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Tag: sumerian records

The Smashing Pumpkins “Cyr” (Sumerian Records, 2020)

È quasi una settimana che la sera, dopo lunghe giornate al freddo, mi siedo davanti a un foglio bianco, penna preferita in mano, cuffie che annullano il mondo e Cyr degli Smashing Pumpkins nelle orecchie. 
Ma nulla.
Scarabocchi. Poi qualche spunto, catene di idee, associazioni, assonanze, accordi. Di fatto, nulla. Ho disegnato la mappa della terra di mezzo. Winnie The Pooh. La penna mi cade, mi addormento al sesto “Ramona” dell’omonima (anonima?) traccia.
E qui, caro lettore, avviene il sovrannaturale. 

 

A Corgan Carol

Suonano alla porta. Apro, per strada non c’è nulla se non un piccolo furgone dei gelati turchese. Un anonimo ragazzo vestito di bianco mi fa cenno di salire.
Guida, senza proferire parola. Io mi fido e mi riaddormento, comodo, sul sedile del passeggero.
Mi risveglio quando una chitarra irrompe dallo stereo del van. È un giro che conosco, è un ingresso che è un marchio di fabbrica, Today, da Siamese Dream, 1993.

Cazzo Billy. A ventisei anni. Lo guardo bene, è proprio lui.

Lo Spirito del Corgan Passato. E mentre andiamo a zonzo per il deserto, come in Zabriskie Point, dallo stereo escono note e ricordi, un memorandum del perché li ho adorati e li adoro. Eclettici, ma con una metrica proprietaria, con un linguaggio unico, mentre negli USA e nel mondo divampava il sacro fuoco del tempio di Seattle, loro predicavano fuori delle mura. Erano chitarre, chitarroni, carezze e pugni in faccia. Prima Gish, 1991, con quella Rhinoceros capace di ipnosi profonde, poi Siamese Dream, il primo vero capolavoro, e ancora, nel cuore degli anni novanta esce il magnum opus della band, quel Mellon Collie and The Infinite Sadness che è materia obbligatoria se sei nato prima del 1985. Poi il mondo-vampiro di Bullet with Butterfly Wings si incarna nello stesso Corgan: da Adore in avanti cambia l’iconografia, cambia il peso, cambia il secolo.
È un giro cinematografico, che inizia dal Melies di Tonight Tonight, passa per il Nosferatu di Murnau di Ava Adore e termina nella nuova immagine di Shiny and Oh So Bright, Vol. 1, vicino, vicinissimo alla Maria-robot di Lang in Metropolis.

“Billy, eravate una colonna, un totem della mia adolescenza, di grazia, spiegami cosa è successo. Dimmi perché il tuo nuovo disco mi porta fuori dalle rotte conosciute, dimmi soprattutto che cosa ci faccio sul furgone di Today in una sorta di racconto onirico autocelebrativo”.
Tace. Il maledetto ragazzo vestito da gelataio, compagno di tanti viaggi, serate, chiacchierate, condivisioni vis-à-vis che ai tempi di social c’erano solo i Distortion, mi guarda e non favella. 

Billy inchioda. Nel preciso istante in cui la mia schiena si stacca dal sedile mi sovviene un Buckle Up  di zio Gossard, ma è tardi.

Cruscotto. Nero. Dolore.

Scopro che i miei sogni sono a colori, rosso sangue sicuro, e che del dolore ho esperienza approfondita quanto basta per replicarlo alla perfezione. Riaperti gli occhi ho davanti un Corgan di bronzo, alto una decina di metri, un ibrido inquietante tra un buddha ipertrofico e una campana. Bocca spalancata, sembra l’oracolo di Chicago. Ai suoi piedi, legati come fu Carrie Fisher a Jabba The Hutt, stanno James Iha e Jimmy Chamberlin. Più o meno è la rappresentazione iconografica del rapporto di forze in Cyr. O del rapporto di forze tra Corgan e il mondo. Lui che questo disco lo ha suonato (quasi tutto) da solo, lui che, quando i due amici hanno osato far uscire qualche nota, si è appeso al synth come un Fantasma dell’Opera in crisi di astinenza. Anche i cori, ovunque cori, cori dappertutto.

