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Tag: storytelling

Maledetti Cantautori @ Teatro della Concordia

Teatro della Concordia (Venaria Reale) // 28 Maggio 2021

 

…E quindi uscimmo a riveder le stelle
Dante, Inferno, XXXIV, 139

 

Ieri sono tornato a un evento live. Chiamiamolo concerto, anche se, a ben vedere, Maledetti Cantautori è molto di più.
Avevo un accredito stampa. E a quel punto anche un vago senso di colpa, così, avvisata la biglietteria della mia presenza, ho comunque pagato l’ingresso. È una questione di karma, è una questione di militanza e di sostegno. Io senza voi non scriverei, in fin dei conti. Ora, devo anche chiedere scusa a VEZ, perché io ai concerti tendo ad ascoltare e a pensare e così, alla fine, ho una timida foto per altro neanche scattata dal sottoscritto. E sorrido a pensarci, perché nonostante non fossimo in molti, la mia etica da concertista over quaranta mi impone di avere cautela nell’uso del telefono a un concerto. Un buon segno, penso, non ho perso le buone maniere.

Il Teatro della Concordia di Venaria Reale è il luogo che accoglierà questo nuovo inizio. Quindi sarò comodamente seduto, con un ottima acustica, in ampi spazi rispettosi di norme anti-covid. Quasi commosso anche dalla birra pre-concerto, un rituale che sembra appartenere a un’era lontana, di baccanali e festival pieni di droplet e sudore.
L’evento principale è stato preceduto dall’esibizione di due nuove proposte del panorama torinese: Carsico ed Eugenio Rodondi, esponenti di un nuovo cantautorato pieno di buoni propositi.
Lo spettacolo principale inizia quindi poco dopo le 21.00. Sul palco sale Nicholas Ciuferri, autore del libro cui si ispira lo spettacolo, Nathalie, cantautrice e vincitrice di X-Factor nel 2010, The Niro, nome d’arte del cantautore romano Davide Combusti, Riccardo Tesio, fondatore dei Marlene Kuntz, produttore e chitarrista, Andrea Angeloni ai fiati e il 23enne giovane talento Pit Coccato.

È uno spettacolo fatto di storytelling e musica, in cui alcuni autori, sia del passato sia contemporanei, vengono presentati con brevi racconti e successivamente da un brano eseguito dagli ottimi musicisti che accompagnano Ciuferri.
Per il sottoscritto è un ripartire dalle basi. Da un racconto che si fa musica, o meglio, da un racconto che arriva alla musica. L’inquadratura scelta per fotografare l’artista descritto non è mai banale e ci porta verso lati poco noti o conosciuti, raccontando aspetti delle grandi star accessibili solo a chi si è dedicato a fondo alle loro biografie. Si parte con Tim Buckley, con un genio eclettico e problematico, dal suo rapporto con il figlio, l’amore, le famiglie, la dipendenza. Il racconto non è mai morale, pietista, anzi, incalza, aumenta di ritmo, lascia indizi sparsi, quasi come fosse un gioco tra chi racconta e il pubblico. E poi, all’apice della narrazione c’è una morte, un punto fermo, un presente. E poi musica, a turno tra Nathalie e The Niro. Il racconto prosegue con la Joplin, il Chelsea Hotel e l’incontro con Cohen, un Thom Yorke alle prese con ospedali, plastiche e una mamma, un Cash che diventa statua e gigante, come nella realtà, sospeso tra Steinbeck e linee bianche da seguire, il Lead Belly di In The Pines, resa famosa dai Nirvana nell’Unplugged, e poi Chris Cornell, Jeff Buckley, Lou Reed.
È una piccola Spoon River in prosa, in cui il soggetto non è rivelato se non dalla sua musica. Un gioco fatto di parole chiave, canzoni nascoste nelle vite narrate, piccoli segreti di grandi personaggi. È come stappare una bottiglia di buon vino e trovare tutti i profumi possibili, e, alla fine, assaggiare.
Risultati della serata: ho comprato il libro oggi. Se Ciuferri scrive come racconta, allora ho delle belle ore davanti. Poi ho scoperto che la musica dal vivo è ancora in grado di emozionarmi. Anzi no, diamo merito anche al sottoscritto: i peli delle mie braccia hanno ancora memoria e sanno alzarsi con fierezza in caso di musica ben suonata. Posso vantarmi di questa cosa, ieri sera ne sono stato orgoglioso e quasi mi sono commosso. Ultimo: cantare, anche sussurrando, dentro la mascherina è come fare l’amore sotto le lenzuola.
Lo fai proprio solo se devi. 

La musica è tornata dal vivo, il mondo è tornato un posto più vivibile, grazie anche a questi artisti che nonostante il poco pubblico si sono impegnati e hanno dato vita a uno spettacolo interessante e appassionante.
Regolarmente conclusosi nel rispetto del coprifuoco vigente. 

Chiudo con un consiglio da amante dei bei racconti raccontati: il podcast. Ragazzi, questo spettacolo deve uscire dai teatri e dalle piazze. Osate. 

