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Tag: sara alice ceccarelli

Jova Beach Party @ Rimini

Un po’ come si è chiesto Motta durante un’intervista di qualche giorno fa, anche io mi chiedo se le persone presenti stiano ascoltando o abbiano realmente mai ascoltato o letto le parole di Lorenzo Jovanotti Cherubini nelle sue canzoni.

Si perché le cose sono due: puoi non aver capito nulla o puoi non aver ascoltato, quel che è certo è che se non concordi difficilmente potrai trovarti a tuo agio qui, dove da padrona la fa l’ecologia.

Anche qui al Jova Beach Party di Rimini, il 10 luglio, troviamo un Jova che lotta per l’ambiente e che fa intervenire un astronauta in orbita con un dolce e commovente intervento che si riassume facilmente con la sua frase di commiato “il vero nemico non sono i poveri in difficoltà, ma è il cambiamento climatico”.

L’evento, non il concerto, consta in uno spazio ampio sulla spiaggia adiacente a Riminiterme che ospita ristoranti locali, Street Food e cibi anche per vegetariani e vegani.

All’entrata si percepisce subito l’aria di festa. Impalcature centrali e laterali contengono e regolano un parterre sold out già da diverso tempo, con scenografie “spaziali” e giochi di colori.

Durante il pomeriggio numerosi dj set e Jova che, tra le transenne centrali dove era stato allestito un piccolo palco “sposa” una fortunata coppia che non riesce a trattenere la gioia e fatica quasi a parlare. È come se un abbraccio facesse sentire tutti parte di un micromondo, un piccolo spicchio ritagliato dalla realtà dove finalmente puoi rilassarti.

E poi si entra nel vivo e si diverte lui per primo. Come sempre.

Tra canzoni riarrangiate, vecchie e nuove, e dj set sulle note dei suoi artisti preferiti come Fat Boy Slim, Blur, Bruno Mars, Nirvana, Avicii, Queen, Coldplay e Chemical Brothers tra gli altri, salgono sul palco anche dei vecchi amici.

Christian Ermeti e Elisa Fuchi campioni del mondo di danze Folk salgono sul palco assieme all’Orchestra Casadei e ci salutano solo dopo la rituale Romagna Mia cantata in coro come da tradizione (lo scorso live è stata altrettanto bella e sentita).

Guardando Jova sul palco possiamo definirlo un nuovo hippie, anche se somiglia tanto agli hippie dell’epoca dei miei genitori. L’hippie bello, serio, quello dei fiori nei fucili. Tra un inno all’Europa unita e un messaggio di speranza <<Bisogna dire sì ogni tanto. Non sempre no. No a tutto. Basta, diciamo di sì>> sale sul palco anche Luca Carboni, ospite graditissimo e nostro conterraneo (Bologna è casa, diciamolo).

Assieme riarrangiano Bella in chiave reggae e improvvisano la scaletta, diversa per ogni data del Jova Beach Party in giro per l’Italia.

Poi sul maxischermo appare Soldini <<Il mare è bellissimo perché da lì arrivano tante persone ed è necessario tenerlo pulito>>.

E così la serata, tra sensibilizzazione e musiche di tutti i paesi come il bellissimo Sirtaki, scivola via leggera in tre ore di live che è più uno show che un concerto e c’è stato un momento in cui avrei voluto guardare tutti noi sulla sabbia con gli occhi di Jova: chissà cosa avrà pensato osservandoci con gli occhi pieni di gioia e commozione?

