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Tag: storia

Diario di una Band – Capitolo TRE

“E da qui… e da qui…
qui non arrivano gli ordini…
a insegnarti la strada buona…
E da qui… e da qui…
Qui non arrivano gli angeli”

Vasco Rossi

 

 

Non è sempre un gioco in cui si vince, non lo è, non lo è  affatto. Diventa maledettamente difficile in certe circostanze mantenere la lucidità, essere “legittimi” e macinare senza mandare al risparmio la materia della costanza.

Ci sono giorni, periodi soprattutto, che hanno lo stesso attrito di un peso di cemento legato alle caviglie, dentro al mare della vita, obbligato ad avere la forza per nuotare  troppo in alto per prendere l’ossigeno necessario.

La musica, quella fatta con la luce delle sensazioni e dell’entusiasmo appartiene alle persone che in dote hanno un empatia spiccata. Germogliano emozioni, il concerto raggiunge picchi di collaborazione col pubblico da far venire la pelle d’oca e ogni tanto perché no si arriva alle lacrime quando la mente è sgombera, immune, impermeabile da inganni e cattivi pensieri.

Essere in grado di sviluppare una situazione musicale avente al centro un cuore pulsante di emozioni rende tutto più facile e fluido. Si inerpica però con la stessa moneta quando il buio soppianta entusiasmo e propositi.

In questi casi però si ha l’obbligo e la responsabilità di marciare a testa alta contro un sole che prova a bruciarti gli occhi, e hai il maledetto compito di tenere duro, soprattutto quando si parla di un concerto live.

Puoi avere problemi con la fidanzata, può essere un casino la situazione in famiglia, puoi avere in coma un caro amico per un incidente avuto la sera prima del concerto a 500 km da casa, può morire il tuo cane che è praticamente parte della famiglia da quindici anni. Possono succedere tutte queste cose e tu non puoi farci proprio un cazzo di niente.

Quindi cerchi di distrarti, cerchi di evadere, ti ritrovi pure a pregare l’universo, a sperare che tutto possa sistemarsi per il meglio. In mezzo a questa situazione devi essere vigile e catalizzare la disperazione in energia positiva che anche a km di distanza possa raggiungere chi ha bisogno in quel momento di ogni molecola di speranza.

A volte va bene, a volte no. Sali sul palco col groppo in gola, con gli occhi vitrei e con la mano che trema. Parti e automaticamente credi sia l’ultimo concerto, il più importante di tutti, il concerto del giudizio. E lo è davvero perché hai la responsabilità di non lasciare al caso nemmeno un millimetro di banalità, lo fai per chi sta lottando, per chi è in bilico.

Il pubblico diventa un film muto, gli amplificatori sparano bolle distorte di vento caldo. Ti lasci accarezzare da questa brezza, cerchi gli sguardi dei tuoi compagni che sanno perfettamente cosa stai vivendo e provando. Uno strizza l’occhio, l’altro acconsente con la testa come a dire “stai facendo la cosa giusta, fagli vedere chi vince”.

Canti e pensi, gridi e pensi, prendi fiato e pensi, presenti un pezzo e strappi il colore del concetto del brano con le unghie e con i denti perché chi ti sta ascoltando si fida di te, forse è in una situazione speculare alla tua e ha bisogno di essere sollevato.

Qualcuno può avere perso il lavoro o aver subito un torto, qualcuno può essere andato in ferie dopo mesi di prigionia serrata, ognuno può avere la propria battaglia più o meno pesante da combattere.

E tu sei li perché devi deviare la tristezza sul binario della spensieratezza, ma sei il primo ad essere in un turbinio di paura e inquietudine. Quindi prendi l’ossimoro in questione, lo svisceri e ti metti la maschera di ognuno che hai davanti.

Lo fai come scappatoia perché loro non lo sanno, ma tu hai bisogno del loro supporto tanto quanto loro lo hanno del tuo. Nasce una comunione, un paracadute che parzialmente accontenta tutti, una tregua, un “cessate il fuoco” provvisorio ma che ha tanto il sapore di una boccata di ossigeno.

