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Tag: spinefarm records

Protest The Hero “Palimpsest” (Spinefarm Records, 2020)

Alla ricerca della perfezione

 

Il mondo del rock è sempre stato diviso in due schieramenti: il punk e il metal.

Entrambe esprimono lo stesso concetto del mal di vivere, ma differiscono per il modo di reagire.

Il punk è il caos, è l’entropia (spacchiamo tutto, moriamo giovani).

Il metal è l’ordine, la sintropia (urliamo, distruggiamo i timpani, ma studiamolo per bene…).

Col tempo tutto si è mischiato, creando sottogeneri che galleggiano in questo universo musicale contaminato.

Alcuni gruppi sperimentano altre sonorità, come le falene sono attirate dalla luce, volano verso mete sconosciute, e delle volte riescono nell’impresa di mescolare le carte. 

Altri, rimangono ancorati alle vecchie idee, perseguendo il loro sogno di perfezione.

Per i metallari, l’esecuzione del brano è fondamentale, lo studio e l’impegno dietro ogni strumento è certosino.

E ascoltando Palimpsets il nuovo disco dei Protest the Hero si ha l’impressione di un lavoro raffinato, ricercato, sudato insomma.

La Band canadese che dal 1999 calca la scena heavy metal, dopo quattro anni e varie difficoltà torna con questo nuovo album, carico di cattivi propositi e buona musica. 

Il singolo The Canary, omaggio al biplano giallo della pioniera del volo Amelia Earhart, è metal eseguito alla lettera, ostinato e perentorio come Amelia.

From the Sky, esprime tutte le competenze tecniche del gruppo e vocali di Rody Walker, che ha dovuto lottare molto a causa di un infortunio alle corde vocali.                                      

A questo punto dell’album troviamo Harborside (Interlude) grazioso stacchetto alla Striscia la Notizia ma versione musica classica, che, come il sorbetto al limone, toglie il sapore del piatto di pesce appena mangiato e prepara il palato alla prossima prelibatezza: All Hands. Questa presenta ritmi serrati, testo criptico sull’aspettare qualcosa (una svolta, sia questa positiva o negativa non interessa) che cambi per sempre la nostra vita.                                                     

L’ album contiene dieci brani, ognuno dei quali è il risultato di una ricerca maniacale della perfezione di un sound preciso, quello heavy metal. 

La cura del dettaglio è una particolarità dei Protest The Hero: ogni accordo, ogni strumento è perfettamente coeso, così da creare un chaos ordinato, una rispettosa follia. 

Una preghiera ossequiosa e assordante al Dio dell’Heavy Metal, una miscela di Mathcore e Progressive metal, come testimoniano The Fireside, Soliloquy e Gardenias.

Un’impresa meticolosa, accurata. Uno scrupoloso reportage sull’heavy metal, che ci riporta agli albori della storia del metal, dimostrando una crescita musicale nonché personale, un’esplorazione stilistica curata nel minimo dettaglio, fino al vomito.                      

 

Protest The Hero

Palimpsest

Spinefarm Records

 

Marta Annesi

Anti-Flag “20/20 Vision” (Spinefarm Records, 2020)

Se molte band perdono in interesse per un’assenza di tematiche e contenuti, gli Anti-Flag hanno il problema opposto: gli scenari internazionali che soffiano venti di guerra imminenti, sono forse l’ennesima rampa di lancio per i ragazzi di Pittsburgh.

20/20 Vision è il nuovo album di una lunga serie, ma anche l’ennesimo guanto di sfida che i paladini della musica politicizzata internazionale della nostra generazione lanciano al “palazzo”.

Il rilancio del punk rock idealista passa necessariamente dalla Pennsylvania. 

Gli Anti-Flag evolvono senza perdere mordente, si districano in un turbinio di sonorità all’apparenza discordanti tra loro, ma legate come un nodo stretto in gola da una lunga carriera, che ha il sapore di un percorso coerente e imprescindibile. 

Chi ha avuto la costanza di seguire la band fin dagli albori troverà e subirà particolari flashback riconducibili ad album datati, chi invece avrà il primo approccio alla band con questo album, non rimarrà deluso dalla pienezza degli spunti messi in tavola. 

