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Tag: roger waters

Roger Waters @ Unipol Arena

Bologna, 28 Aprile 2023

 

Stamattina mi son svegliato relativamente presto, considerato che ieri sera sono rientrato da Bologna quasi alle tre. Sbrigata una rapida colazione ho sentito l’urgenza di mettere su le cuffie ed ascoltare Brain Damage e in obbligata successione Eclipse.

Avevo bisogno di tornare a qualche ora prima, agli spalti dell’Unipol Arena di Bologna, necessità di metabolizzare le quasi due ore di concerto di Roger Waters, forse semplicemente di non interrompere quel flusso, apparentemente non esplicabile in maniera universale, anzi molto personale.

Che poi è forse quella la grandezza della musica, della grande musica, dei grandi musicisti, quella di saper creare migliaia di univoci sinceri rapporti.

Soprattutto, ma non solo, umani.

In una serata come quella appena vissuta, spesso ciò mi che resta di quel turbinio di emozioni contrastanti, slanci emotivi, momenti estatici, poche pause e diffuso senso di beatitudine, almeno personalmente, si riduce a pochi frammenti, pochi istanti.

Mi capita di continuo. 

Ancora non ho capito se sia la mia psiche, il mio cervello meglio, che necessita di fare “pulizia” e fissare pochi indelebili fotogrammi a imperitura memoria. 

Forse un pò come i ricordi base, se avete visto Inside Out, il film d’animazione della Pixar di qualche anno fa.

Personalmente (e per certi versi colpevolmente per aver tardato tanto) ero al mio primo, e con ogni probabilità unico, concerto di Roger Waters. Sapevo grossomodo a cosa andavo incontro, pur essendomi tenuto in questi mesi con ogni forza lontano da video, foto, recensioni, polemiche, setlist, per arrivare quanto più vergine possibile di fronte ad uno dei miei grandi numi tutelari in campo musicale, e le attese sono state ripagate. Abbondantemente aggiungerei.

Lo show messo su dal prossimo ottantenne (!) proveniente da Great Bookham si è rivelato da subito (l’apertura affidata a Comfortably Numb ha rappresentato in tal senso una dichiarazione d’intenti chiara) abbacinante, non solo dal punto di vista visivo, e travolgente, non solo dal punto di vista musicale. 

Il palco a forma di croce al centro del palazzetto, almeno sulle prime, ti lascia una sensazione di distacco, di lontananza, specie per chi come il sottoscritto sedeva sulla tribuna opposta rispetto a quella verso la quale era rivolto Waters, ma la resa in primis sonora dell’impianto e in secundis dei giganti led wall che riprendevano la scena, permetteva di azzerare la distanza e di compattare le quindicimila (stima mia spannometrica) presenze attorno ai nove musicisti al centro della scena.

Mi pare inutilmente retorico soffermarsi sulla perizia e maestria dei vari Wilson, Kilminster, Waronker, il sax di Seamus Blake (mio personale MVP comunque della serata, un paio di assoli cla-mo-ro-si), la band funziona a meraviglia e lo show non ha pecche, sia come ritmo, che come setlist, non banale, specie nell’ordine dei brani, con un paio di momenti (ecco i famosi ricordi base di cui sopra) di immane bellezza: l’accoppiata Wish You Were Here / Shine On You Crazy Diamond, accompagnata dal racconto di Waters e Barrett ad un concerto degli Stones, e la conclusiva Brain Damage ed Eclipse, dove migliaia di ghiandole lacrimali sono state messe a dura prova.

Il finale in acustico affidato ad Outside The Wall, con la band stretta in cerchio attorno a Waters seduto al piano, quasi fossero al bancone del bar spiega il nostro durante la serata, è un finale davvero centrato, azzeccato, quasi intimo per quanto la situazione potesse permettere, spoglio, in netta – e riuscita – contrapposizione con la maestosità e ricchezza che lo precedeva. 

È più o meno tutto qui. 

Ah già, ci sarebbe l’aspetto politico del concerto, quasi preponderante dato il numero di messaggi e input e riferimenti, più o meno espliciti, lanciati dai primissimi vagiti fino al crepuscolo della serata. 

Si svaria sui più diversi fronti, dal conflitto palestinese alla questione mediorientale, dalle guerre targate Stati Uniti ai diritti delle minoranze, passando per Chelsea Manning, Assange e i più crudeli ed efferati crimini di guerra, e l’impressione che ho, conoscendo in maniera superficiale e indiretta l’impegno e l’attivismo che Waters profonde da anni, è quella di un nobile intento forse non del tutto a fuoco. Senza dubbio ciò è ovviamente dovuto alla necessità di concentrare tante “missioni” in un tempo relativamente breve. E per questo, parer mio, va bene così.

E dopotutto è lo stesso Waters ad ammonire ad inizio spettacolo, con queste parole che tradotte suonano all’incirca così: “Se vi piace la musica dei Pink Floyd ma avete da ridere con la visione politica e i messaggi di Roger, beh potete tranquillamente andarvene a fanculo al bar”.