Finisce il concerto, cambio improvviso di scenario degno del miglior Tim Burton, ringrazi e abbracci i tuoi fratelli per la loro preziosa spalla diventata di granito, indissolubile. Decomprimi un attimo prima di smontare le tue cose dal palco.

Pensi che non serve a niente magari aver scritto il nome di Christian sulla chitarra, ma speri che una piccola vibrazione possa scuotere il sonno prematuro di un ragazzo buono. Vibrazione come quelle del Nokia 3310 per intenderci, quelle che ti facevano sobbalzare di notte ai tempi delle superiori e poi “si ciao, chi dorme più adesso?”.

E qui entra in gioco la tua fragilità, dalla quale però ora non devi più nasconderti perché sei fatto di carne, ossa e sentimenti come tutti, e nella lotta di chi cerca di distinguersi, essere mescolato alla massa è un sollievo, ti arriva una spasmodica e necessaria voglia di normalità, colmabile con una buona notizia sullo smart phone magari o con un abbraccio di chi oramai ti conosce come le tue tasche.

Sai che hai suonato al massimo per chi fa parte della tua vita, della tua quotidianità. Figure che non rivedrai forse mai più, e li vuoi fermare il tempo, cercando di capire se il limbo della paura può durare per sempre oppure no. Ora non devi vergognarti per nessuna cosa al mondo di ogni reazione, perché è legittimata dall’amore.

Qui si inizia a percepire il legame tra sacro e profano che unisce la morte alla musica. Sei spaventato, ma hai fatto della musica la tua ferma compagna, quindi esigi conoscere ogni sfaccettatura, ogni cunicolo buio da illuminare e la morte volente o nolente fa parte del gioco, un fottutissimo gioco in cui non vince nessuno.

Tutto si ridimensiona e ti appare il mondo come un posto che seppur influenzato e deteriorato da pessimi principi è giornalmente una chance da sfruttare. Capisci che ogni soddisfazione anche se misera è una piccola vetta scalata, un mattoncino su cui costruire, perché anche sulla macerie è doveroso provare a costruire.

Diventi piccolo e senza potere, si fottano la boria e la presunzione, davanti alla morte ogni obiettivo raggiunto è un prodigio, farlo con la musica è un privilegio da trattare coi guanti dell’umiltà.

Per avere una panoramica reale, a 360 gradi della vita che vuoi fare, sei obbligato a conoscerne ogni volto, anche il più scomodo e quest’arte è la dimostrazione vicina e più a contatto con le sensazioni della gente.

Canteremo anche del ricordo, perché sia presente ogni giorno nei gesti più comuni, in fondo la morte si può anche esorcizzare, con l’amore

 

A volte va bene, a volte no.

 

A Seppe

A Icio

A Pablo

 

Vasco Bartowski Abbondanza

Il nostro 8 marzo in musica

Marzo è il mese dell’anno in cui si celebrano (non festeggiano) le donne: anche noi di VEZ vogliamo onorare questa ricorrenza a modo nostro. Per farlo, proponiamo un elenco di donne, una lista per omaggiare l’impegno di tutte le cantanti, musiciste, compositrici e artiste che nei secoli hanno cambiato la storia della musica.

 

Ildegarda di Bingen (Bermersheim vor der Höhe, 1098 – Bingen am Rhein, 17 settembre 1179)

Andiamo indietro nel tempo, a quell’epoca buia che era il Medioevo europeo, e incontriamo la prima delle nostre prescelte. Siamo a cavallo dell’anno 1100, nell’Assia tedesca, appena un anno prima che i crociati facciano cadere Gerusalemme: nasce qui e ora Ildegarda di Binden, una figura che fin da bambina si contraddistingue per le visioni e il mistero che la accompagnano.

