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Tag: simone asciutti

Mourning (A) Blkstar @ Monk

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• Mourning (A) Blkstar •

Monk (Roma) // 20 Aprile 2023

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto di Simone Asciutti
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Stereolab @ Orion

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• Stereolab •

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Orion Live Club (Roma) // 10 Novembre 2022

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Foto: Simone Asciutti

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Counting Crows @ Tuscany Hall

Firenze, 6 Ottobre 2022

 

Posso solo dire che finalmente si ricomincia! Con la stagione estiva appena finita costellata di tanti concerti di artisti nostrani e internazionali, ecco che, dopo due anni di difficoltà e incertezze la stagione autunno/inverno si offre al pubblico con un panorama fatto di mille tentazioni, dove scena è divisa tra chi inizia il suo tour ora e chi recupera le date saltate a causa della pandemia: i Counting Crows sono tra questi. Mantenuto fede al numero 6 della data saltata di aprile, forse per caso o forse per scaramanzia, ieri la band americana ha fatto vibrare il palco e l’audience al Tuscany Hall di Firenze per la seconda tappa italiana del tour che segue l’uscita del loro ultimo progetto Butter Miracle: Suite One. Il Tuscany Hall ci ha accolto nella sala buia che faceva risaltare le luci sul palco che giocavano tra il fucsia e il viola, colore simbolo della città, ed era talmente fremente di iniziare che mentre buona parte del pubblico stava ancora entrando, David Keenan già stava suonando sul palco accompagnato dalla sola chitarra acustica. Cantautore irlandese di Dundalk passato dall’adolescenza da busker di Liverpool al successo internazionale di A Beginner’s Guide to Bravery che Keenan cantava con la sua voce pulita mentre il pubblico riempiva la platea sedendosi sulle poltroncine preparate per la serata. 

Chiedersi se quelle poltroncine erano lì per farci stare comodi o perché si aspettavano un pubblico di età avanza è stato un attimo, perché il cambio palco tra Keenan e gli attesissimi Counting Crows non ha richiesto molto tempo. Tutta la band è entrata senza divismi e fragori, salutando il pubblico come si salutano gli amici quando ci ritroviamo per quattro chiacchiere e una bevuta. Adam Duritz ha da tempo abbandonato i capelli lunghi, il look appare più sobrio e casual, ma poi sulla maglietta nera trionfa una bella banana wharoliana, a ricordarci che si può crescere senza annullare il nostro spirito. La serata inizia con Speedway, tratto dall’album This Desert Life del 1999, sulla band il passare del tempo lo vedi da qualche segno in più sul volto e i capelli bianchi e grigi che si alternano su barbe e capelli, ma la loro voglia di suonare, stare bene e soprattutto farci stare bene  cancellano in un attimo qualsiasi malinconia del tempo che passa, e l’aria si riempie talmente tanto di emozioni che già alle prime note di Mr Jones una parte del pubblico si è alzata in piedi, rimanendo ai margini della sala per esprimere con il corpo quelle sensazioni che la canzone fa provare. La voce di Duritz non tradisce il timbro a cui eravamo abituati, e improvvisamente il passato diventa presente e le serate passate con amici e primi amori, cocenti delusioni, sogni nei cassetti, a bere le prime birre e a reggere qualche sbronza tornano alla mente grazie a quella che era stata la loro colonna sonora. Non sai se quello è un successo irripetibile oppure sono i momenti di quella giovinezza che sono irripetibili, ma non importa capirlo, la cosa importante è lasciarsi nuovamente prendere dall’emozione di quella canzone. La serata continua tra vecchi e nuovi successi, tra cui Elevator Boots e Bobby And The Rat-Kings che vengono interpretate dalla band con potenza e dinamicità, e il rock ringrazia, mentre le storie cantate da Duritz sono vere e proprie narrazioni quasi cinematografiche, tanto i dettagli sono precisi e vivi.  Anche Hard Candy ci regala ritmo serrato e voglia di ballare, ma lascia poi il posto all’attacco in acustica di David Bryson per un’atmosfera sospesa ed intima dove tutti gli altri strumenti seguono da vero gruppo, in contrasto con una canzone che parla della solitudine di chi sceglie la strada dell’arte, che spesso ti porta lontano da chi ami. Il pubblico è diviso tra chi pende dalle loro note e le labbra di Duritz e chi quelle labbra le muove per vivere ancora più intensamente il concerto, soprattutto quando il solo pianoforte di Gillingham apre Colorblind e noi tutti galleggiamo con leggerezza nella malinconia di un suono che culla le parole e il vuoto è reso magnifico dalla musica. La fine è uno scroscio di applausi gli stessi che più tardi accolgono Rain King e la batteria potente di Bogios che, come un martello, vuole farci saltare sugli attenti, ma inutilmente perché ormai gran parte del pubblico è già in piedi, le poltroncine sono ormai troppo strette per chi un concerto lo vuole vivere come un concerto comanda, in piedi in segno di rispetto, attenzione e partecipazione per chi quelle emozioni ce le fa vivere. Da lì è invasione di campo, tutti gli spazi vuoti si riempiono di persone, sotto il palco non c’è più posto, i musicisti sono felici, si muovono ancora più di prima, mentre Powers dall’alto del suo basso fa una foto a questo che non è più un concerto, ma una festa di voci, mani e teste. Siamo tutti felici, e ci vuole, e questa felicità ci vuole, ora più che mai. 

