarmente struggente e altre particolarmente rassicurante.

 

Progetti futuri?

C’è già un progetto nel prossimo futuro, tocca aspettare ancora poco. Per quel che sarà dopo, ancora non lo so, ogni volta che ho provato a disegnare un percorso da seguire è puntualmente arrivato un acquazzone a sbavare tutto. Mi sento abbastanza sereno nel dire “Vediamo cosa succederà”. Questo è un periodo della mia vita in cui prendo le cose come vengono, senza troppe aspettative, seguendo un po’ il vento delle opportunità. Certo ho parecchi sogni nel cassetto, sia a livello musicale che lavorativo, e questo è buono perché i sogni mi aiutano ad alimentare questo vento. Se devo parlare più nel concreto, diciamo che non ho mia desiderato diventare un artista famoso o qualcosa del genere, ma quello che mi piacerebbe davvero è poter coniugare il mondo della musica col lavoro che faccio in ambiente sociale, magari aiutando, attraverso questa incredibile forma d’arte, i ragazzini con cui lavoro, dandogli la possibilità di esprimersi e farsi sentire.

Tre Domande a: DJSTIVO

Come vi immaginate il vostro primo concerto post pandemia?

Il primo nostro concerto post pandemia per fortuna ha già una data e un luogo: suoneremo live per il raster festival, evento organizzato dall’associazione Mare Culturale Urbano il 26 Marzo insieme ad altri musicisti fantastici.
Ci immaginiamo tante persone sotto al palco che ascoltato e ballano la nostra musica, una situazione molto classica, ma per niente scontata.
Far ballare ed emozionare le persone che ci ascoltano è la nostra missione, e poi chiaramente tornare a divertirci noi quattro tutti insieme sopra lo stesso palco.
Stiamo preparando uno show nuovo e siamo sicuri verrà apprezzato.

 

Quanto puntate sui social per far conoscere il vostro lavoro?

Puntiamo tanto sui social, diciamo che puntiamo tutto o quasi tutto su Instagram, prima o poi sbarcheremo anche su TikTok…
In questo momento stiamo lavorando con Tommaso Manca (in arte TOKYOTOMMY) che ci sta curando tutta la parte grafica e di comunicazione sui social.
Tommaso ha fatto un totale re-branding del nostro profilo instagram e di tutta la nostra estetica creando un mondo pongoso in 3D tutto per noi, sposandosi perfettamente con le nostre canzoni.
In generale comunque crediamo che sia indispensabile essere attivi sui social cercando di trovare il giusto modo di comunicare.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Questa è una domanda molto divertente, capita spesso nelle interviste e ogni volta discutiamo perchè non siamo mai d’accordo.
Diciamo questo perchè è il nostro punto di forza, se dovessimo rispondere singolarmente di sicuro uscirebbero risposte differenti, ognuno si ispira e ascolta cose differenti.
Più che ispirarci a singoli artisti o gruppi ci ispiriamo tanto all’attitudine con cui i nostri miti fanno musica, quindi magari una settimana produciamo elettronica super nerd al computer e la settimana dopo andiamo in sala prove e facciamo del rock.
Citiamo alcuni artisti o gruppi a cui siamo molto legati: Bill Evans, Jimi Hendrix, Nu Genea, Pino Daniele, Flying Lotus, Chet Baker, Miles Davis, Gorillaz, Kendrick Lamar, Childish Gambino, Neffa, Thundercat, Youssef Kaamal, Steve Lacy, Tony Allen, BADBADNOTGOOD, Tyler,the Creator, Kanye West, Mac DeMarco, Pufuleti, Post Nebbia, The Clash, Beatles, Kaytranada, Kali Chis, Radiohead, Kiefer, D’Angelo, Mac Miller, J DILLA, Robert Glasper, Anderson .Paak, Jeff Buckley e Bruce Springsteen.

Tre Domande a: Milano Shanghai

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

È stato strano aver pubblicato i nostri primi due EP in questi ultimi due anni, con tutte le difficoltà che riguardano la musica live.
Inevitabilmente in questo periodo ci stiamo concentrando sulla fase più creativa del progetto, sulla scrittura e sulla produzione. Avendo la possibilità di trovarci in studio, non ci facciamo frenare dal periodo incerto. Alla fine, scrivere musica è un ottimo modo per non pensare a quello che sta andando male….

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?
Il sound del nostro ultimo EP Vetro e Plastica è stato accostato, in alcune recensioni, ai Bluvertigo nel periodo di Zero, ai Subsonica e ai Coma Cose. Queste affinità ci fanno molto piacere: in effetti veniamo da mondi musicali differenti e ognuno mette le vibes del proprio passato, presente e futuro.
Artisti nuovi che sicuramente ci hanno influenzato sono alcuni esponenti della nuova scena jazz UK, come Yussef Dayes o Joe-Armon Jones. La musica italiana di Cosmo e dei Coma Cose.
Per il resto siamo amanti di un certo tipo di musica underground che ispira le nostre produzioni. Dal trip hop inglese (Massive Attack) a quello italiano (Casino Royale), dalla dub music all’hip hop coi campioni. Siamo sempre alla ricerca della ricetta perfetta che unisca questi ingredienti.

