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Tag: teatro verdi

Fantastic Negrito @ Teatro Verdi

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• Fantastic Negrito •

 

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Teatro Verdi  (Cesena) // 19 Febbraio 2023

 

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Fontaines D.C. @ Barezzi Festival

È sabato sera, sono all’interno del Teatro Regio di Parma. 
Ho superato colonne ioniche, ho adocchiato Muse, un Apollo, Baccanti e sulla mia testa incombono Aristofane, Euripide, Plauto e Seneca. Attorno velluto e un pubblico abbondantemente over trenta, non ci sono abiti da sera e binocoli da teatro.
Il contrasto è già potente, da un palco laterale pende una bandiera irlandese.
Sul palco un telone con la grafica dell’ultimo album dei Fontaines D.C., A Hero’s Death. Caso vuole sia rappresentata una statua raffigurante un eroe del ciclo dell’Ulster.
Il gruppo nasce nel grembo del British and Irish Modern Music Institute di Dublino, appena quattro anni fa. Pubblicano due raccolte di poesie, la prima, Vroom, è dedicata ai poeti beat Jack Kerouac e Allen Ginsberg, mentre la seconda, Winding, si ispira alla tradizione irlandese: James Joyce e William Butler Yeats su tutti.
La setlist della serata è ampiamente annunciata. I ragazzi hanno solo due album alle spalle e durante il tour nel Regno Unito hanno eseguito le canzoni seguendo un indice ben preciso, con pochissime eccezioni. E sarà breve, perché non amano chiacchierare, quando sono sul palco.
Questo il contesto. Questo il menù.
Le variabili siamo noi, molti dei quali a digiuno da concerto da diversi mesi (anni?) e la reazione dei cinque davanti a un pubblico seduto, mascherato e comodamente alloggiato tra velluti e stucchi dorati.
Abbiamo il materiale esplosivo, l’innesco e il detonatore. Abbiamo alte aspettative e un bisogno disperato di ritrovare la musica condivisa dal vivo.

 

vezmegazine 350 fontaines dc andrea ripamonti teatro regio Parma 06112021

 

E infatti quello che attendevo, accade poco dopo.
A pochi metri da me, con una prepotenza stupefacente, la musica si riprende la sua parte fisica, carnale. Mi ero dimenticato di quanto fosse importante, di quale fosse l’impatto di un live. Il contesto aiuta, il cantante, Grian Chatten, fa il resto. Durante la prima canzone distrugge l’asta del microfono, ci rimette un dito, ma sembra posseduto dalle Muse del foyer, sembra lui stesso una baccante. Cammina, corre, le dita delle mani a seguire emozioni, parole, quasi che la musica la si possa toccare, mentre dal palco scivola verso il pubblico. Canta, enuncia, elenca, si sbraccia, si sdoppia, si perde. È uno spettacolo di furia e gioventù, è una guida tra le parole che escono a valanga, soprattutto nei pezzi del secondo album.
E mentre lui gioca a fare il pazzo, sbagliando raramente una nota, gli altri sono colonne che reggono una parte monolitica e precisa dello show, perché i Fontaines riescono a passare da pezzi puliti e precisi a veri e propri muri sonori, con testi e sottostesti, ricchi e opulenti, come durante la grassissima doppietta Living in America e Hurricane Laughter, cotta per l’occasione nello strutto e unta di Sangiovese.
Il vaccino mi consente di urlare Sha-Sha-Sha scevro di sensi colpa, e poi mi perdo senza vergogna nelle stanze più oscure dei loro pezzi più intimi , evocatori di fantasmi (Ian Curtis ieri sera era a teatro, sia chiaro) e di immagini quasi cinematografiche.