Il concerto si chiude con la romantica A Long December che ci prepara a un bis che non si fa attendere molto. Holiday in Spain è la chiusura reale della serata, il saluto di una band con una storia che tutti vorrebbero vivere, fatta di un successo internazionale grazie ad alcuni singoli e la profondità dei testi di Duritz, oltre a delle sonorità che si incastravano nella tua vita per non lasciarle più. Un rock americano di chitarre ruggenti e momenti di intimi di riflessione di un amico davanti a una birra, o quello che preferite. Una serata fatta di sonorità grintose, ma anche evocative, forti eppure delicate, un insieme di stimoli pronti a diventare sentimenti opposti tra loro, pieni di contrasto, ma che proprio per questo, non ti lasciano andare via, e quando le luci si spengono, quelle canzoni dentro di te rimangono accese. 

 

Alma Marlia

 

foto di copertina (Roma) Simone Asciutti

Lui si chiama Giovanni e il suo nome è un plurale

È uscito il 22 marzo scorso Poesia e Civiltà, il nuovo album di Giovanni Truppi per Virgin Records. Il cantautore, originario di Napoli ma romano di adozione, sta portando live il suo nuovo lavoro di undici pezzi per tutta l’Italia. Gli abbiamo fatto qualche domanda poco prima del suo concerto, il 6 dicembre all’Auditorium Parco della Musica di Roma. 

 

Stasera suonerai qui all’Auditorium: com’è suonare in un posto del genere, con delle persone sedute? Come la vivi?

Con molta paura (sorride). Ovviamente è bellissimo. Non è che io faccia rock ma comunque mi ritrovo a suonare molto spesso in dei contesti che in qualche modo hanno delle caratteristiche quantomeno poco rumorose. Il silenzio è bellissimo perché ti permette di fare il tipo di performance che ti eri immaginato ma allo stesso tempo è una grande lente di ingrandimento su quello che fai e ti dà più responsabilità.”

 

Con Poesia e civiltà vi ritrovate in sei sul palco. Questo sicuramente permette di riprodurre l’album in modo quasi del tutto fedele (tranne che per gli archi). Suonare con una band così allargata è una cosa che avresti sempre voluto oppure è stata una necessità propria dell’album?

Durante la mia carriera ho fatto tutte le combinazioni: tanti live da solo, tanti in duo, tanti in trio e tanti in quartetto. Mi manca il quintetto. Comunque, era una necessità per questo disco ma in realtà adesso non mi immagino di suonare con meno persone perché mi trovo molto bene in questo complesso. Facendo il cantautore mi posso permettere di vestire le canzoni in tanti modi diversi e quindi è anche bello poter cambiare.”

 

Il 22 novembre è uscita Mia con Calcutta. Il brano anticipa un EP che uscirà a gennaio. Com’è nata la collaborazione con Calcutta e l’idea di un fumetto che accompagnasse la canzone?

Sia Edoardo (Calcutta) sia Antonio Pronostico sono persone con cui c’era già un rapporto di stima. Ci conosciamo da tanto tempo e quindi è stato tutto piuttosto naturale.”