 

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<< Mi sento il vostro babbo e non voglio essere pesante ma è davvero importante. Spero che la nostra generazione sia l’ultima che ha impattato così tanto questo pianeta. Le nuove generazioni ne sanno di più di noi, a scuola stanno facendo un ottimo. Lavoro di consapevolezza. Perché uno possa divertirsi senza sentirsi in colpa. Ultimamente capita che se uno parla di divertimento finisce quasi per sentirsi in colpa, perché usano la nostra rabbia come uno strumento per controllarci. Questo perché l’allegria non la controlli, la voglia di fare non la controlli, la pazzia non la controlli. I progetti non li controlli. E quindi abbiamo bisogno della musica di festeggiare, dell’estate e di sfogarci, perché se vogliamo avere degli obiettivi e l’obiettivo principale della nostra generazione è quello di un mondo a sempre minor impatto, fino a raggiungere il prima possibile l’impatto zero. E chi vi dice che è impossibile vi dice cazzate. Ma possiamo fare dei passi. Il primo passo e raccogliere i rifiuti non disperdere le plastiche e usarle sempre meno e riciclarle. Voglio ringraziare tutta la forza lavoro che appena ve ne andrete si metterà al lavoro per lasciarla meglio di come l’abbiamo trovata voglio ringraziare il WWF Italia, Corona, Coop e altre migliaia di persone. Oggi non so quanti siete qui davanti a me, ma la cosa importante è che ognuno di voi, se riesce, si porti via la spazzatura che ha prodotto e la butti nei posti appositi. Ora vi faccio un’altra canzone e poi ci salutiamo ma vi ringrazio molto, è stato molto emozionante con macchina che abbiamo messo insieme, è andata molto bene e speriamo che tutti per voi abbiano fatto un buon lavoro >>.

 

Amo chi usa la popolarità per giuste cause e Jovanotti si supera anno per anno. Forse un giorno arriverà nello spazio, come una stella che non smetterà mai di brillare.

 

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Testo di Sara Alice Ceccarelli

Foto di Mattia Celli

Indimenticabile Festival: Cecco e Cipo e tutto l’amore che c’è

Un’altra tappa per l’Indimenticabile Festival sulle pagine di VEZ Magazine in compagnia di Cecco e Cipo, in line up il 12 luglio.

Un duo toscano dall’incredibile e scanzonata energia live, fresco di uscita del quarto disco in studio: un viaggio Straordinario intriso dell’allegria e della spensieratezza che da sempre caratterizza il duo ma con una scrittura più matura e consapevole.

Li abbiamo incontrati e abbiamo fatto loro qualche domanda.

Buona lettura!

 

 

 

Ciao ragazzi ben trovati! Sapete che durante il periodo di pausa dopo X Factor temevo di non rivedervi più? Vi ho trovato geniali dalla prima strofa. Come componete la vostra musica e i testi? Lo fate assieme oppure vi dividete?

Ciao anche a voi e a tutti i lettori di VEZ Magazine. Siamo molto contenti di essere tornati sulla scena per raccontarvi questo nostro nuovo disco, la cui storia è iniziata con nuovi stimoli, nuove persone, nuovi luoghi e nuovi suoni. La sola cosa che non è cambiata rispetto ai nostri precedenti lavori è proprio il metodo di scrittura originale dei pezzi: o Cipo o Cecco scrivono infatti come hanno sempre fatto, ovvero rigorosamente in sedi separate. Questo perché essendo noi due persone completamente diverse, la nostra totale intimità e solitudine nel lavoro ci permette di esprimere una scrittura molto più intima e personale, e che poi all’orecchio di un fan magari un po’ più esperto permette addirittura di riconoscere di chi è la mano in una determinata canzone.

 

Siete una ventata d’aria fresca. Le vostre canzoni mettono allegria e fanno sorridere da quanto sono realistiche. Per esempio quanto raccontato in Dovresti farci una canzone credo sia qualcosa che possa accomunare tanti artisti. Ci raccontate un aneddoto, magari anche due, che potrebbero essere spunti di canzoni?

