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Tag: rufus wainwright

Rufus Wainwright @ Musikhuset

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• Rufus Wainwright •

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HAYLEY SALES

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UNFOLLOW THE RULES TOUR

Musikhuset (Aarhus) // 21 Marzo 2022

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HAYLEY SALES

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Rufus Wainwright “Unfollow the Rules” (BMG, 2020)

La regola di Rufus

 

Nella mia famiglia non ci sono laureati. Mio fratello ed io ci abbiamo provato (o ci stiamo ancora provando) a concludere, mentre i miei genitori per origine, possibilità o sorte si sono fermati molto prima. Eppure tra le mura domestiche, da che ne ho memoria, si è sempre respirata un’aria non direi intellettuale, alta, ma si percepiva in maniera tangibile come l’ignoranza fosse un nemico da debellare, al pari della maleducazione. Un abbonamento ultradecennale al Club degli Editori aveva portato in dote una libreria di assoluto rispetto e un’enciclopedia di svariati volumi. Se dovessi associare il mio papà ad un’immagine sarebbe senza dubbio La Settimana Enigmistica appoggiata sopra alla Garzantina sul comodino accanto al letto. Mia mamma invece è una radio accesa in ogni stanza, simultaneamente, con un repertorio che propone con la stessa facilità la Callas impegnata nella Casta Diva e L’immensità di Don Backy. Giusto per contestualizzare.

Accade che qualche settimana fa stavo disquisendo di nulla in particolare con la mia genitrice e all’interno di una frase, mezza in dialetto mezza in italiano, la sento usare il termine affettato; sul momento non ci faccio troppo caso ma poi torno subitamente indietro e quasi arrogante chiedo lumi. L’arroganza iniziale si è fatta presto resa incondizionata, ma giuro, davvero non avevo mai sentito o visto utilizzare quella parola. Non nell’accezione dell’insaccato s’intende, sia chiaro. 

E perché tutto sto discorso? Perché non nego che in qualche passaggio, in (più di) qualche frangente nella carriera di Rufus Wainwright, io abbia trovato la sua musica artificiosa, sempre di qualità elevata, ma meno spontanea e sincera di quanto non lo fosse ad esempio ai tempi di Poses, per dirne uno.

Ed invece, a questo (nono) giro è davvero necessario riporre l’affettato in frigo (scusate l’eccezionale gioco di parole, non ho potuto resistere) perché Unfollow The Rules è un gran buon disco (chamber?) pop. 

Prendete l’apertura, affidata a Trouble In Paradise, o la successiva Damsel In Distress, per avvertire in maniera nitida la freschezza e la brillantezza di scrittura del nostro, che a dispetto del brio delle parti strumentali, tra i versi sottende una sincera analisi riguardo alle maschere che indossiamo, ai sorrisi coi quali celiamo dei dissidi, all’orgoglio stolto che ci allontana dal nostro vero io.

Il piano e voce che introducono il brano che dà il titolo al disco riportano l’ascolto nelle zone che più mi hanno fatto innamorare dell’artista di Rhinebeck, quei momenti di lirismo assoluto, da quel “tomorrow I will just feel the pain” a precedere un cambio tempo di una bellezza sfacciata, tale da costringermi a “riavvolgere il nastro” più volte; pochi accordi di piano, diluiti, quasi languidi, che trovano un’improbabile quadra con la chitarra e la batteria, che quando ritorna la voce con un significativo “don’t give me what I want, just give me what I’m needing” non sembra nemmeno più di essere all’interno della stessa canzone. 

Eppure funziona così, quando si ascoltano quelli bravi davvero.

Il clima torna a farsi quasi giocoso, con You Ain’t Big, o si sconfina in lidi quasi (quasi) folk con Peaceful Afternoon per poi tornare a volare altissimi con Only The People That Love, una stesura magnifica, curata, immediata, “Only the people that love / May dream / May Cry / May fly”. La successiva This One’s For The Ladies (THAT LUNGE!) strizza l’occhio all’ultimo John Grant (ammesso che non sia più probabile il contrario), ipnotica e sospesa, clima proseguito da una enigmatica My Little You.

I toni si fanno più notturni e compassati in Early Morning Madness, sebbene la coda in crescendo mi perplima non poco; ad ogni modo un piano quasi da cabaret introduce Devils And Angels (Hatred), che si sviluppa poi secondo canoni più classicheggianti di quanto l’inizio facesse intendere (o sperare).

La chiusa di Alone Time è il colpo di coda del campione, la zampata di pura classe, un piano appena accennato, un controcanto ispiratissimo a tinte quasi gospel, un testo di struggente, candida bellezza, che quasi ti muove alle lacrime (“But don’t worry, I will be back, baby / To get you on the wings of a perfect song”).

