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Tag: roberto mazza antonov

Death Cab for Cutie “Asphalt Meadows” (Atlantic Records, 2022)

I Death Cab for Cutie tornano nel loro venticinquesimo anno di attività con il decimo album Asphalt Meadows.

Il disco, scritto in periodo pandemico, è il risultato del lavoro solitario dei singoli musicisti che si ritrovano isolati a provare e riprovare le tracce fino ad arrivare al magico momento del ritrovarsi per registrare la stesura finale dell’opera, che viene descritta come “la nostra prova più affiatata da molto tempo a questa parte”.

Ben Gibbard, frontman della band, è lo stesso di sempre: la voce, inalterata, si mescola sempreverde e inconfondibile tra arpeggi, synth, suoni curati a livelli maniacale.

Gibbard, nonostante veterano del genere emo e un po’ nerd di cui i Death Cab sono stati pionieri in quel Pacific North West reduce dall’ondata del grunge degli anni ’90, non rinuncia a studiare nuovi suoni e melodie, in un mondo dove si pensa che ogni anfratto del suono sia già stato scoperto e finito.

L’album si apre con I Don’t Know How I Survive, brano che, nonostante l’andamento ridondante e pacato del main riff iniziale, descrive una scena di vita quotidiana molto comune per tanti di noi: un attacco di panico irrequieto, “Pacing across the room while she’s asleep / Tears raining down your cheeks / You’re trying to hold on.”
Il ritornello suggerisce la costante risposta di chi riesce a controllare questo angosciante stato d’animo e fisico, per cui ogni volta ci si rende conto come inconsapevolmente si sia sopravvissuti.

Proseguiamo con Roman Candles (uno tra i primi singoli estratti), che ricalca i passi del tipico brano emo, dove l’evidenza della realtà prende il sopravvento su aspettative e idee più astratte, dove l’amore, che viene solitamente mitizzato per essere perfetto ed eterno, si ritrova invece su un pianeta morente. È su questa desolazione che i Death Cab ci insegnano a lasciare andare tutto ciò che si è sempre cercato di trattenere.

Il disco spazia da sonorità indie pop al post punk della bellissima I Miss Strangers, fino al post-rock di Foxglove Through The Clearcut; non mancano brani in cui viene usato un tappeto di synth, che per chi conosce bene Gibbard, si riconosce la maestria dei giusti incastri dovuti alla poliedricità dell’artista maturata nel side project Postal Service.

Asphalt Meadows è la riconferma della band, una nuova tacchetta nella loro già conclamata carriera, e forse qualcosa di ancora più perfetto e raffinato rispetto agli ultimi due album pubblicati.
Mentre ascoltiamo questo disco, non possiamo non immaginarci un Seth Cohen (co protagonista nella fortunatissima serie O.C.), steso sul letto della sua dependance, a gustarsi ad occhi chiusi il nuovo album della sua band preferita.

 

Death Cab for Cutie
Asphalt Meadows
Atlantic Records

 

Roberto Mazza Antonov

TOdays Festival 2022

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 Torino // 26-28 Agosto 2022

 

[/vc_column_text][vc_empty_space][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Ci sono momenti in cui Torino sa essere un luogo affascinante e sembra essere qualcosa di diverso dallo stereotipo di città post-industriale, senza identità, perennemente a un bivio.
Ci sono momenti in cui sembra decisa, sicura e accogliente, come se da sempre sapesse mettere la musica al centro di un progetto e far sì che tutto il resto funzioni per osmosi. 
Il TOdays Festival è giunto alla settima edizione, e punta diritto verso una maturità anticipata ma meritatissima. Il progetto è organizzato dalla Città di Torino, ed è un punto fondamentale, perché slega l’organizzazione dalle dinamiche tipiche di un festival: grandi nomi, grande venue, massimizzare il profitto. Nel corso degli anni si è lavorato per creare un’immagine di qualità, più che di quantità, e, come accade nelle favole moderne, l’investimento viene ripagato. Le lineup dei tre giorni hanno attirato pubblico da tutta Italia e dall’estero, tanto che ho sentito francesi parlare napoletano (il contrario sarebbe stato banale, suvvia), e ho conosciuto chi da Londra è giunto in città inseguendo qualche amatissima band (e chi se non per i Black Country New Road?).