La varietà, per l’appunto è la colonna portante di questo lavoro. 

Un mastering azzeccato e avvolgente, suoni corposi dove batteria, basso ed elettriche si tramutano in una singola bolla di adrenalina. Una mescolanza di intro e outro che fanno da filo conduttore, quasi a voler dare al tutto l’aria di un concept album.

Il marchio di fabbrica rimane immutato, viene solamente puntellato di sfumature che danno uno scatto di maturità e flessibilità. Lo si capisce sin da subito con Hate Conquers All.

Le liriche di Chris#2 restano inconfondibili, lo scream mai invasivo e il trasporto emozionale, degno di un live ben riuscito incarnano tutta la voglia e l’attitudine esplosiva di questo mattatore. 

Il “cantato” di Justin Sane invero sembra aver avuto una sensibile modifica, a volte poco riconoscibile rispetto alle sue trentennali performance, tipologia di canto anomala, abbandonando l’accento grezzo verso una più appoggiata denuncia melodica. Esula dal discorso il primo singolo Christian Nationalist, vero e proprio cavallo di battaglia in cui si ritrova il frontman di vecchia data.

Con Don’t Let the Bastards Get You Down salutiamo dal lunotto posteriore dell’auto The Clash, ma anche The Terror State del 2003 prodotto da Tom Morello dei Rage Against The Machine.

Con a Nation Sleep ti addormenti di colpo e ti svegli in un’appendice di Underground Network, tempi raddoppiati, tecnica e velocità a fondersi in puro hardcore melodico. 

Luci soffuse nella ballad filo radiofonica Un-American, brano degno di una nostrana Virgin Radio per intenderci, che spalanca le porte ad un finale trionfale supportato da trombe e fiati per i titoli di coda redatti da una nostalgica ed energica Resistance Frequencies.

L’innesco di qualche brano pop punk potrebbe far storcere il naso agli intramontabili nostalgici, ma la musica come la vita è fatta di lampadine che si accendono e questa volta gli Anti-Flag hanno addobbato un albero di Natale. L’irriverenza di You Make Me Sick  non ha bisogno di presentazioni, il titolo serve un assist automatico.

Emerge tutto il fuoco che ancora brucia dentro questi ragazzi del popolo, artisti che hanno fatto della musica un tramite per abbracciare gli ultimi. 

Non è scontato mantenersi nella giungla del sociale quando le sorti del mondo da tanto tempo hanno sempre gli stessi protagonisti ma con facce diverse. 

Gli idealisti che amano il punk rock però possono avere ancora qualcuno in cui credere, in cui appellarsi. 

Gli Anti-Flag incarnano ancora una scuola di etica e tecnica, sopratutto nel mondo del “tutto e subito” dando una lezione importante, quella delle priorità. 

A conti fatti la vita dell’uomo viene prima del successo, cosi come il messaggio di unione viene prima della musica stessa.

 

Anti-Flag

20/20 Vision

Spinefarm Records

 

Vasco Abbondanza

Saint Asonia “Flawed Design” (Spinefarm Records, 2019)

(I santi senza orecchio musicale)

 

Ci sono un cantante, un chitarrista, un bassista… No, non è l’inizio di una barzelletta, ma la formazione di un supergruppo (cioè una superband composta da musicisti già famosi in altri gruppi) canadese/statunitense che porta il nome di SAINT ASONIA.

Alla voce il già conosciuto Adam Wade Gontier (fondatore dei Three Days Grace), Mike Mushok alla chitarra (Staind), al basso Corey Lowery (Seether, Eye Empire) e fino al 2017 alla batteria era presente Rich Beddoe (Finger Eleven).