È il disco che personalmente mi riappacifica, mi ricongiunge con Rufus Wainwright, che una volta affrancato, dimesse le vesti patinate che spesso lo hanno nascosto, torna a mostrare la sua più profonda (e nuda) natura. 

 

Rufus Wainwright

Unfollow the Rules

BMG

 

Alberto Adustini

Rufus Wainwright @ Percuotere la Mente

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• Rufus Wainwright •

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Percuotere la Mente (Corte degli Agostiniani, Rimini) // 29 Luglio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Sul palco di Percuotere la Mente, Rufus Wainwright è solo. Cammina veloce, vestito con un paio di pantaloni scuri e una t-shirt, si siede al pianoforte e inizia a suonare The Art Teacher. Nessun preambolo, nessuna parola inutile. C’è solo la musica stasera. Solo Rufus Wainwright, senza orpelli. Dimenticatevi quindi i cappelli dickensiani, i mantelli di piume o le vistose giacche in paillettes. Anche la sua musica viene presentata in una versione più minimale: nella Corte degli Agostiniani Wainwright si esibisce alternandosi tra piano e chitarra acustica. Non c’è traccia dei barocchismi a cui ci ha abituati. E tutto suona meravigliosamente bene. 

Dopo più di venticinque anni di carriera, Rufus Wainwright non ha più niente da dimostrare, la sua classe e la padronanza del palco sono ormai delle certezze.

Chitarra in mano, intona una perfetta Out Of The Game, seguita da un altrettanto impeccabile Jericho. Poche note e il pubblico è definitivamente conquistato. Quando si allontana dal suo piano e strofina un’acustica ricorda un musicista di strada, più simile al suo vecchio Loudon Wainwright III che al pupillo di Elton John che abbiamo imparato a conoscere.

Wainwright non perde occasione di dire quanto ami l’Italia, raccontando aneddoti su Rimini e sul Grand Hotel, quel “pazzo hotel sul mare, con uno strip club nel seminterrato”, o di quando fu invitato al Festival di Sanremo qualche anno fa e un gruppo di Papaboys lo aspettò in aeroporto per protestare contro di lui. “Lo scandaloso” dice con enfasi drammatica, prima di scoppiare a ridere e partire con Gay Messiah.

Rufus passa dai tocchi pianistici funerei agli aneddoti da cabaret con insolita facilità. Forse uno degli aspetti più sorprendi di questa serata è proprio questa sua simpatia sorniona. 

“Il mio nuovo album è pronto, dovrebbe uscire il prossimo aprile” ci annuncia. Stava lavorando quando sua figlia Viva entrò nella stanza dichiarando che lei da grande “non avrebbe seguito le regole”. Da qui il possibile titolo del prossimo lavoro: I Unfollow The Rules. Lontano dagli anni scintillanti e luccicanti degli esordi, quelli dell’enfant terrible, oggi Wainwright può essere definito con assoluta sicurezza uno dei cantautori migliori della sua generazione. E guardandolo su quel palco, rigoroso eppure incredibilmente umano, è chiaro a tutti che per raggiungere certi livelli sia per forza necessario essere disciplinato e seguire le regole.

“Sono un grande fan di Mina” racconta, “il prossimo pezzo avrebbe potuto cantarlo anche lei”. Early Morning Madness è una canzona nera: il pianoforte e la sua voce potrebbero spalancare le porte dell’abisso.

C’è spazio anche per l’ecologia e la politica. Going to a Town è uno dei suoi pezzi migliori, ma è anche una preghiera o forse sarebbe il caso di dire, una dichiarazione anti-Trump. Rufus canta di sentirsi stanco dell’America. Quando durante il pezzo sbava il falsetto sorride imbarazzato e ammette “I’m human”, il pubblico esplode in un caldo applauso. 

Il suo dono è quello di saper intrecciare la speranza e il romanticismo con la malinconia, “va bene anche essere tristi, a volte” ci dice prima di suonare Only the People That Love. 

Non mancano nemmeno gli omaggi a Leonard Cohen: So Long Marianne e Hallelujah. Uno dei momenti più toccanti della serata, ma non di certo gli unici. Candles, la canzone dedicata alla madre, viene eseguita interamente a cappella. Il suo baritono risuona chiaro e nitido in tutta la corte. Non abbiamo bisogno di altro, grazie Rufus. Questa esecuzione da sola vale il biglietto.

Al termine del concerto guarda il pubblico e sorride timidamente. Rufus Wainwright se ne va così come era arrivato, tra gli applausi, accompagnato solo dalla sua incredibile voce e dalla sua musica. [/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Daniela Fabbri

Foto: Francesca Garattoni

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie alla Sagra Musicale Malatestiana | Comune di Rimini

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