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Tag: recenzione

Lo Straniero – Quartiere italiano, 2018 (Tempesta Dischi)

Camminare di notte, lungo le vie della città, assorti nei propri pensieri. In silenzio. Ritrovarsi, poi, in prossimità di un piccolo centro abitato. Palazzi vicini, finestre con luci accese, altre dormienti.

Ombre che abitano costruzioni animate di cemento. Le storie dentro, fuori e oltre quelle finestre si trasformano in canzoni nel nuovo album de Lo Straniero, Quartiere italiano, pubblicato lo scorso 12 ottobre per La Tempesta Dischi.

A distanza di due anni dal disco di esordio, riprendendo uno stile personale caratterizzato da campionature elettroniche, ritmi psichedelici e l’alternarsi di Giovanni Facelli e Federica Addari alla voce, la band piemontese dimostra di essere ambiziosamente evoluta nella composizione sia musicale sia lirica.

Quattordici brani, quattordici episodi autoconclusivi sospesi tra realtà e fantasia che, in corso d’opera, si intersecano fino ad assumere la forma di concept album.

Sotto le mentite spoglie di una mancanza di direzione, si dà il via all’esperienza all’interno del condominio virtuale con una domanda, con Dove vai.

Eppure la prima traccia, oltre ad omaggiare il grande compositore Armando Trovajoli, innalza la bandiera di un manifesto artistico: “Con un codice preciso inizia un regime di pura fantasia”.

Ogni uomo, ogni personaggio, ogni x prende vita attraverso immagini evocative, metafore, contrasti, chiaroscuri. La titletrack invita a salire su una sorta di ascensore di vetro da cui si scorgono, piano per piano, sene della quotidianità.

Etnie, lingue. Origini, vissuti differenti si muovono tutti all’interno di uno spazio condiviso che, però, non equivale a sinonimo di conoscenza approfondita.

Esistenze che si incontrano, si sfiorano, si superano, restando per lo più “solo facce che non si riconoscono”. L’eterogeneità fa da denominatore comune.

Ci sono Madonne che camminano di notte, si aggirano per la periferia, assaggiano il sapore amaro della violenza ma tornano, sempre.

In Sorella, invece, una donna chiede aiuto per scappare dai fantasmi della mente e del passato. Suo fratello accoglie la preghiera, solo a costo di portarla in salvo lontano dalla terra. Tutto accade in tempo reale, a ciclo continuo.

Sulla scia di ritornelli avvolgenti e melodie accattivanti, ci si ritrova ad essere sia spettatori che protagonisti delle narrazioni. Le nostre storie diventano le storie di Sedute spiritiche, di Intrecci di corpi e di relazioni, di Vampiri, di anime che si aspettano, immobili, al quinto piano.

Lo Psicobisogno di una tregua, di un attimo per addormentarsi. Una necessità tanto impellente che a cantarla, nel disco, si aggiunge una voce di eccellenza, quella di Gian Maria Accusani (Prozac +, Sick Tamburo). Impronta inconfondibile de Lo Straniero è, infatti, la polifonia, la complementarietà delle voci e la presenza di cori.

L’inconscio non è più un sottofondo e parla: “Senti che cos’è che non va…”. Ci si può addormentare ma si rischia di fare il sogno sbagliato e risvegliarsi con la consapevolezza di dover accettare anche i nostri lati più tormentati e oscuri. È concessa, tuttavia, una pausa.

L’ascensore giunge al punto della corsa più alto. Il sesto piano, traccia strumentale di un minuto, frangente per placarsi, affacciarsi, guardando le stelle, respirando calma.

A rendere coesi tutti questi elementi è la produzione artistica di Alessandro Bavo (Subsonica, Levante, Virginiana Miller), raffinata e curata nei minimi dettagli. I suoni sintetici si amalgamano con naturalezza a quelli di chitarre, pianoforti, batterie. Ritmi etnici e orientaleggianti prendono per mano, da una parte, la melodia, dall’altra, la componente elettronica, creando arrangiamenti sperimentali davvero interessanti.

Un disco, un viaggio, uno spaccato di mondo. Molteplici dimensioni che si intrecciano, come fili colorati. Come quei fili colorati che, sulla copertina del disco, disegnano i profili dei protagonisti di Quartiere italiano. Punti di partenza e di arrivo disparati. Ma oltre i veli, le maschere, i progetti, i segreti, tutto Ritorna qui: all’uomo.

 

TRACKLIST:

  1. Dove Vai
  2. Quartiere Italiano
  3. Matematica e Aspirina
  4. Cardio
  5. Madonne
  6. Il Sesto Piano
  7. Seduta Spritica
  8. Sorella
  9. Intrecci
  10. Vampiro
  11. Psicosogno
  12. Il Quinto Piano
  13. Lastricato
  14. Ritorna Qui

Laura Faccenda

Ed Harcourt – Beyond the end (Point of Departure, 2018)

Per caso, quasi distrattamente, ho letto l’altro giorno che era uscito un nuovo album di Ed Harcourt e incuriosita dal fatto che fosse completamente strumentale, solo pianoforte e archi, me lo sono andata ad ascoltare di filata.

Niente voce, niente parole, solo melodie. E ne sono rimasta completamente rapita dal primo ascolto, rapita e con un gran nodo in gola.

Beyond the end sono quaranta minuti di pura bellezza, emozione in punta di dita e archetto, 12 pezzi che scivolano uno dopo l’altro, uno dentro l’altro, con la grazia che solo un compositore elegante come Harcourt può metterci.

Credo che ci sia qualcosa di primordialmente potente nelle melodie per pianoforte e violino, risvegliano emozioni profonde, e Harcourt in questo album va a toccare delle corde davvero sensibili nell’animo umano, tanto da far venire i brividi lungo la schiena al primo ascolto di Wolves change rivers.

La bellezza. L’unica cosa che riuscivo a pensare mentre venivo trasportata in questa dimensione onirica fatta di atmosfere sfocate ma intense: la bellezza. Ecco, la bellezza suona così.

Il suono è a tratti rovinato come se la musica provenisse da un grammofono polveroso, come in Faded photographs, ma è appunto il suono della polvere che rende magica la melodia: il suono sporco di un grammofono, titoli di chiusura di un film francese proiettato in un vecchio teatro stucchi e velluto consunto…

A chiudere gli occhi è in questi posti che va la mente accompagnata dalla musica di Beyond the end.

Questo album potrebbe essere etichettato come cinematic pop, forse perché ogni traccia inevitabilmente trasporta in una dimensione da film in bianco e nero, un po’ vintage e decadente, ma allo stesso tempo densa di emozioni ed espressività che solo l’assenza di parole riesce a convogliare.

Provate ad ascoltare Empress of the lake a mente sgombra: non vedete davanti ai vostri occhi per caso l’alba nascere riflessa in uno specchio d’acqua, non sentite l’umido della rugiada solleticarvi le caviglie?

E se vi lasciate andare a Whiskey held my sleep to ransom, vedete anche voi una stanza, un tavolo e una bottiglia su cui danza la luce fioca di una candela?

Beyond the end è un piccolo capolavoro di fine anno, che merita di essere assaporato dalla prima all’ultima nota.

Ed Harcourt
Beyond the end
Point of Departure

 

Francesca Garattoni