Grazie mille per le belle parole! In realtà ci abbiamo pensato dopo al fatto che i temi narrati in Dovresti farci una canzone siano situazioni che potrebbero accomunare diversi artisti, ma appena ce ne siamo resi conto, beh, diciamo che la cosa ci ha fatto molto sorridere! Di aneddoti che potrebbero essere spunti di canzoni ce ne sono tantissimi e possono andare dai viaggi in furgone con la band verso le location dei concerti (anzi, forse è la maggior fonte di spunti per noi artisti!) al raccontare episodi accaduti durante la pratica dei nostri hobby preferiti (una pescata, una notte in tenda, la ricerca di un paninaro buono alle 4 del mattino, ecc.); quello che però abbiamo cercato di raccontare in Dovresti farci una canzone è nello specifico di esaudire il desiderio di parenti, amici, conoscenti e non, che abbiano espressamente fatto richiesta di far entrare un particolare avvenimento (che magari ha colpito più loro che noi) nel nostro repertorio.

 

Nel nuovo album si sentono nuove e intimiste melodie, dolci e delicate. Come in Decidi tu, dove anche la batteria sembra concorrere al premio dolcezza assieme alle vostre voci. Com’è cambiato il vostro stile negli anni? 

Sì, è un disco pieno d’amore, ma che ci possiamo fare? Ci è venuto così a questo giro. Ci sono canzoni molto dolci, accompagnate da una musica dolce, altre invece più improntate sul rock, a volte anche inglese, più da band, più elettriche, per fare ballare un po’, avevamo voglia di far ballare. E’ il nostro quarto disco, quindi forse, più maturo, per forza di cose, non perché sia più bello, ma perché siamo cresciuti noi. di sicuro oggi entriamo in studio con un’altra testa, e andiamo ai live con un’altra sicurezza, anche se siamo sempre comunque una band di scappati di casa e ne succede sempre una. a livello di suono, nei dischi precedenti si sentiva molto l’influenza dei nostri bengalini, tipo Rino, oggi, forse, stiamo trovando una strada più nostra, uno stile solo nostro, che è alla fine è quello che conta.

 

Ci siamo, L’Indimenticabile Festival è alle porte! Cosa vi aspettate dal pubblico e da questa opportunità?

Siamo molto orgogliosi e felici di partecipare all’indimenticabile, gran bella opportunità. Ci aspettiamo molta gente, anche se noi comunque suoneremo il pomeriggio, abbastanza presto, ma la cosa ci foga lo stesso, poi bologna è sempre estate una piazza fighissima. Non vediamo l’ora di suonare!

 

Sara Alice Ceccarelli

Ex-Otago e Indimenticabile Festival: l’intervista

Continua il nostro viaggio in compagnia dei protagonisti dell’Indimenticabile Festival che si terrà il 12 e 13 Luglio 2019 Bologna Sonic Park.

Una prima edizione nata per celebrare il movimento nato fuori dal circuito delle grandi etichette discografiche e dai talent televisivi, cresciuto tra concerti in piccoli club, sostenuto dal mondo social e arrivato alle grandi platee e all’attenzione dei media nazionali partendo dal basso.

Dopo l’intervista ai direttori artistici, a fare un altro pezzo di strada assieme a noi verso il 12 e il 13 luglio ci sono oggi gli Ex-Otago, un gruppo che dai circuiti indipendenti si è ormai fatto conoscere anche dal grande pubblico, specialmente dopo la partecipazione a Sanremo di quest’anno con Solo una canzone.

 

Bologna Sonic Park

Bologna Sonic Park in preparazione

Fotografia di Luigi Rizzato

 

Ciao Ragazzi! Premetto che ci siamo incontrati diverse volte e siete anche una delle prime band che abbiamo fotografato quando ancora non eravamo testata ma eravamo solo una minuscola webzine composta da due persone. Noi di VEZ vi sentiamo quindi molto vicini nonostante abitiamo sulle riviere opposte. Potete quindi raccontarci qual è la cosa che amate di più di Genova, che vi lega a quella città così da farla sentire “familiare” anche a noi?

Genova da sempre è una città che accoglie e con le sue bellezze artistiche e culinarie non può che conquistarti e farti sentire a casa! Noi con Genova abbiamo un rapporto quasi viscerale, che emerge in ogni nostro disco, è una città che ti lascia il segno nel bene e nel male e che ti porti sempre dietro ovunque tu vada.