Di nobile stirpe, la ragazza prende presto i voti e si consacra alla vita monastica, scegliendo un percorso di sacrificio ma anche di studio. Monaca, priora e infine badessa, Ildegarda trova il tempo anche per la poesia, la composizione, la medicina e la politica: la immaginiamo come una donna forte, imperiosa, nonostante la sua salute cagionevole e le visioni, sempre più frequenti con l’avanzare dell’età.

Ildegarda è davvero un pozzo di scienza: inventa una lingua in codice (La lingua ignota), scrive trattati di filosofia e profezie. Non solo: fonda un monastero, è prima amica poi oppositrice dell’imperatore Federico Barbarossa.

Questa donna piena di risorse è stata una delle prime conosciute a essersi occupata di musica con la sua Symphonia harmoniae celestium revelationum, divisa in due parti: i Carmina (Canti) e l’Ordo Virtutum (La schiera delle virtù, opera drammatica musicata). Non abbiamo molte informazioni al riguardo, ma sappiamo che suonava più o meno così.

 

Nadia Boulanger (Parigi, 16 settembre 1887Parigi, 22 ottobre 1979)

A Parigi, negli anni della Belle Époque che hanno visto il fiorire della società sia dal punto di vista storico che socio-culturale, nasce Nadia Boulanger. Nadia nasce figlia d’arte, in una famiglia che già da quattro generazioni fa della passione per la musica il proprio lavoro.

Già dall’età di nove anni inizia a studiare organo e composizione assieme al padre e alla sorella, studi che la accompagneranno verso il proprio primato, consacrandola come la prima donna ad avere il ruolo di Direttore d’Orchestra.

Spezzata nel cuore e nello spirito dalla morte della sorella avvenuta nel 1918, Nadia decide di non comporre mai più e dedica la propria energia all’insegnamento, attività che non abbandonerà fino al giorno della morte, avvenuta all’età di novantatrè anni. Tra i suoi allievi ricordiamo Astor Piazzolla, George Gershwin e Leonard Bernstein.

Fa inoltre il suo ingresso tra “i grandi” della musica classica nel 1936 quando dirige un concerto con la London Philharmonic, entrando di diritto nella storia della musica classica.

 

Elvira de Hidalgo (Valderrobres, 27 dicembre 1892 – Milano, 21 gennaio 1980)

Elvira de Hidalgo è ricordata principalmente per essere stata maestra di Maria Callas, ma quando si dedica all’insegnamento ha già alle spalle una brillante carriera da soprano.

Entra presto al Conservatorio di Barcellona con una borsa di studio per continuare il suo percorso a Milano, e debutta precocemente all’età di 16 anni, nel 1908, al San Carlo di Napoli con quello che sarebbe stato il suo ruolo più acclamato: Rosina, da Il barbiere di Siviglia. La sua voce incanta il pubblico e lei prosegue la sua carriera musicale cantando nei più importanti teatri di tutto il mondo, a fianco di star come Caruso, Miguel Fleta o Titta Ruffo.

Sono gli anni ‘30 del XX secolo quando Elvira si stabilisce in Grecia e incomincia a insegnare al Conservatorio di Atene. Quando si incontrano, la piccola Anna Maria appare bassina, grassoccia e ruvida, ma sembra avere una bella voce.

L’insegnante accoglie sotto la sua ala protettrice questa giovane promessa, la plasma e trasforma Anna Maria Cecilia Sophia Kalos in Maria Callas. Elvira ha il grande merito di comprendere immediatamente la potenzialità di quella voce così particolare, e fa lavorare sodo la sua allieva per ottenere risultati sempre migliori.

Maria Callas, da parte sua, si impegna a fondo nello studio ed è un’allieva modello, rigorosa e intelligente. Al debutto della sua pupilla, Elvira non sente paura, è tranquilla. Da quel momento, il legame tra le due donne si fa sempre più intenso: l’influenza stilistica di Elvira è fondamentale per la formazione della Callas, che d’altro canto si rivolge a lei ogni volta che trova difficoltà o vuole provare un ruolo.