 

Il nuovo EP si chiamerà 5 e al suo interno ci saranno alcune canzoni che già conosciamo e che hai rivisitato insieme ad altri artisti ed altre completamente nuove. Come mai hai deciso di reinterpretare le tue canzoni con altri musicisti?

Non saprei dirti… In realtà è nato tutto in maniera abbastanza spontanea. Io avevo questa idea e chiacchierando con la mia casa discografica abbiamo pensato di realizzarla prima dell’uscita di un album, di un nuovo vero album. Ci sono degli artisti con cui ero molto contento di poter fare delle cose e da qui è nato il tutto.”

 

Sai che Scomparire è stata cantata a X Factor da Eugenio, su proposta di Mara Maionchi. Come ti ha fatto sentire questa cosa? 

Mi ha fatto moltissimo piacere. Considerato l’ambito nel quale io mi muovo, che è molto lontano da X Factor, il fatto di poter interloquire con quella realtà mi ha fatto piacere. Quando ti rendi conto che riesci a parlare anche a persone che magari sulla carta sono diverse da te, credo che sia una cosa che dà soddisfazione.”

 

Credo di poter dire che ci sono artisti che danno più importanza al testo, altri alla musica e altri ancora che ricercano un equilibrio tra le due cose. Ti identifichi in una di queste categorie? Ci sono pezzi dove la musica per te ha più valore del testo, se così possiamo dire, o viceversa?

Mi rendo conto che spesso ascoltando le mie cose possa sembrare che io dia una rilevanza maggiore al testo. Però penso che per far venire fuori il testo in un certo modo, sia fondamentale una musica di un certo tipo. Quindi non riesco proprio a immaginarmi una bilancia dove c’è un elemento che pesa di più e credo che questa sia la magia delle canzoni.”

 

Truppi 2

 

Cecilia Guerra

Foto: Simone Asciutti

Giovanni Truppi @ Auditorium Parco della Musica

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• Giovanni Truppi •

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Auditorium Parco della Musica (Roma) // 06 Dicembre 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Venerdì 6 Dicembre siamo stati a Roma al concerto di Giovanni Truppi. Poesia e civiltà è l’album di undici pezzi inediti che il cantautore napoletano sta portando in tour da Aprile di quest’anno. 

Entrando all’Auditorium Parco della Musica si percepisce un’atmosfera elegante, molto diversa da quella dei concerti a cui siamo abituati. La sala Sinopoli è ampia, accogliente e raffinata nella sua semplicità. 

Si abbassano le luci in sala e si accendono sul palco, illuminando ogni singolo strumento. Non c’è scenografia ma solamente uno sfondo nero come un abisso. La band entra in scena: Giovanni Truppi (chitarra, piano e voce), Paolo Mongardi (batteria), Giovanni Pallotti (basso), Daniele Fiaschi (chitarra), Duilio Galioto (tastiere) e Nicoletta Nardi (voce e tastiere) si posizionano. 

È L’Unica Oltre l’Amore, uno dei singoli, ad aprire il concerto. “Noi siamo, viviamo, ci percepiamo in questo spazio e in questo tempo” canta Truppi che si muove dalla chitarra al piano. Il pubblico è concentratissimo e viene avvolto dalla voce di Nicoletta Nardi che coccola e che trasporta in un altro universo, rendendo questo pezzo un perfetto primo impatto.  

Da qui la musica è incessante e le canzoni si susseguono una dietro l’altra, interrotte soltanto da qualche “grazie”. Conoscersi in una Situazione di Difficoltà, Adamo, Mia. Durante il concerto vengono proiettate delle luci sullo sfondo, semplicissime, perché non serve altro. L’attenzione della sala è tutta sulla band.

L’altro singolo, Borghesia, è un pezzo dalle dinamiche incredibili “per avere sempre un po’ di più, un pochino di più”. Scomparire rimarca le straordinarie capacità vocali ed emozionali del cantante che alla fine della canzone lascia il palco insieme al suo gruppo, accompagnato da forti applausi.