 

 

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Un Concerto per Genova

RDS Stadium Genova, 2018

 

La vostra musica e i vostri testi sono raffinati e “alti” ma al tempo stesso immediati. Come nascono le vostre canzoni? 

Le nostre canzoni nascono piano piano, ci piace dare questa immagine: Hai presente i Lego? Montare e smontare una casetta, un castello, un intero paese. Ecco, per noi ogni canzone è un momento di gioco da una parte e un cantiere dall’altra. Come prima cosa io scrivo i pezzi, dopodiché mi riunisco con tutti gli altri componenti della band per rivederli tutti insieme e pensare alla musica da costruirci intorno. Ogni pezzo ha una sua storia, per alcuni pezzi ci basta un pomeriggio, altri invece li teniamo in un cassetto e dopo un po’ di tempo prendono forma, ma alle volte non come erano state concepite. Così capita che il ritornello di una canzone diventi il verso di un’altra. CI fa piacere che i nostri testi vengano percepiti come “immediati” quando in realtà c’è molto lavoro dietro.

 

Che ne pensate dell’uso e forse abuso che si fa della parola “indie” negli ultimi anni? Pensate che ci sia ridondanza e ripetizione a livello di temi e melodie oppure trovate che i recenti sviluppi abbiano favorito una certa dose di innovazione?

In generale sia io che gli altri componenti della band non amiamo molto le etichette, sulla parola ”indie” ti posso dire però , abuso o non abuso a parte, che è stata l’elemento chiave per portare una grande dose di innovazione nella musica italiana. Negli anni 2000 quando noi facevamo già questo genere, spesso le persone ci guardavano come degli alieni perché noi dicevamo di fare “pop” ma all’epoca il pop erano solo artisti come Eros, Giorgia e via dicendo. Da lì è nata la parola indie e siamo contenti che più di dieci anni dopo le carte in tavola siano cambiate, perché anche grazie a questo concetto, oggi sotto la parola “pop” possono essere incluse tante realtà musicali differenti. Non percepiamo una ripetizione a livello di temi e melodie anche perché, come ti ho detto prima, noi non vediamo artisti “indie”,”trap” o “rock” ma vediamo il panorama musicale italiano come un qualcosa di molto vasto e aperto a tanti generi diversi insieme.

 

 

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L’Indimenticabile Festival è al suo primo anno e l’attesa è tanta. Cosa vi aspettate da questo Festival e dal pubblico emiliano-romagnolo? 

Saliremo ancora più carichi del solito, con una gran voglia di divertirci e far divertire per il primo anno di questo bellissimo Festival. In più la l’Emilia-Romagna è tra le nostre regioni preferite, soprattutto per il cibo e la simpatia delle persone. Per questo ci aspettiamo dal pubblico emiliano-romagnolo un grandissimo affetto e tanta voglia di divertirsi tutti insieme! Aspettatevi anche qualche salto tra la folla! Noi siamo dei grandi sostenitori del contatto fisico: Andare in mezzo al pubblico, creare unione, sentire l’energia ci piace tantissimo.

 

Noi vi auguriamo il meglio e non vediamo l’ora di rivedervi!

 

Intervista di Sara Alice Ceccarelli

Foto di Alessio Bertelloni

 

Luciano Ligabue, l’amore e il “tenere botta”

Oggi sono chiamata a raccontare, da brava VEZ, la storia del mio cantante del cuore e ho deciso di sentirmi libera di esprimere tutto quello che per me ha significato e se necessario, condividere anche parti di me che non tutti sanno.

È una catarsi e la voglio fare così, sulla testata che ho contribuito a fondare e della quale sono orgogliosa, come lo sono dei collaboratori che giorno dopo giorno regalano un pezzo del loro cuore a questa piccola ma tanto #LoVez realtà.

E se dovesse essere oltremodo necessario, utilizzerò anche quel gergo emiliano-romagnolo che CI appartiene. Appartiene a noi figli della pianura, della bassa, della riviera, della terra dei partigiani, che ancora non abbiamo perso la voglia di ridere e sorridere dei guai (grazie Vasco eh ndr).