I TOdays non sono solo musica. Ci sono state una quarantina di attività in cartellone, oltre alla proposta serale di musica presso lo sPAZIO211, presso l’ex fabbrica INCET. Entrambi i luoghi si trovano nella periferia di Torino, segno dell’attenzione riposta nella scelta di dove collocare, fisicamente, un momento così importante di apertura al mondo.
E apertura, movimento, fluidità, sono state parole chiave della tre giorni.

Breve pagella non richiesta prima del racconto delle serate:
Voto dieci all’atmosfera: tutti rilassati e con voglia di divertirsi, l’ultima sera di concerti si è chiusa con i Primal Scream sul palco e gli Arab Strap tra il pubblico a bere birrette. Accadde a Torino.
Voto nove alle lineup. Sono state sicuramente un richiamo per molti, considerando le undici esclusive nazionali. Insomma, o ai TOdays o aereo.
Voto otto al meteo, che regala in tre giorni l’esperienza della stagione secca e dei monsoni, che produce coreografie gratuite ai Molchat Doma, e che fa ballare sotto la pioggia.
Voto sette per i suoni, i volumi, e insomma, si è sentito bene e tutto, anche l’ottavino.
Voto sei per il cibo. Ma era tutto così rilassato che anche i token non mi sono sembrati token. Almeno non fino a lunedì mattina, quando sono usciti dalle tasche, maledetti.
Voto cinque, ed unica insufficienza, per i Primal Scream, ma andiamo con ordine…

…continua a leggere aprendo le pagine delle singole giornate!

Andrea Riscossa

Foto di Roberto Mazza Antonov (day 1+2) e Ilenia Arangiaro (day 3)[/vc_column_text][vc_empty_space][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

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• Day 1 •

26 Agosto 2022

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• Day 2 •

27 Agosto 2022

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• Day 3 •

28 Agosto 2022

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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a TOdays Festival[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

TOdays Festival 2022 • Day 2

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sPAZIO211 (Torino) // 27 Agosto 2022

 

FKJ

MOLCHAT DOMA

LOS BITCHOS

SQUID

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]La seconda serata del TOdays inizia con una piacevole sorpresa. Gli Squid riescono in quindici minuti a richiamare il pubblico sotto il palco, a farlo ciondolare prima, saltellare poi e pogare infine. Fidatevi, dato l’alto numero di austeri sabaudi presenti, riuscire a sciogliere così le genti non è da tutti.
I cinque ragazzi di Brighton sono saliti sul mio personalissimo podio, senza scendere dalla prima posizione. Uno show senza momenti di calo, divertente, equilibrato tra il ben suonato e il buon delirio, con un cantante/batterista che sa essere piuma e sa essere fero, e del resto non è un caso se BBC Radio se li coccola, se KEXP li ha già invitati un anno fa e se la critica ha finito le metafore e le iperboli. Davvero eccellenti ed inaspettati.

Poi ci sono un’australiana, una uruguaiana, una svedese e un’inglese. Quella che potrebbe sembrare l’inizio di una (brutta) barzelletta è invece il quadro delle provenienze delle Los Bitchos, seconda band in cartello. Ancora più affascinante sarebbe elencare la lista delle influenze musicali o, ancora meglio, delle sfumature che si possono cogliere nel loro set. Come in una gara di degustazione di barolo ma coi frizzipazzi sotto la lingua, ho colto, nell’ordine: base di cumbia, anni settanta, condita con surf music, un pizzico di dream pop, a volte solo pop, una spolverata di punk, cadenze metal, follia e gioia Q.B..
Tutto questo, già al loro primo live di qualche anno fa, fece innamorare della loro musica un certo Alex Kapranos, noto ai più come leader dei Franz Ferdinand, che da quel giorno diventa il loro produttore.
Che dire di più. Divertenti, sicuramente originali, forse un po’ ripetitive, nonostante la mole di influenze citate.

Terzo gruppo in cartellone, i Molčat Doma, che giustificano la presenza di giovini vampiri new-goth a bersi una birra vicino a me.
Mentre si avvicina un temporale di biblica memoria, mi sovvengono i Subsonica, quando inneggiavano al Cielo su Torino. In questo caso è al fianco del gruppo bielorusso, creando un’atmosfera di gioioso Ragnarǫk, tra lampi e un sound che è un inno alla darkwave, alla coldwave, insomma quel piglio lì. I tre di Minsk devono la loro gloria ai social, in particolare a TikTok, che li ha portati dritti al successo negli USA. Il loro primo singolo, Sudno (Boris Rizhy), solo su Spotify conta qualcosa come 163 milioni di streaming.
Il loro live è coerente con immagine e cornice, non esce mai dai binari del genere sopracitato (tanto che omaggiano direttamente The Cure in una intro, citando A Forest) e svolge il suo compito, seppur in cirillico. 