 

Progetti futuri? 
Sicuramente vogliamo portare live il nostro nuovo EP Vetro e Plastica appena sarà possibile farlo. È un lavoro molto variegato: alcuni pezzi, tipo Taoismo, sono stati registrati praticamente in presa diretta grazie alla loro forte attitudine live, mentre altri (ad esempio Gessate) hanno sperimentato un lavoro di produzione più stratificato. Mettere tutto insieme in un live set sarà divertente e stimolante, richiederà soluzioni creative. Stiamo anche lavorando a nuova musica: ci troviamo in studio ogni settimana. Il 2022 per noi è un anno speciale: siamo molto felici di lavorare con una squadra compatta e forte quale è Bradipo Dischi. Verso primavera, se non prima, ci saranno altre sorprese.

 

Foto di copertina: Ferruccio Perrone

Tre Domande a: Aligi

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto di questo nuovo disco è nato circa due anni fa durante il primo lockdown. Ero a Milano e avevo da poco ricavato un piccolo studio di registrazione nel ripostiglio degli attrezzi che avevo sul terrazzo di casa. Quella è diventata la mia tana che poco tempo dopo ho soprannominato “la nave”: intere mattinate e nottate a suonare, a scrivere e a scartare materiale per poi affacciarmi dalla finestra e assistere a quei momenti dilatati e così inaspettati. Ho imparato ad avere fiducia nei primissimi momenti di scrittura, quando è tutto nella tua mente, ma tu già lo vedi e vorresti come per magia essere al punto in cui stai rifinendo le ultime cose. E invece ero soltanto all’inizio e stava tutto a me, così ho iniziato a tirare fuori suoni da un nuovo synth analogico che avevo comprato da poco, collegato a una drum machine e, sempre presente, la mia chitarra. Ricordo poi con precisione un momento successivo, un’intuizione, la visione sonora di come sarebbe stata effettivamente la strada del mio nuovo percorso creativo. Ho cominciato a unire un suono più acustico e dalle influenze indie-rock con l’elettronica, il sapore psichedelico e sognante delle armonizzazioni dei cori e delle slide guitars a un’atmosfera più clubbing, dove linee di synth bass e arpeggiator si incastrano perfettamente con drum kit caldi e potenti. Infine, la voce. La voce quasi come uno strumento, dove più linee vocali si sommano e armonizzano così da creare un impatto deciso e delineato. Volevo poi poter descrivere quelle sensazioni di incertezza e di mistero che si respiravano in quelle giornate di primavera così insolite e a volte tragiche. Direi che quel periodo è stato davvero decisivo per la realizzazione dell’EP che uscirà, sia nei contenuti dei testi che nelle sue sonorità.

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Con la mia musica cerco di portare chi ascolta (e me stesso in primis) verso una dimensione sonora capace di guidare in atmosfere spesso sognanti. Vorrei far ballare, perché anche io amo ballare, e vorrei che le persone potessero sentire quella stessa esigenza che sento io di scavare sempre più in profondità nella vita, di ricercare l’energia che spinge ad andare avanti, a stupirsi, a non demordere, a sfidarsi, a credere in se stessi e credere che ogni essere umano abbia appunto “una luce sua”, una luce interiore. A volte c’è una velata nostalgia nel mio processo creativo, sia per quanto riguarda le musiche che i testi; altre volte c’è un fuoco dirompente di estasi e di voglia di festa e leggerezza, senza fine. Come sempre luce e ombra coesistono, devono esserci, mi piace tantissimo quest’aspetto delle cose che si ripercuote in tutto, in natura così come nell’arte e nella musica. Esporre il lato più sensibile e autentico di quello che vedi e poi saper accoglierne le sue oscurità più improvvise. A questo proposito, cito Il Piccolo Principe perché penso sia un grande esempio artistico e letterario, una grande guida per molti di noi (e a volte, io mi rivedo un po’ in lui).
Dal punto di vista sonoro, mi piace invece pensare e comunicare che la mia musica sia un mix tra le armonizzazioni psichedeliche e taglienti dell’album Revolver dei Beatles e le incessanti e aggressive drum machines dei Chemical Brothers, dove il Cosmo dei giorni nostri è sicuramente un artista da cui prendere esempio per stile e inventiva.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Uno dei miei sogni sarebbe quello di poter conoscere e collaborare con Josh Homme, frontman e leader dei Queens of the Stone Age. Amo il suo sound e le cose che ha creato, anche nelle produzioni che ha fatto separatamente con altri artisti, c’è qualcosa di mistico e spirituale nella sua musica che sento molto vicino e mi incanta sempre. Mi piacerebbe poter andare insieme nello studio che ha nel Joshua Tree che si chiama Rancho de la Luna e registrare qualcosa, magari un nuovo EP o delle Desert Sessions. Spesso fantastico su quanto potrebbe essere stimolante e interessante lavorare al suo fianco, unendo il suo stile ipnotizzante e dal sapore californiano alle mie visioni più elettroniche e “danzerecce”(cantate, perché no, anche in italiano).

 

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