È il 1990 e ho dieci anni. Anni ancora abbastanza semplici dove tutto si risolveva attorno alla scuola, il nuoto, i libri, il cinema, Freddy Mercury e Franco Battiato. In classe con me c’è la mia più grande amica d’infanzia, Susanna, che come nella maggior parte dei casi poi ho perso lungo il meraviglioso cammino che è la vita di un adolescente medio. Ha con sé una musicassetta bianca, non ricordo se originale o taroccata. Qualcuno ricorda il walkman della Sony con le cuffie tonde unite dal cerchietto di metallo?

Quel giorno ho fatto conoscenza con Luciano Ligabue. Lo Zio, come lo chiamo da quella volta, e l’album è l’omonimo Ligabue, bianco, con pezzi di testo e un sole azzurro disegnato sulla copertina.

 

 

LIGABUE

 

 

 

Per questo album ho deciso di appuntare sulla mia bacheca magica dei ricordi la canzone Marlon Brando è sempre lui perché <<quel fascio di luce che parte dal proiettore e dal maggiolone>> mi ha sempre fatto pensare ad una serata holliwoodiana dove sentirmi anche io un po’ una star.

Dal 1991 al 1994 vivo i miei felici anni delle medie. Fanno davvero cagare per tutti gli anni delle medie, dove puzzi, non si capisce talvolta se crescerai tendente al brutto, accettabile o addirittura un figo e dove l’abbigliamento è un mix di dubbio gusto tra un’infanzia in fase di abbandono e un’adolescenza non ancora ben interiorizzata. Ad ogni modo, sempre nerdissima e coerente, ho il mio nuoto, i miei libri e il mio cinema in supersconto grazie al DLF (figlia di un ferroviere, eh eh).

E ho la mia musica.

In questo periodo escono tre album dello Zio Lambrusco Rose Coltelli & Pop Corn, Sopravvissuti e Sopravviventi e A che ora è la fine del mondo?

Lo so che Urlando contro il Cielo è la preferita di molti, ma non voglio appuntare sull’immaginaria bacheca quell’energico brano e lascio spazio a Sarà un bel souvenir per il primo album, perché trovo che la frase <<peccato soltanto che ci sarà il tempo in cui dovremo dire adesso è meglio riposare>> riassuma perfettamente la paura della morte che ho da che ne ho memoria.

 

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Con Sopravvissuti e Sopravviventi invece arriva la prima vera canzone che mi ha fatto ridere: Lo zoo e qui. In questo album del 1993 di chicche ce ne sono diverse ma questa canzone rappresenta in strofe le domande esistenziali che già a undici anni mi pongo: perché sono qui? Perché si suppone che io mi debba vestire di rosa, pizzi e merletti? Perché devo giocare con le bambole? Perché devo andare in Chiesa?

Insomma, PERCHE?

Risale a questo momento infatti la decisione di staccarmi dalla Chiesa e di non frequentare il catechismo per la cresima. Ed è da questo momento che mi rendo conto che le persone hanno la necessità di etichettarti per riuscire a trovarti uno spazio nella loro vita e forma mentis.

E se non sei etichettabile, allora non esisti. Succede, sopra ogni cosa durante l’adolescenza.

Per me invece le aggregazioni obbligate e il “perché lo fanno tutti” non hanno senso e <<il cavallo da soma, la scimmia da spalla>> e la mandria di animali improbabili elencati da Ligabue rappresentano la società. Quasi come se non ci fosse bisogno di andare allo zoo per vederli, basta scendere in strada. Grazie Zio, e grazie a quei sopravviventi.

Nel 1994 capisco che effettivamente ai concerti di Ligabue avrei potuto spaccarmi ammerda e sudarmi anche le unghie dei piedi. Fremo dalla voglia di andare ad un concerto dello Zio e sono consapevole che imparare a memoria A che ora è la fine del mondo? mi avrebbe permesso di scannarmi alla transenna come un drago di Game of Thrones. Quindi lo faccio, imparo tutto a memoria e attendo quel giorno, che poi sarà a Pesaro solo due anni dopo.