 

vezmegazine 482 fontaines dc andrea ripamonti teatro regio Parma 06112021
La musica ieri sera si è ripresa i corpi di chi la esegue, si è ripresa lo spazio di un palco. Anche l’asta del microfono, massacrata, maltrattata, spostata e abbandonata da Chatten diventa parte della band. Crea vuoto, crea attesa.
È un flusso di coscienza, sopra e sotto il palco. Ed è meraviglioso.
Così il pubblico scopre la sesta legge di Otis Day, quella che recita “qualunque natica, prima o poi, si stacca dalla sedia e inizia a ballare”, e quindi, vinto l’imbarazzo di farlo in un tempio, la platea rompe gli indugi e abbandona i velluti dei sedili. Alcuni raggiungono la più preziosa e artistica transenna della loro vita e l’unione tra gruppo e pubblico si completa. Aggiungiamo un paio di giri di pelle d’oca e direi che abbiamo saziato pancia e cuore. Il diaframma già era in festa nel risentire quel sano riverbero musicale.
È stato un ritorno alla grotta di Platone. Un ritorno allo spettacolo, alla proiezione della realtà, che di realtà ne abbiamo già presa sui denti un po’ troppa, da un paio di anni a questa parte. Solo tornando sotto un palco ho potuto sentire il reale peso di quella assenza. Attendere così tanto per tornare a rivivere un concerto lo ha però anche riempito di nuovi significati, lo ha reso ancora più speciale.
Cari Fontaines D.C., sarete la mia “seconda volta”, perché il primo vero concerto dopo una pandemia, credo, non lo si scorderà mai. Quindi, consiglio per gli acquisti: a marzo i ragazzi torneranno in quel di Milano. È quasi d’obbligo esserci. 

 

Andrea Riscossa

 

Setlist
A Hero’s Death
A Lucid Dream
Sha Sha Sha
Chequeless Reckless
You Said
I Don’t Belong
The Lotts
Living in America
Hurricane Laughter
Too Real
Big
Televised Mind
Boys in the Better Land

Roy’s Tune
Liberty Belle

 

 

Grazie per le foto ad Andrea Ripamonti e Rockon.

Il musical e l’Italia: School of Rock

•Quando il teatro diventa una scuola per passato e futuro•

 

Ho una tradizione a cui non posso proprio rinunciare, quando faccio tappa nella bella Firenze: gustarmi una doverosa cena a base di specialità toscane. 

Dentro quella roba c’è il senso della vita, amici miei. 

Guarda caso l’osteria di fiducia si trova proprio davanti alla mia meta, il Teatro Verdi di Firenze.

Il cameriere, ormai fidato, è sbigottito quando ammetto di non esservi mai entrata così, offrendomi il dessert, mi avverte sogghignando: “te lo dico, desidererai tornare indietro nel tempo per indossare un abito tutto luccicante, con orecchini di perle ed il libretto della tua opera preferita in mano. Entrando, ti renderai conto che il Verdi offre, già di per se, uno spettacolo in tutto e per tutto”.

Buono a sapersi; dovrò davvero scegliere tra il mio chiodo di pelle ed un vestito da Charleston?

In effetti il Teatro Verdi citato anche da Collodi nel classico Pinocchio è un tripudio di raffinatezza e fastosità, una location che farebbe perdere la testa a qualsiasi fan di Downton Abbey, me compresa.

Per questo è così dannatamente splendido ed inaspettato trovarlo brulicante di un pubblico formato da tantissimi bambini, che scorrazzano senza sosta tra le seriose poltroncine di velluto rosso. 

Questa sera, infatti, saranno proprio loro i veri protagonisti dello spettacolo, poiché di bambini si racconta: bimbi pronti a dire la loro, che agli adulti piaccia o meno.

Lo School of Rock diretto da Massimo Romeo Piparo è, infatti,  la storia del rockettaro incallito Dewey Finn (personaggio cucito addosso a quel mattacchione di Jack Black per l’omonimo film diretto da Sam White e riscritto per Broadway dal maestro del musical Andrew Lloyd Webber).

 

foto gruppo SOR Antonio Agostini min
Il cast del musical sul palco

 

Finn per sbarcare il lunario si ritrova ad ingannare il sistema fingendosi un insegnante per una delle scuole più prestigiose del paese, la Horace Green Alma Mater. Nel costatare quanto i suoi giovanissimi alunni siano davvero dei tipi tosti, Dewey  insegnerà loro l’unica cosa che abbia mai conosciuto e amato davvero: il rock, ovviamente. 

Scoprendoli incredibilmente portati per la musica formerà una band, chiamata School of Rock, e l’iscriverà alla battaglia delle band. 

I giovani musicisti apriranno il loro cuore al rock, stanchi di aver a che fare con genitori rigidi, assenti e incapaci di ascoltare le loro passioni e necessità, riconoscendo in quel buffo ometto del Signor Dewey uno sgangherato mentore, del tutto differente da qualsiasi altra persona adulta mai incontrata nella loro vita.  