Sono tentatissimo di chiedergli se basta che io batta i tacchi tre volte per tornare a casa, ma quando mai mi ricapita di provare a fare due domande direttamente all’ego di William Patrick Corgan? O potrei serenamente e plasticamente chiamarlo Spirito del Corgan Presente?

“Oh grande Oz, come ti è venuto in mente di abbandonare le chitarre in favore di loop degni della saga di MegaMan?”. No, forse questo lo irriterebbe. “Billy, ossequi. Non credi di aver esagerato con gli uptempo?”. No, no, ancora no.
“Billy, dopo Sheila e Martha, cosa è successo a Ramona? Non noti anche tu che sei andato fuori tema?”.
Fanculo. “Corgan, mi manchi”.

Ecco. Il punto è questo. Sai che sta arrivando un disco degli Smashing Pumpkins. Ascolti i mille singoli, e mentre arricci il naso speri sia solo una parte delle venti tracce a presentare distanza così siderali dalla loro produzione precedente. Insomma, nel mucchio ritroverò i miei amati. Invece no. Come una carbonara perfettamente impiattata, ma inquinata di prosciutto e panna, così Cyr sostituisce un immaginario, un gusto, un bouquet (mi si passi), con qualcosa di completamente diverso.
O anche no. Perché questo grasso album è molto più affine ai lavori in solitaria di Corgan. Qualcosa di Cotillions è percolato in Cyr, elettrificato, sintetizzato, magari mitigato dalla presenza di Iha e Chamberlin, ma ho ritrovato sonorità già sentite nelle solitudini del nostro Billy.
Pesante, come questa statua. Rimbomba, come questa statua. E ho letto di riferimenti ai difficili tempi moderni, di paternità e di responsabilità. La verità è che mi manchi, punto. Anzi, mi mancate. E in questo album mi è mancato il coraggio di urlare, maleducatamente, che la rabbia non è passata, semplicemente da topi in gabbia siamo passati a un livello superiore, fosse anche solo di conoscenza di sé.

Cyr invece sembra autocelebrarsi. Autocitarsi. Autoqualcosa così tanto che alla fine si avvita su sé stesso e scompare. Io ho perso il confine tra una canzone e quella successiva, in un continuum di elettropop così lontano dalla mia immagine degli Smashing Pumpkins che la labirintite è un possibile effetto secondario.
Ecco, caro Corgan, adesso hai la mia di rabbia.

Dissolvenza in nero.

So cosa accadrà ora, il mio livello onirico è munito di sceneggiatore privo di particolari fantasie. Temo solo la visione finale che lascerà lo Spirito del Corgan Futuro.

Esterno, notte, piove, davanti a casa. Parcheggiato sulle strisce sta un camioncino turchese dei gelati, pieno di schizzi di colore su una fiancata. Enorme, invece, la figura nera, incappucciata, che mi impedisce la vista della porta di casa. Insomma, Billy, cos’è, un revival di Adore?
Esce una mano scheletrica da sotto la palandrana.
In mano, o meglio, retto dalle ossa della mano destra sta un doppio LP. A stento leggo un minacciosissimo Mellon Collie vol. 2.
“Ti prego, VI prego, abbiate cura del nostro futuro insieme e di una certa eredità che andrebbe, almeno io penso così, rispettata”.
La figura grugnisce. Si gira. Sulla palandrana nera sta una scritta in bianco: ZERO.
Ripartiamo da lì, da zero. 

Mi sveglio. Cuffie accese, synth a pioggia. Ho bisogno di una cura, ho bisogno di tornare su quel furgoncino, ho bisogno di una carbonara come dio comanda.
Cyr lo lascerò a questo 2020, in questo buco nero senza ancora un indice, lo lascerò così com’è, ben impacchettato, ottime plastiche, tutto digitale.
Capita a tutti di inciampare, spero solo non lo si prenda per un bellissimo e spericolatissimo salto.