Elvira sarà sempre presente per Maria, assumendo il ruolo talvolta di maestra e altre di amica, provando le parti, cantando al telefono e ricevendo le sue confidenze.

 

Melba Doretta Liston (Kansas City, January 13, 1926 – Los Angeles, April 23, 1999)

Un altro primato va a Melba Doretta Liston, la prima trombonista donna della storia.

Nata negli Stati Uniti nel 1926, già all’età di sette anni riceve in regalo dalla madre il suo primo trombone, incoraggiata dall’intera famiglia ad imparare tutti i segreti della musica.

Melba era molto dotata. A otto anni si esibiva come solista in una radio locale e i genitori iniziarono a credere che forse Kansas City nel Missouri, sua città d’origine, non sarebbe più stata un trampolino di lancio adeguato alla carriera della figlia.

Nel 1936 si trasferiscono verso la più felice California e le opportunità non tardano ad arrivare: già a vent’anni ecco l’occasione di una vita, un tour con Billie Holiday. Melba però non ama particolarmente essere al centro dell’attenzione, preferendo collaborazioni all’attività da solista.

I tour inoltre non fanno per lei: troppo stancanti e talvolta stressanti a tal punto da farle perdere addirittura la voglia di continuare a fare musica. Tra i tanti artisti con i quali Melba collabora ricordiamo Ray Charles e Stevie Wonder.

 

Miriam Makeba (Johannesburg, 1932Castel Volturno, 2008)

Quella di Miriam Makeba è forse è la figura più conosciuta della nostra lista. Nota anche come Mama Afrika, l’artista si forma negli anni ‘50 cominciando a suonare con la band sudafricana Manhattan Brothers. Fin dagli esordi, la sua musica è caratterizzata dall’unione di elementi della musica tradizionale africana alle tonalità del jazz.

Raggiunge rapidamente il successo e inizia a girare il mondo con i suoi concerti, ma viene esiliata dal suo Paese perchè ritenuta un simbolo di lotta per un popolo oppresso. Miriam partecipa infatti attivamente alla lotta per contrastare l’apartheid sudafricano, inserendo anche nei suoi album canzoni che denunciano le condizioni di vita dei neri sotto il regime.

La sua militanza politica le costa l’allontanamento dalla sua amata terra di origine, ma continua la sua carriera proseguendo nella sperimentazione e nella produzione di grandi successi che contribuiscono a renderla un’icona mondiale.

Solo nel 1990 grazie all’intercessione di Nelson Mandela, Miriam Makeba rientra in Africa e continua la sua attività artistica recitando in un film e un documentario, per poi dedicarsi negli ultimi anni della sua vita a un intenso tour di addio che tocca tutte i Paesi visitati durante la sua carriera.

La sua famosissima Pata pata… Il ritmo è tanto coinvolgente che è davvero impossibile star fermi!

 

Sonita Alizadeh (Herat, 1997 – )

La giovanissima artista è nata nel 1997 ad Herat, è una rapper che canta in arabo e in inglese. Cresciuta insieme alle rime di Eminem e della rapper iraniana Yas, ha attirato l’attenzione della critica internazionale grazie al suo singolo Brides for sale, in cui denuncia la compravendita delle spose bambine.

La sua è un’esperienza diretta: la sua famiglia ha cercato più volte di “venderla” come sposa, ma è riuscita a fuggire negli Stati Uniti dove oggi studia e continua la sua attività di cantautrice. La sua storia è solo all’inizio, e speriamo di continuare a sentir parlare presto di lei… Qui il suo video più famoso.

 

Concludiamo la nostra parabola delle “prime volte” con due menzioni molto importanti, la Anacaona Band e il caso della Queen’s Hall Orchestra di Londra.

 

Anacaona, prima band composta interamente da donne, le undici sorelle Castro, si impone sullo scenario cubano durante il periodo prebellico ed estremamente rigido e chiuso del Generale e Presidente Gerardo Machado.