Nel 2015 debuttano con l’album Saint Asonia, stilisticamente post-grunge, e mantengono questa tendenza anche nel nuovo lavoro Flawed Design. Ci sono voluti due anni per il completamento, ma come asserisce il cantante, ha passato delle situazioni spiacevoli e ha condensato nei brani tutto il suo dolore. Questo ha contribuito a rendere l’album migliore, più personale, e stilisticamente più maturo del primo. L’aria che si respira è totalmente post-grunge, o alternative rock (come la si vuol chiamare). Il loro modo di fare musica è consolidato, chiaro e armonico, non sono ragazzini che si approcciano per la prima volta, ma possiedono esperienza e carisma. 

Singolo di debutto è The Hunted, in collaborazione con Sully Erna (Godsmack), brano molto intimo, nel quale ci troviamo a vestire i panni del cacciatore e della preda, fuori controllo, ma consci dei difetti con i quali conviviamo, cerchiando una tregua alla guerra che noi stessi abbiamo iniziato con il mondo. 

Ci fanno entrare nel loro universo con Blind, storia di un’amore finito. Descrivono quella situazione amorosa in cui l’altro/a riesce ad accendere una luce in noi, e quando il sentimento finisce rimaniamo accecati da tutta quella luce che man man si spegne, consegnandoci alle tenebre della cecità.

Sirens, secondo brano, viene da un’idea di Steve Aiello (Thirty Second To Mars) e Dustin Bates (Starset) e deve  la sua potenza emotiva anche alla partecipazione nei cori di Sharon Den Adel (Within Temptation); con questo brano ci fanno intravedere un amore coraggioso, forte, che se ne frega dell’imminente fine. E forse la morale della vita è proprio questa: trovare qualcuno con il quale cadere, perché siamo tutti in caduta libera, ma farlo in due non è poi così male. (We were born to resist if it falls\ Come with me, we will rise\ Can I believe it tonight?)

A rendere l’album molto intimo ci pensa This August Day, personale monito dello stesso cantante ad un sé stesso del tempo passato. Alla nascita di suo figlio lui era ricoverato in un centro di riabilitazione, essendo dipendente da alcol e droghe: con questo brano cerca di esorcizzare questo rimpianto, con il quale dovrà convivere con il resto della sua vita.

In Ghost troviamo ancora lo zampino di Dustin Bates, brano in cui la band rende ancora più reale questo bisogno di essere capiti, di avere qualcuno accanto per cui valga la pena cadere e frantumarsi. Ma alcune volte sono proprio le persone a cui ci aggrappiamo che svaniscono, lasciandoci il ricordo, un fantasma che si ostina a guardarci senza offrirci aiuto.

La canzone più rappresentativa di questi due anni di lotte contro la dipendenza dalle sostanze è Beast, descrizione perfetta della lotta contro la bestia presente nella vita cantante, bestia che cercava in tutti i modi di sopraffarlo, della sua voglia di riabilitarsi al mondo e di vivere a pieno gli affetti che contano davvero. The Fallen, dedicata a chi come lui è caduto, ha perso tutto quello che era importante e rimangono solo i ricordi.

Dopo Another Flight, in cui perdere alcune occasioni della vita è rappresentato dal perdere un volo, troviamo Flawed Design, che da il nome all’album ed esplora il motivo per cui le persone sentono il bisogno di presentarsi come quello che realmente non sono. La ricerca di perfezione in cui la gente disperde la propria personalità è il cancro della società e l’unica arma che possediamo per contrastare questo modus operandi è essere sé stessi, con tutti i nostri difetti, perché sono proprio essi a renderci particolari.

Adam canta per i caduti, i reietti, per chi ha toccato il fondo. Cerca di portare speranza a chi non ne ha, come un moderno Babbo Natale dei perdenti. Con la sua voce pulita ci canta di battaglie perse, rimpianti, design imperfetti, giustificazioni che cerchiamo di dare e martiri contemporanei. Lui è stato sul fondo del pozzo, è riuscito a risalire lasciandosi alle spalle i cadaveri dei rimpianti. 

 

SAINT ASONIA (SΔINT ΔSONIΔ)

Flawed Design

Spinefarm Records, 2019

 

Marta Annesi

 

Toothgrinder “I AM” (Spinefarm Records, 2019)

Mascelle serrate e denti digrignanti

 

La notte non porta sempre consiglio, alcune volte provoca forti attacchi di bruxismo, soprattutto in periodi stressanti o in condizioni patologiche di abuso di sostanze eccitanti (fumo, alcool, droghe, caffeina). 

