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Tag: rise records

Flogging Molly “Anthem” (Rise Records, 2022)

Avete presente Kevin Kline mentre si scatenava sulle note di I Will Survive cantata da Gloria Gaynor impersonando il professore Howard Brackett della commedia In & Out? Ecco quello è l’effetto collaterale, se così possiamo chiamarlo, dell’ascolto di Anthem, il nuovo album dei Flogging Molly pubblicato da Rise Records. Nonostante le origini irlandesi, il gruppo si è formato nel 1997 negli Stati Uniti, e più esattamente a Los Angeles, nel pub dedicato alla figura di Molly Malone, e ha continuato negli anni a seguire il suo stile celtic punk che unisce la tradizione del folk irlandese con la voglia di modernità del punk rock. A distanza di cinque anni dall’uscita di Life Is Good, la band capitanata da Dave King ritorna sulla scena con un nuovo progetto di undici canzoni e un tour mondiale che li ha portati anche in Italia al Bay Fest 2022 di Bellaria Igea Marina. 

Ascoltare l’album per una creatura danzereccia come me non è stato affatto semplice. Non che non sia ascoltabile e godibile, anzi, tutt’altro. L’unico problema è stato cercare di resistere a muovermi e saltare come un grillo ad ogni nota, per concentrarsi sulla tecnica musicale, ma già la canzone di apertura These Times Have Got Me Drinking dal canto iniziale leggermente melanconico si trasforma in un turbinante reel fuso con sonorità rock che trascina via i piedi e tu non puoi fare altro che seguirli. Ed è a passo di danza e un po’ di pogo tra gighe e reel rock che balli per immaginarie strade al sapore di Guinness e giubbotti chiodati, mentre ti scateni sulle note di canzoni come A Song of Liberty e A Road of Mine, dove il violino folk di Bridget Regan è talmente veloce da dare l’impressone di diventare ardente e lanciare fiamme che fanno saltare sempre più in alto, come in una vera danza irlandese, mentre un banjo lontano evoca anche gli spazi aperti delle sonorità country. Non c’è niente da dire, i Flogging Molly con questo lavoro confermano di essere coinvolgenti e divertenti, ma non per questo privi di spessore e profondità, come dimostra la struggente ballata These Are The Days dove il canto diventa a tratti corale ed evocativo, la batteria riecheggia lo spirito di malinconia per uno sguardo spietato verso il passato e il presente miste all’incertezza verso il futuro. Se volete invece sentirvi avvolti dalle luci di Temple Bar a Dublino, fermate il ballo e prendete fiato quell’attimo che basta per cantare a squarciagola The Croppy Boy ’98, praticamente un’ode alle canzoni ribelli irlandesi dove l’esecuzione strumentale e vocale hanno l’intensità che evoca The Pogues, e mentre le liriche hanno il sapore amaro della sconfitta e di una certa fatalità della vita che va avanti nonostante si rimanga un passo indietro perché “Nothing more is what’s left to me”.

Anthem è un progetto che fa abbassare le difese di chi alza le sopracciglia superbe e si sente paladino della musica cantautoriale, lo prende per mano e lo induce a ballare, che lo voglia o no. Come vuole la tradizione irlandese, ci racconta che i problemi ci sono, esistono e vanno visti per quello che sono, ma non per questo dobbiamo morire di spirito e corpo, anzi è proprio muovendoci e stando insieme che si combattono le paure, si esorcizzano i fantasmi e possiamo darci coraggio per andare avanti. I Flogging Molly non vogliono svelare chissà quali verità nascoste nella realtà né iniziare una nuova corrente musicale, vogliono solo confermare che due mondi musicali lontani come la musica tradizionale e il punk possono avvicinarsi per creare uno strumento con cui stare insieme per condividere i bei momenti e combattere quelli più difficili, anche solo alzando un boccale di birra. Guinness, naturalmente.

 

Flogging Molly

Anthem

Rise Records

 

Alma Marlia

Spiritbox “Eternal Blue” (Rise Records, 2021)

Melodia furiosa

Gli Spiritbox, band canadese originaria dell’isola di Vancouver, nella Columbia Britannica, attiva dal 2016, sono pronti a dare al pubblico il loro primo full length, intitolato Eternal Blue. Ormai si sa, nei sottogeneri del Metal più moderno, soprattutto nel MetalCore, è spesso difficile spiccare ed è abbastanza comune che varie band, anche se con background completamente diversi e luoghi di provenienza più vari, possano risultare simili tra loro e che, soprattutto nei ritornelli, ci comunichino qualcosa di “già sentito” rischiando di restare nell’anonimato. Per questo, gli Spiritbox hanno sempre cercato di farsi strada nell’originalità, provando a distinguersi attraverso quello che è diventato il loro punto di forza, ovvero l’alternanza di leggerezza e pesantezza nel sound. 