Applausi che non si arrestano se non al rientro di Truppi, solo: si siede al piano, una luce lo illumina. “Quando ridi mi fa pensare alle cascate di carta argentata che da bambino facevo per il presepe e quando sono insieme a te che c’è intimità è così calda e viscerale che qualche volta un po’ mi spaventa”. Quando Ridi ci abbraccia, ci fa sentire uniti, ci fa sentire soli, ci fa piangere. È il momento più intimo e privato del concerto e lo è per ognuno di noi. 

La band rientra e suona Pirata, Hai Messo Incinta una Scema, Ragazzi. 

Tutti si alzano: è standing ovation per Poesia e civiltà. [/vc_column_text][vc_column_text]

Testo: Cecilia Guerra

Foto: Simone Asciutti

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Grazie a: Ponderosa Music & Art | Parole e Dintorni

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The Notwist @ Spazio Diamante

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• The Notwist •

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Spazio Diamante (Roma) // 19 Novembre 2019

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Foto: Simone Asciutti

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Grazie a DNA Concerti

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P.O.D. @ Orion

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• P.O.D. •

Alien Ant Farm

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Orion Live Club (Roma) // 13 Novembre 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Dopo l’uscita del loro decimo album Circle nel 2018, i P.O.D., storica band nu metal formatasi a San Diego nel 1992, tornano in Italia per farci rivivere il ricordo di una movimentata adolescenza.

Presenti per questa serata all’Orion di Roma i nostalgici delle sonorità degli ultimi anni ’90 e dei primi del nuovo millennio, quelli che sognano ancora la California e che scelsero di ascoltare generi alternativi che si distaccassero totalmente dal panorama italiano.

È prorompente e visibile sotto al palco la voglia di “sfogo” e quella di riprovare quel sentimento che ha visto cambiare in modo incisivo le linee della musica metal, contaminata dal rap, grunge e perfino dal reggae.

A “spalleggiare” la band, in perfetto stile californiano, ci sono gli Alien Ant Farm, da Riverside a Roma, in camicia a quadretti allacciata fino all’ultimo bottone, capellino con visiera e pezzi che scaldano muscoli e cuore, da quello dedicato alla madre di Dryden Mitchell (voce), alla famosa cover di Smooth Criminal; “Annie, are you okay?” gridiamo tutti uniti.

Un’apertura davvero impeccabile che lascia un palco rovente per gli attesi protagonisti della Pacific Coast: Sonny Sandoval (voce), Marcos Curiel (chitarra), Traa Daniels (basso), Noah Bernardo (batteria).

La prima traccia Listening for the silence, anche se proveniente dall’ultimo album, è perfetta per farci ritrovare il punto lasciato anni fa nei ricordi. L’immediata stupefacente impressione è che il tempo abbia modificato solamente la lunghezza dei dreads di Sonny Sandoval.

Il frontman si prende tutto il palco. Ci sta vicini, ci guarda dritti in faccia e grida a chiare note BOOM, pezzo popolare tra i più significativi che racchiude nel testo tutto ciò che hanno sempre voluto trasmettere.

“I never knew that a kid like me could take his mic around the world and flash the big S.D. and rock the masses”.

Circle spacca precisamente a metà il concerto, ponendo un perfetto collegamento tra il passato e il presente, che si alternano di continuo, in un cerchio che non ha intenzione di chiudersi ancora, né per la band né per il pubblico in delirio.

Come fosse un connubio imprescindibile, a questo genere di musica si lega stretto il pogo, istigato dallo stesso Sonny che scende in mezzo alla gente e viene avvolto in un gigantesco abbraccio di bentrovato.

Come resistere d’altronde dal buttarsi nella mischia quando parte l’incipit di chitarra di South Town o la chiamata di Youth of the nation?!.

La nazione non è la nostra ma noi ci uniamo in coro tutti, perché facciamo sicuramente parte di una specifica generazione.

La sensazione alla fine degli oltre 15 pezzi è di uno sfinito appagamento. 

I P.O.D. hanno voluto regalarci tutto quello da anni abbiamo conservato sotto la pelle, hanno rispettato e mantenuto perfetta la memoria, e ci hanno donato uno splendido e fedele futuro ricordo.[/vc_column_text][vc_column_text]Testo: Rachele Moro

Foto: Simone Asciutti

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Alien Ant Farm

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