I Toothgrinder volevano comunicare questo con la scelta del loro nome: un metal graffiante, velenoso, virulento; un’offensiva al nostro sistema nervoso, con uno stile che ci getta in un mondo fatto di growl, batterie incalzanti e assoli allucinogeni.

Nel 2010 cinque ragazzi in una high school del New Jersey decidono di metter su una band per urlare il loro disagio generazionale, e nel giro di un anno esce il loro primo EP Turning of the Tides, seguito da altri due EP prima di arrivare alla svolta, nel 2016 con l’album Nocturnal Masquerade e nel 2017 con Phantom Amour.

I brani con cui hanno esordito sono colmi di scream e di testi duri, puro posthardcore, per subire una trasmutazione con l’avvento dell’età adulta e della consapevolezza di sé. 

Come un fiume nasce dalla fonte e affronta anse tortuose e rapide improvvise prima di sfociare nel mare, questa band ha acquisito una maturità stilistica che ha permesso di sfruttare questo genere musicale non solo per comunicare rabbia e frustrazione, ma soprattutto per trasmettere una visione di cambiamento e di crescita passando gradualmente a toni più pacati, più melodici, senza però modificare la loro natura metalcore.

Questa trasformazione li ha portati alla produzione di I AM, un album complesso, composto da undici brani che sembrano ripercorrere i vari stadi della loro evoluzione. 

Il frontman Justin Matthews lo ha definito come un viaggio per l’accettazione di sé, un percorso ad ostacoli, costellato di errori, di scelte sbagliate, di cattive abitudini nelle quali riversare il disprezzo e la disillusione adolescenziale.

Le intenzioni sono chiare sin dal primo brano, The Silence of a Sleeping WASP. Le doti vocali del cantante ci trasportano nella loro visione di progressive metal, fatta di growl mista a passaggi melodici delicati accompagnati da un sottofondo musicale fortemente posthardcore.

La dolcezza della voce di Justin è straziante nei brani ohmymy e My favorite Hurt, ed unisce testi intimi che parlano di solitudine, di dolore ma anche di amore. Con un timbro che, in alcuni passaggi e soprattutto nel terzo brano, scade nel pop,  riprende lo stile heavy sul ritornello con assolo di chitarra a dir poco sbalorditivo: una bivalenza che ricorda molto Corey Taylor (Slipknot e Stone Sour), unito ad uno stile molto Deftones. 

L’album continua alternando pezzi melodici a brani dalle sonorità coriacee. Una montagna russa di emozioni dove si passa dalle lacrime al pogo sanguinolento, come per The New Punk Rock e too soft for the scene, TOO MEAN FOR THE GREEN, pezzi ritmicamente metalcore, caratterizzati da  growl e headbanging a volontà. 

Gli ultimi due brani (Can Ü Live Today? e The Fire of June) sono un ritorno alle loro origini, un progressive metal che sfocia nel nu metal, come per ribadire il forte attaccamento allo stile con cui sono nati. Si cresce, si cambia, ma quel che siamo stati non ci abbandona mai. 

I AM è l’ultimo pezzo dell’album. Scelta tattica del gruppo, forse, visto che in esso risiede il senso più profondo di tutto il loro lavoro. Il testo incarna un mantra, “io sono…”, che spinge a far pace con il passato, con gli errori commessi; porta a concedere un’ulteriore possibilità a noi stessi, imparando dalle debolezze a essere più forti. Quello di cui abbiamo bisogno risiede già dentro noi, dobbiamo solo trovare un modo per riscoprirlo. Tutti possiamo raggiungere il riscatto emotivo che meritiamo solo attraverso l’amore (Love will conquer all). 

Attraverso uno stile musicale notevole e mutevole l’album trabocca di tutte le emozioni umanamente concepibili, una catarsi personale coinvolgente che dona speranza e sano metalcore spaccatimpani.

 

Toothgrinder

I AM

Spinefarm Records, 2019

 

Marta Annesi