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Sophia @ Locomotiv Club

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• Sophia •

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Locomotiv Club (Bologna) // 14 Maggio 2022

 

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L’ultimo album dei Sophia, Holding On/Letting Go, è uscito ormai da due anni e finalmente Robin Proper-Sheppard ha potuto portarlo sui palchi. Certo, il gruppo aveva riacceso gli amplificatori qualche volta dall’inizio della pandemia, a Bruxelles per le Nuits Botaniques o a un festival a Leffinge, in Belgio, lo scorso Settembre, ma ma non in un tour vero e proprio, quello che era già stato posticipato due volte. Il gruppo si mette dunque, finalmente, sulla via di un tour che li porta in Germania, Svizzera, Italia e Belgio, tre paesi dove il pubblico della ex testa pensante de The God Machine è tra i più densi. Le valigie si sono così posate stasera a Bologna, splendida città medievale della regione dell’Emilia Romagna straordinariamente ben conservata e dove il caldo in questo mese di Maggio è già soffocante. 

I Sophia suonano al Locomotiv Club, una sala concerti gestita da un’associazione locale che ha anche uno studio di registrazione e detiene un’etichetta. Il luogo si trova all’interno di un deserto ferroviario trasformato in un luogo culturale alternativo. È attraverso l’Associazione Italiana Cultura Sport che entriamo nella sala a misura d’uomo che può ospitare circa duecentocinquanta persone e che hanno visto passare gruppi come Swans, Deerhunter, St Vincent. Ambiente minimalista: il luogo è pieno di belle vibrazioni.

Le note sintetiche di Strange Attractor risuonano quando il gruppo arriva sul palco con un applauso particolarmente intenso, con la stanza ragionevolmente piena. Il basso distorto dà il tono della serata, che sarà posta sotto il segno della potenza. Robin è accompagnato stasera da sei musicisti. Chi è venuto a vedere i Sophia in versione acustica avrà le orecchie in fiamme.

Le chitarre ci sono, violino e sassofono completano il quadro. Questo primo pezzo è compatto, incisivo, mostrano un lato dei Sophia emerso negli ultimi anni, quello di un gruppo molto rock, in grado di combinare passaggi di una violenza gioiosa con momenti più intimi. Siamo onesti, ci sono momenti in cui la filiazione con The God Machine è inquietante e toccante. La giovinezza del gruppo che accompagna Robin non è certamente estranea a questo slancio energico, Robin si diverte regolarmente a sottolinearlo sotto forma di scherzi. Il gruppo prosegue con Undone. Again., piccola perla dell’ultimo album. Robin, come al solito canta a occhi chiusi. Ha un sorriso costante, prova della sua felicità di essere lì. E dopo tutto, non c’è bisogno di cantare canzoni di infinita tristezza facendo il broncio.

Questo concerto è iniziato molto bene, la band rilassata, molto al suo posto. Un’atmosfera particolarmente calorosa regna sul palco tra i musicisti. Le prime note di I Left You ci travolgono: brano che faceva inizialmente parte dell’album live De Nachten, fu in seguito ripreso nel lavoro del 2004, People Are Like Seasons. Grande colpo di fulmine, questo pezzo è un condensato di bellezza. La band prosegue con Alive, dall’ultimo album, quando Robin si ferma. “I forgot the lyrics” dice, un po’ contrariato. “Qualcuno potrebbe aiutarmi, ma senza cercare su internet”, dice al pubblico, senza allontanarsi dal suo umorismo caustico. Questa non viene proprio, abbandona. Il gruppo, gentilmente divertito, prosegue con Wait, tutti i musicisti che accordano i cuori all’inizio del titolo. Per il momento all’ultimo album è stata resa giustizia, con Robin che risponde presente per difendere questa eccellente opera.

Testardo e conoscendo l’enorme potenziale del titolo lasciato a riposo, Robin ritorna su Alive. Per fortuna: il brano termina con un assolo epico di sassofono, portando tensione, vibrazione, un taglio che non lascia il pubblico indifferente. Nessuna incongruenza nella presenza sul palco di questo elemento che si potrebbe pensare lontano dall’universo dei Sophia. Un soffio magnetico ci ha appena sfiorati.

Il gruppo prosegue con Birds, apparso su Technology Wont Save Us (2006), con ancora dei bei passaggi di sassofono. Robin indossa i vestiti di un crooner su questo titolo, con i suoi baffi elegantemente fini. Ne aveva parlato con umorismo al concerto di Francoforte, precisando di aver esitato a tenerli ma il gruppo lo aveva dissuaso dal raderli, probabilmente per deriderlo alle sue spalle. Autoironia, sempre e comunque.

Il violinista suona le prime note di Desert Song no2, brano di eccezionale forza e che viene a dimostrare che il gruppo attualmente intorno a Robin è probabilmente la migliore formazione che l’abbia mai accompagnato fino ad oggi. Momento di rara intensità. Il pubblico è pieno di ammirazione. Il gruppo alza un po’ i piedi dai pedali di distorsione per suonare la bella Ship In The Sand poi due titoli emblematici dei primi album, If Only e So Slow. E qui succede qualcosa di completamente nuovo in un concerto dei Sophia: il pubblico canta a squarciagola con il gruppo, riprendendo le parole in un fervore quasi religioso. Tutti si fissano e si sorprendono a urlare su parole particolarmente oscure: “But death come so slow, when you’re waiting, when you’re waiting to be taken”. Stupefacente armonia tra il gruppo e il suo pubblico.

I Sophia continuano con Bastards, un altro titolo che assume tutto il suo significato dal vivo, la densità del suono che raggiunge le vette. Sottolineiamo che il nuovo batterista, che sostituisce lo storico compagno di strada di Robin (Jeff Towsin, che non ha potuto partecipare al tour), porta nervosismo all’insieme, i suoi impatti martellanti come delle mannaie.