Lo spettacolo è senza dubbio un grandioso inno al rock, che cambia pochissime carte in tavola rispetto all’omonimo film del 2003 ed è un piacere applaudire, ancor prima che il sontuoso sipario si apra, alla super band dal vivo che, ai piedi del palco, è già agguerrita e pronta a scatenarsi tra i brani originali ed i classici del rock che compongono la colonna sonora di School of Rock.

 

Matteo Guma e Lillo Petrolo min
Il cast in scena.

 

Le scenografie dimostrano immediatamente d’essere quelle di una capace e sapiente produzione, per nulla mancante rispettò ai cugini del West End.

Grazie ad istallazioni mobili curate nei dettagli, gli autori riescono a trasportarci nelle numerose location dello spettacolo: la caotica e sciatta camera da letto di Dewey, la sala prove incredibilmente convincente  e, vero fiore all’occhiello del reparto scenografico, la splendida Horace Green che sarà teatro di una vera rivoluzione, capitanata dai giovani e brillanti protagonisti.

Lo spettacolo prosegue ed il pubblico, abituato fino a quel momento alla vita scapestrata ed al mondo tutto pane e rock ‘n’ roll di Dewey, ha bisogno di qualcosa che lo ponga davanti alla dura realtà: non sarà facile ingannare la Horace Green dove regnano disciplina e contegno.

Con un brano che, in mezzo a tanti straordinari momenti di vero rock,  merita una menzione speciale per aver portato sul palco la  potenza della tradizione: insegnanti e studenti ci accolgono nella sala grande offrendoci una dimostrazione corale davvero emozionante, che ha il gusto del musical classico. 

Il contrasto tra la verve della nuova e vecchia Broadway e l’irriverenza del rock  è rafforzato dalle citazioni, più o meno evidenti, di spettacoli rappresentativi come Wicked, Annie, Matilda e Cats. 

Dopo un crescente susseguirsi di numeri che inneggiano al più sfrenato hard rock, entriamo nel vivo della rivoluzione con il brano melodico Se Solo Mi Ascoltassi, dove i piccoli rockers esternano tutto il loro dolore nel capire ogni giorno di più quanto i loro genitori, assuefatti dalla frenetica routine, non siano in grado di comprendere ed incoraggiare i loro sentimenti e sogni. 

Questo dovrebbe essere il momento “strappalacrime”, così viene chiamato nel musical e, data l’intensità trasmessa dalle voci, dagli occhi e dalle gestualità dai ragazzi lo sarebbe, se non fosse per la proiezione alle loro spalle, che va a sostituire l’asettico sfondo nero delle produzioni straniere. 

Difficile ammetterlo, ma la commozione e l’empatia sono totalmente smorzati da questo screensaver, caratterizzato da fiori e farfalle, un po’ pacchiano. La scelta  a noi non è piaciuta.

Niente panico, perché sul finale entra in scena il meta-teatro. 

Con un riuscitissimo espediente drammaturgico, il pubblico del teatro Verdi si trasforma in quello della battaglia delle band che, totalmente impazzito per lo spettacolare concerto interamente suonato dal vivo dai ragazzi canta, balla e salta, posseduto da quella frenesia che solo il dio del rock può regalare.

 Il risultato è la vittoria indiscussa  dei ragazzi con il brano The School of Rock.

La scelta di Pasquale Petrolo, in arte Lillo, per il personaggio di Dewey è inaspettatamente assennata, praticamente perfetta. 

 

DSC8582 min
Pasquale Petrolo, in arte Lillo.

 

Inizialmente, alla vista della locandina dello spettacolo dal titolo Lillo – School of Rock la reazione non è stata del tutto positiva.

E’ lecito storcere il naso con pregiudizio quando un personaggio famoso come Lillo viene lanciato nella mischia di un progetto che non tratta propriamente il suo campo, con il solo apparente scopo di raccogliere audience da parte di un pubblico italiano troppo confuso e rinunciatario quando si tratta di musical. 

Si è portati a pensare che, nonostante le tante abilità e la grande esperienza che Lillo ha maturato nel mondo dello spettacolo, sarebbe più appropriato affidare una parte così significativa ad un performer che, per anni ed anni, ha dedicato la sua formazione in quel particolare ramo dello spettacolo che è il musical. 

