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Tag: sanremo

Sanremo 2022: il pagellone del Festivàl

Matteo Romano: una canzone in pieno stile sanremese per questo ragazzo che sembra almeno 5 anni più piccolo di quello che è. Premio Giochi della Gioventù™

Giusy Ferreri: da martedì porta il peso dei meme di questa edizione. La foto di lei con megafono e microfono ci accompagneranno per le prossime settimane.

Rkomi: corre, salta, fa le flessioni, lava i piatti con quei guanti della terza sera e tra una cosa e l’altra canta pure. L’ultima sera fa un sentito discorso su come magari non azzecchi tutte le note ma ci creda comunque fortissimo. Premio Sincerità™

Iva Zanicchi: “e a Iva Zanicchi cosa vuoi dire?”. E infatti non dirò niente. 

Aka7even: porta una canzone che ricorda pericolosamente What Makes You Beautiful degli One Direction. Un Harry Styles che non ci ha creduto abbastanza. 

Massimo Ranieri: non ci sono più i Perdere l’Amore di una volta. 

Noemi: una canzone senza momenti vuoti. Decisamente rivalutata dalla prima sera.

Fabrizio Moro: non riesco a pensare a qualcosa di più diametralmente opposto a Non mi avete fatto niente, con cui vinse nel 2018. Purtroppo questa svolta ballad per me è no.

Dargen D’Amico: stessa chaotic energy di Piero Pelù ma senza rubare borsette al pubblico.

Elisa: l’arte la maestria la perfezione la professionalità la grazia. Podio meritatissimo.

Irama: dopo la quarantena dell’anno scorso, torna cambiato. Come chi torna da un viaggio in India per ritrovare se stesso. Purtroppo, era meglio la prova generale dell’anno scorso.

Michele Bravi: lui icona di stile e del Fantasanremo. La canzone carina ma niente di nuovo. 

La Rappresentante di Lista: canzone meravigliosa, balletto da trend topic già imparato a memoria. Meritano il mondo, sicuramente più di quello che gli abbia dato il televoto.

Emma: una canzone grintosa, in pieno stile Emma. Il duetto con Francesca Michielin sulle note di Baby One More Time ci ha fatto volare.

Mahmood e Blanco: la rivelazione. Una canzone completamente inaspettata da questo duo. Tengono il palco come se lo facessero da tutta la vita e infatti, come da pronostici, vincono. Ci vediamo a Torino.

Highsnob e Hu: i Coma_Cose dopo aver ascoltato per 24 ore filate i My Chemical Romance. La canzone spesso penalizzata dagli orari immondi di esibizione.

sangiovanni: guilty pleasure del festival, non me ne vergogno.

Gianni Morandi: a 77 anni ha più energia di tutto l’Ariston messo insieme. Premio Welfare™ e terzo posto.

ditonellapiaga e Rettore: il duo di cui avevamo bisogno. Il loro 16° posto mi ha fatto venire voglia di fare come l’orchestra nel 2010. Anche loro meritavano decisamente di più.

Yuman: è un film asiatico di 3 ore, di quelli che il tuo amico cinefilo ti giura sia bellissimo. Per pochi.

Achille Lauro: la canzone è molto simile a Rolls Royce, ma le sue esibizioni stupiscono sempre con questo aplomb invidiabile. Un signore.

Ana Mena: da potenziale regina del raeggeton a boss delle cerimonie. Neomelodica.

Tananai: la versione live non rende giustizia a una canzone che in studio è pure godibile. Ultimo posto all’Ariston ma beniamino del Twitter.

Giovanni Truppi: canottiera rossa d’ordinanza (ma artigianale ♥️) ed è subito Festa dell’Unità. Dopo ieri sera mi permetto di volergli un po’ più bene. Duro e puro.

Le Vibrazioni: la canzone mi è piaciuta molto più di quanto mi aspettassi da un pezzo delle Vibrazioni. Premio Shock™

 

Francesca di Salvatore

 

Foto: Marco Piraccini

Grazie a Mondadori Portfolio

Sanremo 2021: Apologia di un Festival

Disclaimer: in questo articolo si parlerà solo di musica. Eviterò quindi i riferimenti a siparietti, politica e monologhi vari su qualsiasi questione perché non è questa la sede.