 

Andrea Riscossa

Foto di Copertina: Davide Garibaldi

Ma quanto siete VEZ?

Sono le 20.15 di un uggioso lunedì sera di Maggio, il cielo è fosco e cinereo, l’aria è fredda, rigida, quasi autunnale e tra me e me penso a quanto sono arrabbiata con il meteo per averci dato solo un lieve assaggio d’estate, illudendoci miseramente. Sono appena arrivata a casa della mia amica Sara Alice, stasera ho il piacere di cenare con lei e il suo socio Luca, che incontro per la prima volta. Si crea immediatamente un’atmosfera super friendly, apparecchiamo e cuciniamo insieme come se fossimo coinquilini da una vita, parliamo di lavoro, di musica, ci raccontiamo aneddoti divertenti e ridiamo insieme, tanto.

VEZ Magazine è il protagonista assoluto delle svariate conversazioni. Perché oltre ad essere qui come amica, stasera sono qui anche come collaboratrice: ho il compito (e l’onore) di intervistare le colonne portanti di questa grintosa rivista, nonché ideatori e fondatori. Tra una battuta e l’altra, ma anche con un po’ di imbarazzo (solo iniziale), ci buttiamo a capofitto in un’impetuosa raccolta di racconti, informazioni, aneddoti, un appassionante e fresco approfondimento su come tutto è venuto alla luce e sia poi diventato quello che è.

Mi rivolgo in primis a te Luca, dato che non ti conosco, non so nulla di te. Puoi dirmi com’è nato questo è progetto? Soprattutto: come avete fatto a trovarvi, considerando che Sara è di Rimini mentre tu sei di Forlì?

Tutto è cominciato l’anno scorso al concerto di Levante, frequentavo la scena “Sullasabbia”, “Bayfest” e “Rimini ParkRock” come fotografo freelance e per caso ho conosciuto Sara. Poi l’ho rivista ai Biffy Cliro, Jax & Fedez, Bayfest, ho pensato fosse una sorta di manager di LP Rock Events (la società che organizza questi eventi, ndr) o un qualche personaggio importante e non nascondo che inizialmente ero un po’ intimorito – sono stato sempre un ragazzo molto timido, soffro di balbuzie da quando ero piccolo, fatico a lasciarmi andare e trovare subito confidenza con le persone – mentre lei con il suo fare allegro, espansivo e disinvolto mi ha inizialmente incuriosito e successivamente conquistato.

Ci siamo fatti foto, mi ha presentato alle sue amiche. Mi ha fatto sentire importante, speciale. Siamo diventati amici sin da subito. Ci siamo raccontati, mi ha detto di essere una giornalista. Poco dopo, grazie a lei, abbiamo ottenuto l’accredito per il concerto del Liga (Luciano Ligabue, ndr). Proprio li è nato tutto. Lei giornalista, io fotografo. Le ho espresso il mio sogno di creare un magazine e in quel momento è come se fosse scoccata una scintilla. E’ nata la magia. Il mio sogno era anche il suo. Due settimane dopo avevo già creato il sito.

E Sara continua.

Ho sempre scritto. Ho scritto un libro, sono anni che scrivo sul il Ponte e mi è capitato spesso di trovare persone che volevano collaborare con me, ma non lo dicevano mai sul serio. Io avevo l’idea, ci lavoravo intensamente, cercavo contatti, miglioravo il progetto, gli altri invece si lasciavano trasportare, si adagiavano, non ci mettevano passione, non si adoperavano. Le persone parlano tanto ma non mettono mai in pratica nulla.

Con Luca è stato diverso. Luca  ci credeva veramente. Luca era convinto, autentico, pratico. Mi sono fidata di lui e lui ha dato fiducia a me e alla mia concretezza. Ci siamo trovati. Noi non abbiamo paura, siamo folli, ci buttiamo tanto, siamo disinvolti, ostinati, spregiudicati, anticonformisti. Siamo LIBERI. E VEZ ci da la possibilità di esprimere ciò che siamo in modo genuino, spontaneo. Il primo concerto ufficiale, quello che ci ha “iniziato” a collaboratori e pionieri di VEZ Magazine è stato Lali Puna. Se ci penso mi viene quasi nostalgia. Sembra passata una vita e invece sono solo pochi mesi.

E il nome VEZ com’è nato?

Per un’estate intera gli epiteti più amichevolmente utilizzati nelle realtà Bayfest e varie sono stati Regaz (ragazzi, ndr) e Vez (vecchio, ndr).

Quando ci chiedemmo quale nome avremmo potuto dare al nostro magazine, dopo averci pensato un po’ e aver buttato lì qualche nome a caso, Sara mi disse. “E se lo chiamiamo Vez?” Ci convinse subito. Scegliemmo “VEZ Magazine” per dare un’identità, un’essenza al sito. Perché appunto attualmente è un magazine ed è nato per questo, seguire concerti. Poi l’ambizione è grande, potrebbe diventare VEZ Service o VEZ Agency, chi lo sa.