I Sophia terminano il loro set principale con la sublime It’s Easy To Be Lonely, tratto dal penultimo album, As We Make Our Way (Unknown Harbour). Con le chitarre alla fine, si è dissanguati. Ma il gruppo non si fa quasi pregare e ritorna rapidamente per regalare Oh my Love, Another Friend, Resisting e la molto impegnata e post punk We See You (Taking Aim): un finale a misura del concerto, travolgente e ammaliante.

Questa serata è stata magnifica, la band ha fatto uno spettacolo dantesco. Precisi, massicci, felici di essere sul palco e molto sinceri, i Sophia presenti a Bologna sono andata oltre ogni nostra aspettativa. Questo gruppo, oltre alle sue qualità musicali, ha anche valori umani eccezionali: basta vedere Robin accogliere gli spettatori al suo banchetto del merch, con una parola per ciascuno, una stretta di mano e un ringraziamento autentico.

Ma ciò che ancora non si sapeva scrivendo queste righe sul treno che collega Bologna a Milano per prolungare un po’ di più il piacere con un nuovo show, è che la serata del giorno dopo al club Arci Bellezza di Milano è stata ancora più sensazionale (non si pensava fosse possibile). Il gruppo e il pubblico quella sera si sono uniti in uno di quei momenti magici, quasi soprannaturali che solo l’arte è in grado di offrire. Tutto era solo suono e sudore, emozioni che uniscono le anime nel calore dei corpi. Siamo tutti entrati in una liquefazione felice, ardente, stordente. A Milano, la musica dei Sophia è stata uno sfogo euforico, un’ondata di emozioni sensitive, furia, gioia, estasi musicale. Robin ci confidava di aver vissuto probabilmente il miglior spettacolo dei suoi venticinque anni di carriera con i Sophia, in un momento di grazia assoluta. Sfiorare il divino può accadere.

Testo per gentile concessione di Stëphan Cordary come apparso su Obsküre Magazine

Foto: Francesca Garattoni
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VEZ5_2020: Francesca Garattoni

Fare un bilancio del 2020 di qualsiasi tipo – anche musicale – è un po’ strano, dato che la percezione del tempo è stata completamente distorta e questi 12 mesi sono durati in realtà 57. Ma comunque in questi 57 mesi la musica è stata fondamentale: un po’ bene di conforto, un po’ fonte di nostalgia per una normalità persa per strada e qualche volta anche motivo di dispiacere, ripensando magari a tutti i concerti mancati e che non si sa quando riprenderanno nella loro forma più vera e sincera: appiccicati gli uni agli altri addosso a una transenna.

Ecco allora che abbiamo chiesto ai nostri collaboratori e amici di raccontarci quali sono stati gli album che hanno tenuto loro più compagnia durante questo 2020…

 

Muzz “Muzz”

In un periodo dove la pacchianeria sembra essere l’unità di misura delle nuove proposte musicali, l’album di esordio del trio Banks, Barrick e Kaufman lascia il segno per eleganza e raffinatezza. Amore e profondo rapimento al primo ascolto, scelta facilissima come miglior album dell’anno.

Traccia da non perdere: Knuckleduster

 

Doves “The Universal Want”

Dopo undici anni di silenzio dal precedente Kingdom of Rust, tornano i Doves e sfornano un signor album. Solido, limpido, senza troppe stramberie di voler innovare per forza, ritroviamo il sound della band di Manchester come se non fossero passati dieci anni di hiatus.

Traccia da non perdere: Cathedrals of the Mind

 

Nick Cave “Idiot Prayer”

Un pianoforte e la sua voce, è tutto quello di cui le canzoni di Nick Cave hanno bisogno. Già belle con l’accompagnamento de The Bad Seeds, in questa versione scarna ed intimista le canzoni di Idiot Prayer assumono uno spessore e un’intensità da far venire la pelle d’oca.

Traccia da non perdere: The Ship Song 

 

The Strokes “The New Abnormal”

Si, si, lo so: The Strokes non sono più quelli di Is This It e a stento First Impressions of Earth può essere considerato il loro ultimo album interessante, eppure… eppure con questo nuovo The New Abnormal, un titolo che si adatta molto bene a questo 2020 decisamente fuori dal normale, sfornano un album degno di essere ascoltato ancora e ancora e ancora e ci ricordano perchè ci piacevano tanto ad inizio millennio.

Traccia da non perdere: At the Door

 

Deftones “Ohms”

Dei tre album pubblicati quest’anno da altrettanti gruppi major — Deftones, Pearl Jam e The Smashing Pumpkins — solo quello dei primi è degno di una posizione nella mia personale classifica, sia Top 5 che Honorable Mentions. Ancora una volta i Deftones ci tengono incollati allo stereo in bilico tra sonorità classiche e svolte innovative e ancora una volta non deludono.

Traccia da non perdere: Ohms

 

Honorable mentions 

Mark Lanegan “Straight Songs of Sorrow” Quest’album di Lanegan è come mangiare un carciofo: lo si apprezza una canzone alla volta e dopo l’amaro iniziale rimane il retrogusto dolce della bellezza.

Sophia “Holding On / Letting Go” Ennesima riprova della qualità artistica di Robin Proper-Sheppard, un po’ ritorno al rock e un po’ sperimentazione.

Matt Berninger “Serpentine Prison” In un momento di pausa da The National, Matt Berninger si dà al pop e One More Second è una canzone che vale l’album.

Phoebe Bridgers “Punisher” Ascolto/scoperta dell’ultimo minuto, ma brava brava brava.

Adrianne Lenker “Songs” Splendida anche in versione solista senza i Big Thief.

 

Francesca Garattoni