 

“Non credo di esser superiore/anche io guardo Sanremo” cantavano nel 2011 gli Zen Circus ne I Qualunquisti, una canzone che come poche riassume l’essenza del nostro paese. Ed è vero, perché ogni anno questo concentrato di italianità in mondovisione (e viene anche omaggiato in tutto il mondo) tocca vette altissime di share e unisce un’intera nazione sotto il segno della ballad. 

Ma c’è un però.

Da qualche anno a questa parte, infatti, il “genere Sanremo” è andato in crisi. Un genere che ha dei canoni ben precisi e sono convinta che tutti voi, sentendo questa parola, abbiate già in mente un tipo di canzone in particolare. È quindi per questo che la kermesse sta spopolando sempre di più nella fascia 18-25 — basta farsi un giro su Twitter per rendersene conto — contro qualsiasi pronostico. 

Da un lato abbiamo il tentativo, quest’anno più forte che mai, di svecchiare il festival con artisti giovani, freschi, usciti spesso e volentieri da club e locali vari. Nomi come Fulminacci, Madame, La Rappresentante Di Lista, Coma_Cose che, al momento della presentazione dei cantanti in gara a Dicembre, hanno piacevolmente sorpreso me e lasciato un po’ sbigottita mia madre, che invece continuava a chiedersi chi fossero. 

Il target è cambiato, e di conseguenza anche la musica è cambiata. Certo, non possiamo prescindere del tutto dalla quota “Tipica Canzone Sanremese”, ovviamente presente e apprezzata in particolare dalla giuria demoscopica, ma c’è anche stata varietà. L’egemonia culturale della ballad è stata sconfitta e i premi assegnati sono uno specchio di questo cambiamento: non a caso abbiamo avuto miglior testo a Madame (così come lo vinse Rancore lo scorso anno, uno dei primi a portare il rap all’Ariston), ma soprattutto dobbiamo parlare dei vincitori. 

I Måneskin.

Possono piacere o no piacere (io personalmente ho la loro canzone a rotazione da martedì) ma è innegabile che siano dei performer clamorosi. Nel 2016 aprirono gli Imagine Dragons al Milano Rocks davanti a 60.000 persone, sotto un diluvio universale, e tennero il palco come se lo facessero da tutta una vita. Sono spavaldi, energici, sopra le righe e forse non saranno una rivoluzione nel panorama mondiale della musica, ma per il Festival sicuramente lo sono, quindi la loro vittoria può solo che farmi piacere (e darmi speranza per l’Eurovision di maggio).

Insomma, è stata premiata una band che fa un genere che non ha niente a che vedere con lo standard festivaliero, in cui il cantante è classe ‘99 (ha la mia età e qui devo ripetermi: il target è cambiato, la rappresentazione è cambiata con buona pace di chi si lamenta) e che durante la serata cover si è esibita con Manuel Agnelli, quindi se lui ci vede qualcosa, chi sono io per negarlo.

Ma non è solo lo svecchiamento della scaletta a far sì che a 21 anni qualcuno pensi che sia una buona idea fare nottata per seguire Sanremo. 

Perché Sanremo, come tutta la TV da qualche anno, sa che lo show (sì, lo show, perché non dimentichiamoci che non c’è solo la musica in ballo, ma è un evento di portata mondiale) non lo fai soltanto in televisione, ma anche e soprattutto su internet. 

Guardare il Festival — o per i più assennati solo le performance il giorno dopo, riducendo così i tempi di un terzo — significa avere accesso alla quantità stratosferica di meme, video e in generale contenuti prodotti sul web. Insomma, senza aver visto la performance di Aiello della prima sera, il video in cui il suo pezzo è stato ridoppiato con la voce del signore di “signora i limoni” perde di significato e magia. 

E sono proprio i meme a far sì che anche le vecchie, vecchissime glorie — da Ornella Vanoni a Donatella Rettore passando per Orietta Berti (che sono sempre più convinta sia stata invitata per la quota meme e non per far piacere al vecchio pubblico target) — abbiano un seguito enorme e creino più interazioni di molti altri che invece non hanno lo stesso potenziale sfruttabile da internet.

Insomma, il Festival può piacere o meno, ma è anche vero che negli ultimi anni si sia ricreduto anche chi non avrebbe mai pensato di guardarlo perché “è sempre la stessa musica”.

E invece, fortunatamente, la musica sta cambiando. 

 

Francesca Di Salvatore

Foto di Copertina: Instagram @maneskinofficial