Quindi possiamo ufficialmente dire che è Luca Ortolani che si occupa dell’aspetto fotografico e artistico del sito. Sara Alice Ceccarelli, invece, di cosa si occupa?

Bella domanda. Sono felice che tu me l’abbia fatta. In tanti spesso mi chiedono se faccio parte dello staff di VEZ, perché di primo acchito, chi visita VEZ vede solo il lavoro di Luca. Sembra quasi che io non esista. E questo mi fa male perché mi sento inutile, subisco tanto il non sentirmi partecipe all’interno di un sogno e progetto che è anche il mio. Ora finalmente ho il piacere di poterne parlare.

Principalmente mi occupo di intrattenere i rapporti con le varie agenzie, management, uffici stampa ed è estremamente intenso e fervido poiché è un lavoro di scambio, interazione e condivisione. Loro mantengono aggiornata me su concerti ed eventi – dandoci anche la possibilità di parteciparvi con accrediti stampa e foto – e noi offriamo loro visibilità creando una sorta di storytelling, approfittando della straordinaria potenza dei mezzi comunicativi per connetterci direttamente alle emozioni dello spettatore, donando popolarità a tali emozioni e aumentandone la richiesta. Un concerto non è solo fatto di band, strumenti e musica. C’è ciò che viene trasmesso, ci sono le persone, le loro espressioni ed è lo stesso motivo per cui non richiedo mai l’accredito stampa sulle tribune ma prediligo sempre il parterre. Voglio stare a contatto con il pubblico, vivermi il calore umano, l’entusiasmo, il delirio, l’ebbrezza, il sudore, le grida, i sorrisi, le lacrime.

Sia io che Luca siamo alla spasmodica ricerca di passione, in qualsiasi veste si manifesti. Insieme a questo, l’umiltà, la disponibilità e il rispetto sono i nostri capisaldi e le fondamenta su cui VEZ si erge. La nostra professionalità non è dovuta solo alle competenze ma anche a tali principi. Tutto questo viene percepito e apprezzato e ci permette di ricavarne tantissimi feedback positivi. Inoltre, il fatto che io sia una donna è certamente ottimizzante. Ho notato che in questo settore c’è molto aiuto reciproco tra donne ed è una cosa fantastica a mio parere, perché non è affatto scontata.

Mi pare di capire che questo è solo l’inizio di un lungo percorso. Cosa vorreste diventasse VEZ, un giorno?

“Io una casa chiusa” risponde Luca. Scoppiamo a ridere.

A parte tutto – continua Luca – Non sappiamo di preciso cosa vorremmo diventasse. So che ci piacerebbe che partisse inizialmente come trampolino di lancio per i nuovi gruppi. Sarebbe bellissimo avere un roster nostro di gruppi, che trattiamo e che la gente può seguire solo da noi e magari averne anche l’esclusiva. Gruppi che ci hanno dato fiducia e ai quali noi abbiamo dato fiducia sin dall’inizio.

Ci piacerebbe tantissimo che qualcuno credesse in VEZ a tal punto da darci la possibilità (e il sostegno economico) di poter girare l’Italia per scovare e dare voce ai nuovi piccoli gruppi. Darci la possibilità di stupirci. Lo troviamo estremamente arricchente. VEZ non vuole arrivare ovunque e chi visita VEZ non si può aspettare di trovare tutto. Ma sicuramente può aspettarsi di trovare la nostra passione e il nostro cuore. Cuore che vorremmo mettere nell’aiutare le piccole band, i gruppi spalla, quelli a cui hanno promesso tante cose senza poi mantenerle, quelli che nonostante tutto non si sono mai arresi. Quei gruppi che vanno avanti con le loro forze e che ancora credono nella straordinaria energia e dirompente potenza della musica, fatta e trattata con onestà ed umiltà  e continuano a crederci come il primo giorno. Un pochino come noi.

E poi altre mille idee. Che non spoileriamo, un po’ anche per scaramanzia.

In ogni caso qualsiasi cosa sarà noi lo faremo con impegno, convinzione ma soprattutto divertendoci.  E con amore. Perché amore sembra una parola sopravvalutata, invece no, l’amore in questo lavoro è fondamentale. Anche nel prendere la macchina, guidare di notte, farti millemila chilometri per andare ad un concerto, senza nemmeno avere la certezza che si siano ricordati di accreditatarti. Quando magari non è una cosa che avresti fatto, perché sei in piedi dalle 7 di mattina, hai lavorato tutto il giorno e sei stanco morto, ma tu sei li, ci metti del tuo, ti piace, ti diverti e offri un servizio agli altri. Questo amore si è perso nel tempo. Si è perso nel giornalismo come nella fotografia, nelle arti. E VEZ vuole essere anche questo. La riscoperta del lavoro come passione. La riscoperta e la valorizzazione di sentimenti e principi spesso offuscati e dimenticati.

Proprio come farebbero due veri VEZ.

 

Federica Orlati