Questa dualità che caratterizza la band canadese è facilmente riconoscibile già nei primi due brani presenti nell’album, Sun Killer e Hurt You. Infatti, se la prima mostra un animo più sinfonico, magari ricordando a tratti anche band come gli Evanescence ma dal carattere più moderno, la seconda resta più ancorata ai canoni del MetalCore, con chitarre e bassi pesanti affiancati ad uno scream aggressivo alternato al ritornello melodico con voce pulita. La terza traccia, Yellowjacket, presenta una grande sorpresa per gli amanti del genere, ovvero un featuring con una delle voci più potenti e importanti nel panorama Core, quella di Sam Carter degli Architects. Un brano carico e incredibile, in cui il contributo dato da un artista come Carter è più che palpabile e dove a fare da padrone è proprio lo scream di quest’ultimo, arricchito dai cori emozionali tipici del MetalCore che ricordano molto band come i Parkway Drive.

La fantastica frontwoman Courtney LaPlante ci delizia per tutta la durata dell’album con la sua voce armoniosa e piacevole, il cui apice si manifesta nella meravigliosa Secret Garden e nel brano di chiusura, Constance, solenne e introspettiva. 

Cosa dovrebbe aspettarsi dunque l’ascoltatore da Eternal Blue? Sicuramente un album molto valido, assolutamente non scontato e sentimentale, a tratti commovente. Gli Spiritbox mostrano dunque una combo vincente che sono sicuramente in grado di gestire, dimostrandosi capaci e maturi nonostante questo sia il loro primo full-length. Una band, quindi, che avrà tanto da dire nel panorama MetalCore.

 

Spiritbox

Eternal Blue

Rise Records

 

Nicola Picerno

Make Them Suffer “How to Survive a Funeral” (Rise Records, 2020)

L’estate non è una stagione per vecchi. Le zanzare, il caldo appiccicoso. La drammatica felicità di tutti gli altri che spesso mette a disagio.

Siete incazzati? Delusi? Vi sentite non capiti?

FATELI SOFFRIRE.

Un consiglio che viene dalla terra dei canguri, dove i Make Them Suffer sono nati e cresciuti, presentandosi sulla scena metal nel 2010. 

Dall’Australia, grazie al loro talento, hanno colonizzato il resto del globo, con il loro sound totalmente metalcore.

Il lockdown ha posticipato l’uscita fisica del loro ultimo lavoro How To Survive A Funeral di quasi un mese; anticipato dall’uscita del singolo e del videoclip Erase Me, caratterizzato da una musicalità da hit parade melodic metal, questo pezzo ha tutto, dai cori ritmati, all’alternanza di un growling con una dolcissima voce femminile. Il brano è molto orecchiabile, il testo è una preghiera arrabbiata, “ti ho spezzato abbastanza, quindi non odiarmi, cancellami”. Allontanare le persone è un’azione altruista o egoista? Questa domanda, posta dal gruppo, è uno spunto di riflessione.

L’aria carica di deathcore si respira per tutto l’album. Il primo brano è una dichiarazione di guerra. Ha una partenza morbidissima grazie al suono delle tastiere, per poi subire un cambio schizoide, con la batteria impazzita, in speed metal, con un growl potente. 

Lo speed metal è ripreso anche in Falling Ashes, follia pura, con vocalizzazioni durissime (indubbie le doti canore di Sean Harmanis) che passano rapidamente al growl spintissimo.

Ritornelli acchiappaorecchio sono una particolarità di questo gruppo, come in Bones passa da un metal molto duro ad un metal melodico, nostalgico.

Troviamo Fake Your Own Death che è sulla scia dell’esaltazione del metal, e Soul Decay che ci insegna a lasciar andare le situazioni distruttive, a liberare il cuore dalla prigione in cui ci siamo autorinchiusi.

I pezzi di questo album sono estremamente diversi, ma legati insieme dai testi e dalla consapevolezza del gruppo. Ogni strumento è in piena armonia con il resto, la dualità della voce del cantante testimonia talento, e impegno.