 

Alberto Adustini

Roger Waters @ Mediolanum Forum

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• Roger Waters •

 

Mediolanum Forum (Milano) // 01 Aprile 2023

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Lost Pigs


È la prima volta che a fine concerto non trovo un giudizio. Non lo sento, non arriva, sono intorpidito. Comfortably Numb, o, semplicemente, ho accusato il colpo.
C’è una lotta interna tra quello che ho visto e quello che ho ascoltato. C’è uno scontro tra la musica dei Pink Floyd, consumata in decenni di vita, e l’uso fatto dal suo padre e padrone, Roger Waters. E l’effetto ha il gusto dell’assurdo, perché tutto mi aspettavo, tranne il non aver assistito a un concerto di musica eccezionale. No, quello visto questa sera non è solo un concerto. Lungi da me usare qualcosa che suoni come experience-qualcosa, però, insomma, avete capito. C’è musica e ci sono immagini, messaggi, proclami, sentenze. È simile a una bevuta con un vecchio amico, il tutto intervallato da momenti di monumentale esplosioni d’ego. Come se i ricordi evocati, le idee proposte, le storie raccontate venissero plasticamente rappresentate sopra la testa di Mr. Waters. Ed è esattamente quello che ho visto, quello che tutti i presenti hanno avuto. Come un ciclopico fumetto a forma di croce, come un ipercubo che viaggia tra canzoni, nello spazio, attraverso il tempo.
Waters avvisa i presenti: se siete venuti solo ad ascoltare canzoni dei Pink Floyd e non condividete la visione del mondo che viene proposta, potete, letteralmente, andare a fare in culo.
Ascolto, sorrido, mi sovviene un noto paradosso che prevede l’uso dell’intolleranza per placare gli animi intolleranti, ma siamo già oltre. Forse andava scritto prima, sul biglietto. Disclaimer: Waters è una retta, non si piega, non curva, non si spezza, non ha dubbi né vacilla, grazie ai mancorrenti presenti sul palco ma soprattutto a una sua innata incapacità a mediare. L’anziano signore che senza grande sforzo tiene il palco per due ore ha più spigoli del suo maxischermo, ma è cosa arcinota, non vale storcere il naso dopo aver varcato l’ingresso del Forum.
Lo show si apre con immagini di una città semidistrutta. Tutto è nero e blu, come un film di Nolan, le note di Comfortably Numb accompagnano l’ingresso di Waters, le immagini però slegano il pezzo da The Wall, lo rendono universale, lo trasformano in un dialogo tra chi canta e la gente venuta lì per lui. O tra ognuno di noi e il suo vicino. Pink siamo noi, ora e adesso, il che è suggestivo ed evocativo ma porta in nuce una visione pessimistica che sarà il vero filo conduttore della serata. Non c’è un chiaroscuro, tutto è perso. I maiali volano alti nel cielo, sopra le rovine, mentre gli assoli di Gilmour sono spariti, sostituiti da un coro da pelle d’oca.
Segue The Happiest Day of Our Lives, seguita a sua volta dalla suite di Another Brick in the Wall.
Benvenuti nel mondo di Waters, quasi ottantenne. Se cercavate salvezza avete sbagliato luogo, se pensavate che grazie alla veneranda età si fosse giunti a una qualche verità, beh, non è andata proprio così. I maiali hanno vinto, fatevene una ragione. 

 

Welcome to the Bar

Le prime parole arrivano per presentare un brano inedito, che chiuderà poi il concerto, come fosse una chiave di lettura, o un punto di vista. Il Bar pensato da Waters è un luogo di confronto e di scambio, ma puzza di stoico ritiro dal mondo, di un otium dove rifugiarsi, perché là fuori i maiali volano alti, dal ’77, per giunta. Tutto lo show è animato dal maxischermo, vero protagonista del concerto, che racconta di politici, di storie, di ricordi, di violenza, di sfruttamento, di futuri distopici e di presenti impresentabili. C’è una damnatio memoriae tutta dedicata a Gilmour, che sparisce dalle fotografie e dagli assoli, mentre l’amico Syd Barrett viene evocato in momenti diversi. Moltissimi i brani da The Wall, molto presenti anche le canzoni di The Dark Side of the Moon, ma il filo conduttore della serata è politico e sociologico, e sembra quasi una lezione su come la musica dei Pink Floyd e i messaggi che portava fossero moniti che non sono stati ascoltati.
È una pantagruelica festa di un fallimento. Tra pecore volanti, maiali guidati da droni, laser e un maxischermo che sembra un’astronave, viene comunque enunciato il paradigma di un epocale e sordo tonfo.
È uno spettacolo senza catarsi. Un pugno nello stomaco, suonato divinamente, un invito alla riflessione, ma senza istruzioni e senza fine, come un libro bellissimo, cui hanno però strappato le ultime venti pagine.
Benvenuti allora anche nel Bar di Waters, avrete una vista privilegiata sulla fine del mondo, mentre l’orologio del Doomsday viaggia verso la mezzanotte, al suono delle più belle canzoni dei Pink Floyd.