Il 1995 è l’anno del botto di Ligabue con Buon Compleanno Elvis o almeno così dicono. In realtà per me non è così. Quel botto nel mio piccolo cuore di tredicenne l’aveva già fatto quando avevo ancora il grembiulino.

È Leggero a farmi sentire bene. È leggero che mi dice <<Leggero, nel vestito migliore, nella testa un po’ di sole ed in bocca una canzone>> e quindi si, va tutto bene. Un inno a quella leggerezza che è molto lontana dalla superficialità ma necessariamente vicina al cuore svuotato dopo una lunga battaglia e che decide di volersi riempire di nuovo delle piccole cose che portano felicità.

<<E ti attacchi alla vita che hai>> mentre alla fine di ogni concerto, lo Zio presenta la propria band sulle ultime note di questo meraviglioso inno alla vita.

Trascorrono 4 anni prima che Ligabue faccia uscire un nuovo attesissimo album dopo il clamoroso successo di Buon Compleanno Elvis, e c’è da chiedersi se non sia perché incapace di produrre un qualcosa di tale caratura o perché appunto per la qualità ci vuole tempo.

 

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Nel 1999 esce Miss Mondo e la critica si divide.

C’è chi lo considera un capolavoro denso di significato, chi lo distrugge come un’accozzaglia di insensatezza e chi lo ignora. Da questo momento nasce la spaccatura tra coloro che si definiscono “veri fan” e quelli come me, che invece abbracciano il cambiamento nella sonorità e si lasciano accompagnare da Luciano verso il nuovo millennio con la consapevolezza che il cambiamento in fondo è positivo.

Questa diattriba che ancora oggi procede ha in sé una religiosità che è facilmente accomunabile allo Scisma d’occidente tra ortodossi e cattolici, o tra gli sciiti e i sunniti dei paesi arabi. Da sempre indifferente a tutto questo, riassumo questo momento di velata crisi del fan club con un avete sdrinato tre quarti di palle.

Nel 1999 dicevamo esce Miss Mondo.

Nel 1999 ho 17 anni e muore una persona che assieme a mio padre, mia madre e ai miei nonni materni ha contribuito a crescermi. La perdita di mia zia paterna ha contribuito a scavare quel buco nero, divenuto ormai voragine, aperto da mio nonno quando avevo 5 anni e ampliato successivamente dalla scomparsa di mia nonna, solo 3 anni prima di mia zia.

Questo album lo temo e lo amo.

Apre ferite e poi le cicatrizza.

Solleva il velo della mia apparente durezza e mi si avvicina dolcemente con sei braccia che mi stringono. E mi sento sola e in compagnia. Vuota e piena.

Questo album rappresenta quello che ero, che sono e che tento di essere. Il riassunto di tutto l’album è quella meravigliosa Sulla mia strada che con umiltà ci sprona a vivere a modo nostro, nel bene e nel male. Ricordandoci di sorridere.

Decisamente la canzone di Ligabue che preferisco. Quella che ha scritto per quelli come me, i sopravvissuti.

Questo è il modo in cui Luciano Ligabue mi ha detto che non sarei mai più stata completamente sola ed è così che compare all’improvviso alla radio nel momento preciso del bisogno.

Ligabue c’era nel 2002 con Fuori come va? Il settimo album in studio nonché primo album del nuovo millennio dove in qualche modo tenta di tornare alle origini del proprio sound preparando così la strada al fatidico 2005 e all’uscita dell’album Nome e Cognome. Album che viene anticipato dalla data del 10 settembre al Campovolo, all’epoca primato europeo del numero di partecipanti per un concerto tenuto da un solo artista.

 

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Ligabue c’era appunto anche nel 2005 quando ho preso coscienza di avere necessità di un supporto psicologico per affrontare una realtà solitaria che per tanto tempo avevo tentato di nascondere a me stessa, raccontandomi costantemente che bastasse colmarla con tanta musica e concerti, libri, film e il mio amore per gli animali.