Molti attori, ormai, vengono sacrificati a causa della volontà delle produzioni di inserire nel cast un famoso specchietto per le allodole. 

In questo caso però, dobbiamo ammetterlo, Lillo convince e conquista.

Occorre dimenticarsi delle performance di Jack Black e del suo “sostituto” nella produzione di Broadway, Alex Brightman: artisti dal carattere tanto esuberante quanto invadente. 

Un Lillo evidentemente emozionato, preparato nel suonare la chitarra, cantare e ballare, con la direzione di Piparo plasma il personaggio di Dewey a sua immagine e somiglianza, rendendolo meno seccante, più bonario, ma ugualmente capace di creare quel contrasto stilistico e generazionale tra il professore e gli studenti.

Già, gli studenti. Quel palco è totalmente ricoperto da quegli splendidi diamanti di talento che sono i ragazzi dell’Accademia Musical Sistina: appassionati, sensazionali, dinamite pura. 

 

foto gruppo Marco Rossi min
I piccoli protagonisti.

 

Cantando, suonando e ballando rigorosamente dal vivo, reggono lo spettacolo sulle loro giovani spalle, svalicando di gran lunga il qualificatissimo cast degli adulti e conquistando i cuori degli spettatori che, grandi o piccini, sono rapiti dall’improvvisa voglia di fare headbanging alzando con fierezza il calice del rock.

Una storia, quella di School of Rock, assolutamente perfetta per il pubblico italiano, poiché capace di trasformare un intero teatro in una scuola per passato e futuro. 

Siamo tutti inevitabilmente alunni quando si tratta di imparare dai nostri errori e quei ragazzi la, sul palco, sono insegnanti pronti a gridare che niente e nessuno deve frapporsi tra loro e la realizzazione di un sogno.

Il rock è una filosofia, uno stile di vita, questo spettacolo lo racconta perfettamente” afferma Lillo “Dewey non vuole proprio diventare una rock star, vuole solo essere libero di vivere rock. Il rock è farsi sentire, non abbassare la testa, è musica legata alla ribellione. Sono proprio i volumi alti del rock che ti portano a dire “Ascoltami!”, che è quello che vogliono i bambini della storia. Il rock è stato fondamentale per generazioni.”

Si percepisce fortemente, da parte di School of Rock e di quello che rappresenta, la grande volontà di trasmettere un messaggio potente a quei genitori che non trovano nella strada del musicista o del performer una valida alternativa a qualsiasi altro lavoro per il proprio figlio, perché di questo stiamo parlando. 

In Italia una carriera nel mondo dello spettacolo è troppo spesso sminuita, derisa, molto di più che nel resto del mondo, vi assicuro. 

Il pubblico italiano è così rapito da School of Rock perché tocca le corde giuste. Ci sentiamo chiamati in causa, proviamo empatia, ci affezioniamo e, alla fine, la speranza prende piede, rimanendoci aggrappata anche usciti da teatro, nonchè nei giorni successivi, mettendo profonde radici.

Ho passato il post show dietro le quinte con i ragazzi del cast ed è stato incredibile rendersi conto della devozione dei genitori (quelli veri) per la passione e la professionalità dei loro figli. 

 

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Questa sono io nel dietro le quinte con il cast.

 

Questo, è il caso di dirlo, è quello che vogliamo per le generazioni future: un mondo dello spettacolo sostenuto dalla società, un mondo dove gli artisti, quelli veri, avrebbero la possibilità di trovare la loro strada, senza il costante timore d’essere sottovalutati, maltrattati e di non essere ascoltati. 

La pagella di School of Rock è piena di bei voti, non perdetevi le prossime date!

Valentina Gessaroli

Morgan & Megahertz

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Morgan & Megahertz @ Teatro Verdi (Portofranco RockParty)  – Cesena // April 21, 2018

 

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Thanks to Color Sound & Teatro Verdi Cesena

 

 

 

 

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Willie Peyote

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Willie Peyote @ Teatro Verdi – Cesena // April 6, 2018

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Thanks to Retro Pop Live, Antenna Music Factory and Big Time Ufficio Stampa per la Musica

 

 

 

 

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