Le sorelle Castro si trovano costrette da un giorno all’altro ad abbandonare l’Università a causa della loro repentina chiusura essendo siti deputati al disordine pubblico secondo la visione del Presidente cubano. Dopo lavori saltuari e di fortuna, le sorelle decidono di dedicarsi ad un’attività totalmente differente: la musica.

Nel 1932 fondano la band Anacaona con l’intento di frantumare i pregiudizi e dimostrare che non solo gli uomini erano in grado di comporre e suonare la musica SON cubana, genere che è un mix tra ritmi africani e sonorità spagnole.

 

La Queen’s Hall Orchestra passerà alla storia invece come prima orchestra ad aver ammesso un membro femminile tra le proprie fila. Correva l’anno 1913 e il direttore Sir Henry Wood decise di superare le convenzioni fino ad allora esistenti nel mondo della musica. Nel 1918 Sir Wood aveva assunto ben 14 donne nella propria orchestra.

 

La musica è solo un altro ring sul quale le donne hanno dovuto disputare più di una battaglia per la parificazione all’uomo, forse non sanguionosa come su altri fronti ma pur sempre tormentata e disseminata di ostacoli e preconcetti.

Chissà quali altri primati da questo momento in poi le donne riusciranno a conquistare nel mondo della musica?

 

Irene Lodi

Sara Alice Ceccarelli

 

Per approfondimenti 

  1. Castro Alicia, Queens of Havana: The Amazing Adventures of Anacaona, Cuba’s Legendary All-Girl Dance Band, New York, Grove Press, 2002
  2. Flanagan SilviaIldegarda di Bingen, vita di una profetessa, Firenze, Le lettere, 1991
  3. Modigliani Ettore, A Londra durante la Guerra, Milano, Treves, 1915
  4. Monsaingeon Bruno, Incontro con Nadia Boulanger, Palermo, RueBallu, 2007
  5. Saviano RobertoMiriam Makeba: la rabbia della fratellanza, in La bellezza e l’inferno, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2009
  6. Intervista registrata con Melba Doretta Liston

Ma quanto siete VEZ?

Sono le 20.15 di un uggioso lunedì sera di Maggio, il cielo è fosco e cinereo, l’aria è fredda, rigida, quasi autunnale e tra me e me penso a quanto sono arrabbiata con il meteo per averci dato solo un lieve assaggio d’estate, illudendoci miseramente. Sono appena arrivata a casa della mia amica Sara Alice, stasera ho il piacere di cenare con lei e il suo socio Luca, che incontro per la prima volta. Si crea immediatamente un’atmosfera super friendly, apparecchiamo e cuciniamo insieme come se fossimo coinquilini da una vita, parliamo di lavoro, di musica, ci raccontiamo aneddoti divertenti e ridiamo insieme, tanto.

VEZ Magazine è il protagonista assoluto delle svariate conversazioni. Perché oltre ad essere qui come amica, stasera sono qui anche come collaboratrice: ho il compito (e l’onore) di intervistare le colonne portanti di questa grintosa rivista, nonché ideatori e fondatori. Tra una battuta e l’altra, ma anche con un po’ di imbarazzo (solo iniziale), ci buttiamo a capofitto in un’impetuosa raccolta di racconti, informazioni, aneddoti, un appassionante e fresco approfondimento su come tutto è venuto alla luce e sia poi diventato quello che è.

Mi rivolgo in primis a te Luca, dato che non ti conosco, non so nulla di te. Puoi dirmi com’è nato questo è progetto? Soprattutto: come avete fatto a trovarvi, considerando che Sara è di Rimini mentre tu sei di Forlì?