 

Il Medium è il messaggio

Waters è un signore ormai anziano. Le sue lunghe braccia perdono gli anni solo imbracciando uno strumento. Beve mezcal, sbuffa e arranca. Non fa nulla per mascherare gli anni e tutto quello da cui è stato attraversato.
Waters è il medium, Waters è il messaggio, perché quello che ha raccontato, cantando, negli ultimi decenni, ha un suono diverso, ora che la sua voce è diversa. Il messaggio cambia, le prospettive anche, il tempo che rimane si esaurisce. Waters è una visione del mondo, è un’intolleranza a volte ingenua a volte genuina. Figlio senza padre per colpa dello sbarco ad Anzio degli alleati, ha speso una vita a indicare i maiali avidi di potere. Possiamo accogliere il monito, magari mediarlo, il problema è che tutta la meravigliosa musica dei Pink Floyd stride con quello che il pubblico vede sul maxischermo e con quello che Waters ha deciso di mostrare.
Ho avuto la sensazione che il ‘900 fosse salito, lunedì, un’ultima volta sul palco. Per un commiato epocale, per lasciarci nel mondo del post-qualcosa, senza bussola né mappa. Ecco, mi sento un po’ perso a fine show. Mi sento un po’ solo, Roger. Facciamoci ancora un bicchiere nel tuo Bar, perché stare fuori dalla storia, a questo punto, è un grande privilegio e ne ho molto, molto bisogno. 

 

Andrea Riscossa

Foto di Oriano Previato
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Roger Waters

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Roger Waters live in Bologna @ Unipol Arena // April 21, 2018
Us and Them Tour

 

 

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Sullo schermo la ragazza guarda il mare, guarda l’orizzonte, guarda l’infinito. Una proiezione alle spalle del palco durata almeno due minuti e accompagnata dal suono delle onde, per preparare la strada ad un viaggio, ad un sogno. Waters è sul palco con un look da attore di teatro, un total black di chi non vuole attirare l’attenzione su di sé ma solo sulla propria musica. La prima parte del concerto vola via tra atmosfere oniriche e lunghe performance strumentali che fanno quasi credere di aver fatto un salto nel tempo e di assistere ai Pink Floyd al completo. L’apice viene toccato quando in scaletta si arriva a Hey You incalzata da un pubblico che in coro accompagna ogni nota. E gli applausi non fanno in tempo a svanire che un elicottero sorvola l’Unipol Arena e dodici carcerati di Guantanamo salgono sul palco, vestiti appunto con una divisa arancione e cappuccio nero. E questo è finalmente il momento di Another Brick in the Wall. Brividi e anticonformismo esaltati dal suono distorto della sua chitarra e dal suono di una sirena allarmante che scende dal soffitto sul pubblico, che portano lo show al passo successivo: la denuncia sociale. Waters si sa, era il membro impegnato per eccellenza dei Pink Floyd e il pacifismo esce palesemente con la proiezione di immagini contro la guerra, come quella di un bambino davanti ad un carro armato. Poi naturalmente la posizione anti Trump non tarda ad arrivare, proiettandone le frasi più salienti.

 

A Nation without borders is not a nation at all.

We must have a wall.

I too have a nuclear button,

but it is a much bigger and more powerful one than his,

and my button works.

Fino a toccare l’assurdità dell’infelice frase

If Ivanka were not my doughter,

perharps i would be dating her.

 

Scenografie magnificenti richiamano le copertine dei Pink Floyd: la Battersea Power Sation di Londra sovrasta tutto il pubblico, la sfera di Pulse vola libera nell’aria, il maiale di Pigs con la scritta “Piggy Bank of War” e per finire la piramide di laser fa sentire il pubblico in un luogo mai visto, sul lato oscuro della luna. Uno spettacolo coinvolgente che porta il pubblico in una realtà parallela dove il tempo non segue le leggi della fisica e tre ore sono un secondo e la musica dei Pink Floyd è più attuale che mai nonostante siano passati 33 anni dal loro scioglimento, che poi è la mia età, come fosse quasi destino. Se dovessi descrivere lo show con un unico aggettivo, lo definirei visionario.

È stato un continuo salire di livello, di emozioni e di ritmo. È stato un lungo show che non ha avuto alcun momento morto dove la prima emozione non trovava il tempo di finire subito sopraffatta dalla seconda e poi dalla terza e così via. È stata un’esperienza più che un concerto.

Sono passati due giorni dall’evento. Sto scrivendo questo articolo dopo aver raccolto i miei messaggi inviati durante e post concerto alle persone, perché è da quelli e dalle espressioni sui volti di chi mi ascoltava dal vivo che ho capito di aver testimoniato ad una sorta di “Evento definitivo” tra i possibili eventi unici che un individuo può vedere.

Alla mia ragazza non ho fatto altro che scrivere “Non puoi capire”, perché su due piedi, con Waters sul palco, altro non ero in grado di scrivere.

 

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Testo: Alessio “doc.trip” Bertelloni

 

Thanks to D’alessandro & Galli

 

 

 

 

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