Nonostante i testi sembrino “da depressione giovanile”, la band ha regalato una chiave di lettura diversa. L’accettazione di sé, del proprio passato conduce ad una nuova luce da perseguire, improntata al miglioramento della persona stessa. Ma questo processo è possibile solo venendo a patti con l’anima, con i traumi passati. Riconoscere i propri limiti emotivi e lavorare sodo per innalzare il proprio io verso la liberazione dalle catene mentali autoimposte.

“La vita è troppo breve per passarla sempre arrabbiati”, la citazione di American History X cade a pennello per la visione dei Make Them Suffer, la rabbia è un sentimento vero, e ha bisogno di essere capito e metabolizzato per sciogliersi.

Album consigliatissimo per gli amanti del genere.          

 

Make Them Suffer

How to Survive a Funeral

Rise Records

 

Marta Annesi

Of Mice & Men “EARTHANDSKY” (Rise Records, 2019)

(TIME FOR HEADBANGING)

 

Spesso i progetti, anche i più buoni, che fanno i topi e fanno gli uomini, finiscono in niente e in luogo della gioia restano soltanto dolori e stenti.”

Così recita una poesia di Robert Burns, da cui John Steinbeck ha preso spunto per il titolo del suo romanzo del 1937 Uomini e Topi, per l’appunto.

Il libro è stato d’ispirazione per il nome della band americana metalcore Of Mice & Men che ci regala EARTHANDSKY, il loro nuovo LP preannunciato dai singoli How to survive e Mushroom Cloud. 

Un album pieno di metallo, rabbia e resilienza, termine ormai di comune uso dalle teenager sui social, ma è in questo album che riscopriamo il significato più profondo dalla parola, ossia la capacità dell’essere umano di affrontare e superare eventi traumatici, assorbire un urto senza rompersi.

Il gruppo è fortemente legato al metal e all’hardcore punk con tendenze nu metal, ma nel tempo, e con i vari cambiamenti nella formazione del gruppo (per colpa di patologia cardiaca del cantante Austin Carlile, nonché fondatore del gruppo) hanno aggiunto sonorità alternative al metal, tornando poi alle origini nel momento in cui il bassista Aaron Pauley ha preso le redini  e il controllo del microfono.

Come un Cavaliere dell’Apocalisse ha ricondotto il gruppo a sonorità più dure, tipicamente metal, batterie ossessionanti e incalzanti, riff di chitarra complessi. 

Nei brani si mescola il canto death brutale e raschiato, con una voce più melodica, quasi a delineare una personalità borderline. La collera derivante dall’essere incompresi, oltraggiati e derisi si scontra con un’anima delicata e sensibile.

Questo concetto risulta limpido nel singolo How to survive, nel quale il cantante vuole darci una lezione di vita, su come sopravvivere alla sensazione di sentirci rifiutati, denigrati, un bersaglio.

Un moderno Frankenstein, scappato dall’ostilità dei concittadini, intrappolato nella torre. 

Le torce brillano nella notte, il fragore dell’odio sempre più vicino.

Ma stavolta il mostro non scappa. Non questa volta.

Scende tra la folla e si ribella. 

Vuole sopravvivere, non perire tra le fiamme.

Rifiutandosi di essere uno dei caduti, la liberazione del mostro e la rivincita sull’astio della società.

Il vero senso del metalcore è descritto in Mushroom Cloud, che rappresenta la discordanza con il modo di pensare della società che ci circonda, intrappolati in un mondo che non è come vorremmo, che giudica prima ancora di conoscere. Le catene ai polsi come schiavi deportati. Sbraitare il disappunto, la malinconia e la solitudine, strillare con tutta la voce e non percepire risposta. 

“Three, two, one BOOM: countdown to insanity. Three, two, one BOOM: ignite the fuse and immolate”, la nostra anima e psiche che deflagrano come bombe atomiche sotto il peso dell’incuria, sacrificarsi e scoppiare in faccia a chi non capisce il nostro disagio.

Questo album è un calcio sui denti per tutti quelli che non considerano il growl e lo scream come canto. Per tutti quelli che considerano l’alternative metal come sinonimo di satanismo e aggressività.

Questo album ha l’intento di alzare il velo sottile dell’ira funesta, facendo intravedere la grande emotività insita nel metal. Gridare per farsi capire, nel caotico mondo in cui viviamo. Sgolarsi, per esorcizzare i demoni che popolano la nostra mente.

 

Of Mice & Men

EARTHANDSKY

Rise Records, 2019

 

Marta Annesi