Tutto è cominciato l’anno scorso al concerto di Levante, frequentavo la scena “Sullasabbia”, “Bayfest” e “Rimini ParkRock” come fotografo freelance e per caso ho conosciuto Sara. Poi l’ho rivista ai Biffy Cliro, Jax & Fedez, Bayfest, ho pensato fosse una sorta di manager di LP Rock Events (la società che organizza questi eventi, ndr) o un qualche personaggio importante e non nascondo che inizialmente ero un po’ intimorito – sono stato sempre un ragazzo molto timido, soffro di balbuzie da quando ero piccolo, fatico a lasciarmi andare e trovare subito confidenza con le persone – mentre lei con il suo fare allegro, espansivo e disinvolto mi ha inizialmente incuriosito e successivamente conquistato.

Ci siamo fatti foto, mi ha presentato alle sue amiche. Mi ha fatto sentire importante, speciale. Siamo diventati amici sin da subito. Ci siamo raccontati, mi ha detto di essere una giornalista. Poco dopo, grazie a lei, abbiamo ottenuto l’accredito per il concerto del Liga (Luciano Ligabue, ndr). Proprio li è nato tutto. Lei giornalista, io fotografo. Le ho espresso il mio sogno di creare un magazine e in quel momento è come se fosse scoccata una scintilla. E’ nata la magia. Il mio sogno era anche il suo. Due settimane dopo avevo già creato il sito.

E Sara continua.

Ho sempre scritto. Ho scritto un libro, sono anni che scrivo sul il Ponte e mi è capitato spesso di trovare persone che volevano collaborare con me, ma non lo dicevano mai sul serio. Io avevo l’idea, ci lavoravo intensamente, cercavo contatti, miglioravo il progetto, gli altri invece si lasciavano trasportare, si adagiavano, non ci mettevano passione, non si adoperavano. Le persone parlano tanto ma non mettono mai in pratica nulla.

Con Luca è stato diverso. Luca  ci credeva veramente. Luca era convinto, autentico, pratico. Mi sono fidata di lui e lui ha dato fiducia a me e alla mia concretezza. Ci siamo trovati. Noi non abbiamo paura, siamo folli, ci buttiamo tanto, siamo disinvolti, ostinati, spregiudicati, anticonformisti. Siamo LIBERI. E VEZ ci da la possibilità di esprimere ciò che siamo in modo genuino, spontaneo. Il primo concerto ufficiale, quello che ci ha “iniziato” a collaboratori e pionieri di VEZ Magazine è stato Lali Puna. Se ci penso mi viene quasi nostalgia. Sembra passata una vita e invece sono solo pochi mesi.

E il nome VEZ com’è nato?

Per un’estate intera gli epiteti più amichevolmente utilizzati nelle realtà Bayfest e varie sono stati Regaz (ragazzi, ndr) e Vez (vecchio, ndr).

Quando ci chiedemmo quale nome avremmo potuto dare al nostro magazine, dopo averci pensato un po’ e aver buttato lì qualche nome a caso, Sara mi disse. “E se lo chiamiamo Vez?” Ci convinse subito. Scegliemmo “VEZ Magazine” per dare un’identità, un’essenza al sito. Perché appunto attualmente è un magazine ed è nato per questo, seguire concerti. Poi l’ambizione è grande, potrebbe diventare VEZ Service o VEZ Agency, chi lo sa.

Quindi possiamo ufficialmente dire che è Luca Ortolani che si occupa dell’aspetto fotografico e artistico del sito. Sara Alice Ceccarelli, invece, di cosa si occupa?

Bella domanda. Sono felice che tu me l’abbia fatta. In tanti spesso mi chiedono se faccio parte dello staff di VEZ, perché di primo acchito, chi visita VEZ vede solo il lavoro di Luca. Sembra quasi che io non esista. E questo mi fa male perché mi sento inutile, subisco tanto il non sentirmi partecipe all’interno di un sogno e progetto che è anche il mio. Ora finalmente ho il piacere di poterne parlare.