 

The Smashing Pumpkins

Cyr

Sumerian Records

 

Andrea Riscossa

Palaye Royale “The Bastards” (Sumerian Records, 2020)

L’essere umano adulto è il risultato di esperienze accumulate, ma sono i traumi, i momenti negativi che conducono la psiche a mettere in atto una serie di tecniche di protezione dell’Io per salvaguardare il bambino che c’è in noi.                                                                                                                        

Questi avvenimenti ci segnano in modo così profondo che la nostra psiche escogita sistemi per sopravvivere, e i più fortunati nascono con un talento particolare nel comunicare questo disagio: l’arte di esorcizzare il proprio dolore condividendolo.

È proprio questo bisogno che ha portato tre fratelli di Los Angeles, Remington Leith, Sebastian Danzig e Emerson Barrett (ovviamente cognomi d’arte, quello vero è Kropp) alla formazione di un gruppo nel 2008 con il nome di Kropp Circle, per poi cambiarlo nell’estate 2011 nel definitivo Palaye Royale (omaggio al luogo del primo incontro dei nonni).
Crescono influenzati dal rock, e dalle band alternative del momento. Uno stile malinconico, che spazia dall’emo punk e il rock classico, impreziosito dalla voce di Remington (che nel 2018 ha “prestato” la voce nelle parti cantate a Johnny Faust in American Satan, film diretto da Ash Avildsen).
Il primo singolo di debutto è datato 2012, ma la svolta arriva nel 2015 con la firma del contratto con la Sumerian Record e quindi un nuovo album (in cui compare Kellin Quinn degli Sleeping with Sirens).

Il 2018 vede l’uscita di un nuovo album, di un tour e della vincita come miglior artista rivoluzionario per il Rock Sound Awards.

L’anno seguente al gruppo si aggiunge Daniel Curcio, bassista. 

Quest’anno tornano con The Bastards, album anticipato dall’uscita del singolo Lonely, un sound rockeggiante contaminato dal ritmo R&B, una ballata sulla solitudine e la depressione, dove la voce suadente del cantante esplode poco prima del ritornello. 

Little Bastard, il primo brano, infarcita di malinconia e rock con un’ intro che ricorda vagamente Falling Down di XXXTentacion.

Sull’onda del hard rock si presenta Massacre, The New American Dream dal ritmo concitato, chitarre veloci e la voce di Remington che dimostra di saperci fare, diventando acida e corrosiva pur mantenendo una dolcezza intrinseca.

L’asticella del gradimento impenna in Anxiety, rock alternativo mischiato con elementi della musica elettronica, i 30 Second To Mars fusi con i My Chemical Romance. Passaggi rapidi da uno stile all’altro che culmina in un urlo devastante. Questo andamento rappresenta perfettamente la condizione di un portatore cronico di ansia, quando l’attacco è alle porte e puoi sentirlo scivolare sottopelle fino al punto massimo di resistenza per poi scoppiare in tutta la sua potenza repressa.

In Tonight Is The Night I Die, il quarto brano dell’album, è riconoscibile il tema di James Bond in un contesto ritmato che trasmette rabbia, dolore, dove il testo stesso della canzone assomiglia ad una lettera di addio, carica di disperazione e rassegnazione.

Il disagio del sentirsi incompresi, sfruttati a livello emotivo traspare in Fucking With My Head, la loro anima punk rock dilaga contagiando anche il pezzo seguente, Nervous Breakdown (brano adattissimo per il post quarantena). 

La ciliegina sulla torta, il pezzo più figo è la bonus track, Lord Of Lies, un vero delirio post punk, tra batterie incasinate, bassi impossessati, sirene come sottofondo e la voce di Remington che diventa demoniaca.

In questo nuovo album troviamo i vecchi traumi, dalla paura dell’abbandono alla depressione, passando per l’abuso di sostanze per arrivare a tendenze suicide, ma viste con l’occhio di chi è riuscito (almeno in parte) a sopravvivere. Di avere la libertà di non soccombere alle costrizioni della società.

C’è del talento, una buona coordinazione tra i vari strumenti. L’evoluzione si è compiuta attraverso la sperimentazione, il cambiamento. La crisalide si è schiusa, il loro vero essere si è liberato.                             

 

Palaye Royale

The Bastards

Sumerian Records

 

Marta Annesi