Realtà che però se tenti di nascondere torna a galla sempre più prepotente e quello che ti manca, le persone care che non ci sono più, devono servirti per costruire rapporti nuovi e solidi e non per vivere nel passato.

Realtà che, come dice lui <<è più forte di me, in questo gioco d’amore si può solo guardare come va a finire>> ed impegnarsi ogni giorno per migliorarla.

E se la critica mossagli dei tre accordi in croce che si ripetono è vera e lo dice lui per primo con il testo di In Pieno Rock’n’Roll <<gli accordi migliori sono sempre quei tre>>, Luciano Ligabue ha comunque la capacità di farti coraggio in mille modi differenti, con un infinito dizionario di emozioni e parole che sembrano inanellarsi senza ripetizioni.

Arrivederci, mostro! (2010), Mondovisione (2013), Made in Italy (2016) e Start (2019) sono gli ultimi album dell’artista, che oltre ai 12 lavori in studio dei quali fanno parte, vanno a comporre un più ampio spettro di attività che passa dal cinema alla scrittura, dalle raccolte agli album live.

Ligabue è stato un compagno di vita e continuerà ad esserlo.

E lo vorrò con me quando avrò di nuovo l’occasione di poter diventare madre.

 

Sono qui per l’amore, e per tutto il rumore che vuoi

E i brandelli di cielo che dipendono solo da noi,

per quel po’ di sollievo che ti strappano dall’ombelico,

per gli occhiali buttati, per l’orgoglio spedito,

con la sponda di ghiaia che alla prima alluvione va giù

ed un nome e cognome che comunque resiste di più.

Sono qui per l’amore per riempire col secchio il tuo mare,

con la barca di carta, che non vuole affondare.

 

 

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Testo di Sara Alice Ceccarelli

Foto di Luca Ortolani

 

End of A Century: ce ne parlano Raffaele e Alessandro

Dal 2017 VEZ Magazine occupa il proprio posticino online.

E da quella data ho iniziato a leggere sempre più attentamente le webzine e qualsiasi tipo di magazine ci fosse online.

La qualità del lavoro in molti casi è davvero alta ed avendo collaborato con molte di queste durante il mio lavoro di Ufficio Stampa ho notato anche una grande professionalità.

Per questo motivo noi di VEZ abbiamo deciso di dare a questi magazine un giusto spazio sulle nostre pagine, per raccontarsi e farci sentire ancora più partecipi di questo meraviglioso mondo che è la musica.

Oggi abbiamo incontrato Raffaele Rossi e Alessandro Gennari che ci hanno aperto le porte del bellissimo End of A Century.

Buona lettura!

 

1) Quando avete fondato End of a Century e da che idea è nata?

End of a Century è nato nel 2013, prima su piattaforma free e poi dal 2017 con un proprio dominio e un sito strutturato. Il nome è ispirato a una canzone dei Blur, “End of a Century” appunto – per la mia grande passione verso il Britpop e in particolare per Damon Albarn e Graham Coxon. L’idea iniziale era quella di far arrivare le nuove sonorità di USA e UK al pubblico italiano (rimane ancora oggi il focus di EOAC), come fanno webzine più settoriali come Indie For Bunnies oppure Indie-Rock.it. Poi ho deciso di ampliare il target trattando anche musica italiana e altri generi come metal, elettronica e rock in generale (ma anche rap e trap) riuscendo così a coinvolgere alcuni amici appassionati di musica.

 

2) In quanti siete nello Staff e da quale realtà provenite? Nel senso, qual è il vostro lavoro?