A chiudere la serata ci pensa FKJ, acronimo French Kiwi Juice, e al secolo Vincent Fenton. 
Il palco viene trasformato in un salotto, con tanto di divano e luci soffuse. Pianoforte, batteria, chitarra, un sax e poco altro di analogico. Il polistrumentista francese ha un approccio simile a Tash Sultana, ma punta più sulla qualità e sul minimalismo, lo spettacolo è più intimista e meno di impatto. Ha raggiunto i due miliardi di streaming e ha collezionato un numero di live impressionante, compresi Coachella e Lollapalooza. Suona diversi generi, dalla french house al nu jazz, ma incasellare la sua musica in un solo genere o corrente è un esercizio vano.
Il suo live è stato funestato da una tempesta tropicale che ha lentamente spostato il pubblico verso zone riparate. Per i pochi eroici spettatori FKJ ha comunque portato a termine il suo show, dispiace non averlo applaudito fino all’ultima nota.

Fine della seconda serata, siamo zuppi ma salvi in auto.
In tasca due token.
Scarpe fradice e morale alto.
Molto, molto bene. 

 

Andrea Riscossa

foto di Roberto Mazza Antonov

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TOdays Festival 2022 • Day 1

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sPAZIO211 (Torino) // 26 Agosto 2022

 

TASH SULTANA

BLACK COUNTRY, NEW ROAD

HURRAY FOR THE RIFF RAFF

ELI SMART

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il compito di rompere il ghiaccio e dare inizio alla festa spetta a Eli Smart, giovane cantautore di origine hawaiana, trapiantato in quel di Liverpool e seguito dalla stessa etichetta di Arlo Parks. Il mix piuttosto ardito produce quello che lo stesso artista definisce “Aloha Soul”.
Sul palco c’è una band di ragazzi capaci e che si divertono, con un sound sicuramente figlio di contaminazioni lontane, ma che alla fine, al netto di tutto, fa semplicemente ballare il pubblico sotto palco con una proposta fresca, di facile ascolto e piacevole. Insomma, uno spritz per iniziare va più che bene.
Da registrare il fatto che il bassista sembri il figlio segreto di Jack Black, cosa che, inevitabilmente, lo fa diventare subito un idolo assoluto.
Si metta agli atti anche il fatto che l’intera band, finito lo show, è scesa tra il pubblico e ha partecipato e ballato fino all’ultima canzone dell’ultimo gruppo. 

Con Hurray For the Riff Raff si cambia registro. La seconda band della prima serata alza l’asticella, ma era previsto. Alynda Segarra sembra una giovane Patti Smith, per presenza e padronanza dei testi. Le sue radici portoricane e newyorchesi si fondono in un mix che spazia dal folk al (quasi) raggaeton. Sugli scudi il bassista che suona con un dito il basso, con la mano destra le tastiere e si diletta nei cori, il tutto contemporaneamente. Sfatato pubblicamente il dramma del multitasking maschile.
Son stati una piacevole sorpresa, soprattutto dopo averli visti dal vivo. 

Ora, sappiate voi che leggete che il sottoscritto era sottopalco soprattutto per il terzo nome in cartellone, i Black Country, New Road, orfani di Isaac Wood.
La setlist del collettivo è composta da brani mai registrati e nulla, quindi, proviene dai due dischi precedenti, For the First Time e Ants From Up There.
I nostri però non deludono. In riga, spalmati sul palco come improbabili personaggi di una inquadratura di un film di Wes Anderson, danno vita a quanto di più vicino a un klezmer jazzato minimalista post-qualcosa. Per quanto questa definizione abbia senso. Si susseguono dialoghi senza regole tra strumenti, che diventano attori di un racconto e che entrano in scena con urgenza, per mostrare un punto di vista, a costo di farlo fuori tempo. Un Satie con la sindrome di Tourette.