Principalmente mi occupo di intrattenere i rapporti con le varie agenzie, management, uffici stampa ed è estremamente intenso e fervido poiché è un lavoro di scambio, interazione e condivisione. Loro mantengono aggiornata me su concerti ed eventi – dandoci anche la possibilità di parteciparvi con accrediti stampa e foto – e noi offriamo loro visibilità creando una sorta di storytelling, approfittando della straordinaria potenza dei mezzi comunicativi per connetterci direttamente alle emozioni dello spettatore, donando popolarità a tali emozioni e aumentandone la richiesta. Un concerto non è solo fatto di band, strumenti e musica. C’è ciò che viene trasmesso, ci sono le persone, le loro espressioni ed è lo stesso motivo per cui non richiedo mai l’accredito stampa sulle tribune ma prediligo sempre il parterre. Voglio stare a contatto con il pubblico, vivermi il calore umano, l’entusiasmo, il delirio, l’ebbrezza, il sudore, le grida, i sorrisi, le lacrime.

Sia io che Luca siamo alla spasmodica ricerca di passione, in qualsiasi veste si manifesti. Insieme a questo, l’umiltà, la disponibilità e il rispetto sono i nostri capisaldi e le fondamenta su cui VEZ si erge. La nostra professionalità non è dovuta solo alle competenze ma anche a tali principi. Tutto questo viene percepito e apprezzato e ci permette di ricavarne tantissimi feedback positivi. Inoltre, il fatto che io sia una donna è certamente ottimizzante. Ho notato che in questo settore c’è molto aiuto reciproco tra donne ed è una cosa fantastica a mio parere, perché non è affatto scontata.

Mi pare di capire che questo è solo l’inizio di un lungo percorso. Cosa vorreste diventasse VEZ, un giorno?

“Io una casa chiusa” risponde Luca. Scoppiamo a ridere.

A parte tutto – continua Luca – Non sappiamo di preciso cosa vorremmo diventasse. So che ci piacerebbe che partisse inizialmente come trampolino di lancio per i nuovi gruppi. Sarebbe bellissimo avere un roster nostro di gruppi, che trattiamo e che la gente può seguire solo da noi e magari averne anche l’esclusiva. Gruppi che ci hanno dato fiducia e ai quali noi abbiamo dato fiducia sin dall’inizio.

Ci piacerebbe tantissimo che qualcuno credesse in VEZ a tal punto da darci la possibilità (e il sostegno economico) di poter girare l’Italia per scovare e dare voce ai nuovi piccoli gruppi. Darci la possibilità di stupirci. Lo troviamo estremamente arricchente. VEZ non vuole arrivare ovunque e chi visita VEZ non si può aspettare di trovare tutto. Ma sicuramente può aspettarsi di trovare la nostra passione e il nostro cuore. Cuore che vorremmo mettere nell’aiutare le piccole band, i gruppi spalla, quelli a cui hanno promesso tante cose senza poi mantenerle, quelli che nonostante tutto non si sono mai arresi. Quei gruppi che vanno avanti con le loro forze e che ancora credono nella straordinaria energia e dirompente potenza della musica, fatta e trattata con onestà ed umiltà  e continuano a crederci come il primo giorno. Un pochino come noi.

E poi altre mille idee. Che non spoileriamo, un po’ anche per scaramanzia.

In ogni caso qualsiasi cosa sarà noi lo faremo con impegno, convinzione ma soprattutto divertendoci.  E con amore. Perché amore sembra una parola sopravvalutata, invece no, l’amore in questo lavoro è fondamentale. Anche nel prendere la macchina, guidare di notte, farti millemila chilometri per andare ad un concerto, senza nemmeno avere la certezza che si siano ricordati di accreditatarti. Quando magari non è una cosa che avresti fatto, perché sei in piedi dalle 7 di mattina, hai lavorato tutto il giorno e sei stanco morto, ma tu sei li, ci metti del tuo, ti piace, ti diverti e offri un servizio agli altri. Questo amore si è perso nel tempo. Si è perso nel giornalismo come nella fotografia, nelle arti. E VEZ vuole essere anche questo. La riscoperta del lavoro come passione. La riscoperta e la valorizzazione di sentimenti e principi spesso offuscati e dimenticati.

Proprio come farebbero due veri VEZ.

 

Federica Orlati