Nello staff ci sono io, Raffaele, che sono editore e redattore: gestisco le mail, i rapporti con il pubblico e con i promoter, curo i social, gli articoli e mi dedico alla musica live. Decido tutto ciò che va sopra End of a Century. Dopo aver lavorato tra uffici stampa e altre situazioni extra musicali, ho intrapreso per passione questo percorso che ormai è diventato il mio lavoro stabile. Alessandro dirige Pianeta Scherma e lavora in ambito giornalistico sportivo; Michele è un appassionato di musica italiana e lavora stabilmente in redazioni sportive; Edoardo commenta la Superbike su Sky e adora la musica pesante; Gianluca è doppiatore e bartender, grande esperto di sonorità oltreoceano; Renato è l’unico vero giornalista tra noi, milanista e di stanza ad Amsterdam per lavoro. Eccoci!

 

 

 

 

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3) Quali sono le cose che EOAC ti ha “regalato” in termini di  soddisfazione e gratificazione? Puoi raccontarmi qualche evento o  qualche grande opportunità che vi è stata proposta o qualche realtà alla  quale avete partecipato?

Parliamo di un evento fresco, quest’anno siamo finiti nel backstage del Concertone del Primo Maggio a Roma, il più grande evento gratuito d’Europa. Emozione tanta ma ancor di più la curiosità. Ci siamo mischiati così ai professionisti, quelli veri. Sempre quest’anno siamo media partner di due importanti festival, uno del nord e uno del sud Italia: il Sexto ‘Nplugged a Sesto Al Reghena, in Friuli (con un cast internazionale: Billy Corgan, Sharon Van Etten, Michael Kiwanuka e Ex:Re) e il Mish Mash in Sicilia con un cast completamente italiano (Nada, Pinguini Tattici Nucleari, Eugenio In Via Di Gioia, Nitro). Direi non male dai. La gratificazione arriva ogni giorno che un ufficio stampa o un promoter ci nota, ci ringrazia e ci dà fiducia con un accredito, vuol dire che stiamo facendo bene il nostro lavoro ma la strada da percorrere è sempre lunghissima!

 

4) Da quando siete “su piazza” ci sono degli aneddoti divertenti che vi  sono successi? Se è si quali?

Un aneddoto divertente ricorrente rimane sempre quello di fare lo spelling del nome del sito ogni qual volta siamo a conferenze o presenziamo a concerti – End of a Century non è proprio un nome facilmente orecchiabile come Rolling Stone o Rockol. Molte volte arrivano messaggi privati sui social tipo “fate suonare questo brano a questo artista” e questa cosa ci fa sorridere e ci ricordiamo che alla fine questo lavoro si fa per il pubblico molte volte lasciato spaesato dai silenzi dei promoter.

 

5) Ci sono invece stati momenti un pochino bui durante questa attività?

Ci sono sempre momenti bui, dei periodi in cui sembra che nulla vada bene tra visite, pubblico e richieste non accettate. Poi passano e si risale pian piano. È anche il brivido di questo lavoro, fatto costantemente di alti e bassi. Poi ti ricordi che stai facendo tutto questo unicamente per la musica e vai avanti.

 

6) Com’è il rapporto con i tuoi colleghi giornalisti, con le webzine e  le testate?

Tranquillo e di stima, leggo tantissime webzine perché mi piacciono i vari approfondimenti che ognuno dei giornalisti e appassionati riesce a dare a uno specifico argomento. Penso che in ogni ambito, in particolare in quello musicale, ci sia sempre da imparare. Non è facile lavorare nella musica e ogni giorno bisogna andare a cercarsi la notizia, è un mondo molto molto settoriale, un po’ stantio e va aiutato come meglio si riesce.

 

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7) Che cosa ti auguri per il futuro?

Mi auguro che End of a Century diventi un punto di riferimento per chiunque si avvicini per la prima volta alla musica. Spero possa crescere ogni giorno di più e negli anni diventare un colosso senza mai perdere il brio e la voglia di far conoscere nuove sonorità al pubblico. Mi auguro nuove partnership per gli anni a venire per concerti e festival e che il nostro lavoro venga sempre più riconosciuto e valorizzato nella enorme giungla del web.

 

Testo: Sara Alice Ceccarelli

Foto: Silvia Consiglio