A chiudere segue Tash Sultana, il live più atteso dal pubblico della serata, quello anagraficamente più giovane dell’intero festival. Del resto la giovane polistrumentista australiana ha una storia tutta social, talento e streaming a grandine. Nasce come artista di strada, nel 2016 pubblica su youtube il singolo Jungle. In cinque giorni arriva al milione di visualizzazioni (ora ne conta 149 milioni, è ancora online). Nel 2016 crea la sua etichetta indipendente Lonely Lands Records e pubblica il primo EP, Notion. Seguono tour, fama mondiale, due dischi.
Sul palco di Torino Tash suona tutto quello che le passa vicino. Dalla chitarra al flauto, dalle percussioni al sax. Si auto-campiona con la loop station, crea e costruisce il pezzo davanti al pubblico, poi improvvisa. La prima parte dello show è una dimostrazione muscolare di talento. Non c’è autotune, sono brandelli di bravura analogica che passano per la loop station e che riverberano e amplificano, diventano subacquei, perdendosi in lunghissimi assoli.
È padrona del palco, nonostante la giovane età e le dimensioni ridotte. Un piccolo punto di fuga lassù, sul palco, in perenne movimento e urgenza creativa.

Finita la prima serata, abbiamo orecchie sazie e gambe molli.
In tasca tre token.
Scarpe distrutte e polvere nei denti.
Benissimo.

 

Andrea Riscossa

foto di Roberto Mazza Antonov

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Thurston Moore @ Nova Bologna 2022

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• Thurston Moore •

+

King Hannah

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N O V A  F E S T I V A L  2022

Dumbo (Bologna) // 11 Giugno 2022

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Seconda serata all’insegna delle buone chitarre in quel di Bologna, grazie a quel gioiellino del NOVA Festival. Stasera una line up di tutto rispetto, dove in apertura al navigato Thurston Moore ci sono i King Hannah, duo di Liverpool nel pieno delle luci della ribalta.

Infatti, già dal gruppo di apertura, la sala è gremita di persone e si respira un’aria di attesa e pungente curiosità. Hannah Merrick alla voce e Craig Whittle alla chitarra, accompagnati dalla classica formazione di batteria e basso, creano un sound ipnotico ed etereo, che spazia da un Trip hop alla Portishead con tendenze folk rock. Viene presentato quasi interamente il loro disco d’esordio, che gli ha fruttato un contratto con la storica etichetta City Slang, con l’aggiunta di una cover emozionante di Bruce Springsteen State Trooper. Il loro live finisce con la tittle track che li ha resi noti alla grande critica e anche la mia loro canzone preferita I’m Not Sorry I Was Just Being Me: una voce ammaliante e magnetica che richiama una giovanissima PJ Harvey. Diventeranno i big di tutti i prossimi festival invernali, ve lo garantisco.

Dalle atmosfere sognanti ed oniriche si passa al muro di suono che ti devasta timpani e anima che solo i Sonic Youth sanno fare e che giustamente Thurston Moore porta avanti in solitaria. La formazione sul palco, poi, è di tutto rispetto: Debbie Googe (My Bloody Valentine) al basso, James Sedwards alla chitarra (Nought) e Jem Doulton alla batteria. All’anagrafe non proprio giovanissimo, ben 64 primavere, ma sul palco il nostro beniamino americano dimostra una carica e un’energia da diciottenne. La maestria, poi, con cui maneggia la sua chitarra è da lasciarti senza fiato: i riverberi e le distorsioni di suono che riesce a creare sono intense e appassionanti, che deliziano tutti i fan di quel noise rock aggressivo e prorompente. La scaletta prevede sia brani dal suo ultimo disco Screen Time, composto principalmente da lunghe canzoni strumentali eseguite ad arte come The Station e The Neighbor, sia canzoni meno recenti, come la celebre Hashish.

Momento di campanilismo: Thurston Moore venne a suonare nella mia piccola città natale, Vasto in provincia di Chieti, nel lontano 2016 e se ne innamorò completamente, tanto da tornarci successivamente sia come turista che da dedicargli una canzone. Infatti ieri sera, prima di eseguire Siren ha elogiato pubblicamente la mia città, rendendo l’esecuzione ancora più emozionante per la sottoscritta. 

Due band diverse sia per il sound che per l’attitudine, ma perfettamente amalgamate che ci hanno regalato una serata emozionante e suggestiva, che ci hanno lasciato per tutta la serata un sorrisetto soddisfatto di chi, per qualche ora, ha saziato la propria fame di live music di un certo livello.

 

Alessandra D’aloise

Foto: Roberto Mazza Antonov
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KING HANNAH

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