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Tag: the winstons

The Winstons ft. Mick Harvey “A Man Happier Than You”

Paesaggio lacustre accompagnato da una chitarra malinconica.

Bianco e nero, occhi neri che si alternano a luminosissime luci al neon.

Così inizia il viaggio del videoclip di A Man Happier Than You, brano contenuto in Smith (2019) de The Winstons accompagnati dal magico Mick Harvey (Nick Cave and the Bad Seeds).

Il brano è il risultato di un lavoro corale, impegnativo e “internazionale” (è stato registrato tra Londra, Milano e Melbourne) e a causa della pandemia anche il videoclip è stato filmato e assemblato “a distanza”, che è il tema chiave della canzone.

Due persone che dopo anni di lontananza si ritrovano a parlar delle loro vite, delle disavventure e delle gioie.

La nostalgia del testo, l’unione perfetta degli strumenti e con la splendida, calda, avvolgente voce di Mick Harvey che si sposa perfettamente con lo stile rock psichedelico del side project di alcuni membri degli Afterhours (Roberto Dell’Era aka Rob, Lino Gitto aka Linnon ed Enrico Gabrielli aka Enro) fa di questo brano un piccolo capolavoro.

Tre fratelli in pratica, cresciuti con una visione della musica molto vera, essenziale. Studiare suoni per evocare emozioni nell’ascoltatore, usare la voce e gli strumenti per riportare a galla sentimenti che credevamo perduti, sommersi nell’indifferenza della quotidianità.

Sul finire del videoclip il paesaggio diventa viola, ne segue un monologo sulla felicità da accapponare la pelle.

Consigliabile ascoltarlo con le cuffie, di sera, sdraiati al fresco a rimuginare su vecchie (e nuove) ferite.

 

 

The Winstons ft. Mick Harvey

A Man Happier Than You

TARMAC / Rokovoco / Sony Music

 

Marta Annesi

The Winstons “Smith” (Tarmac\Sony, 2019)

“Il metodo per fare le cose è quello di non pensare troppo. La libertà d’azione è l’unica che fa stare bene, e il rapporto umano è l’unica vera preziosa scuola compositiva. Alcuni definiscono questa attitudine Rock’n’Roll. Altri semplicemente vita.”

Non è una frase di Bukowsky né di un qualche santone indiano, bensì di tre fratelli lombardi, The Winstons (Linnon, Rob e Enro, pseudonimi) i quali scagliano così la bomba del loro ultimo lavoro discografico, a distanza di tre anni da The Winstons (album d’esordio nel 2016).

Stiamo parlando di Smith (probabilmente da Winston Smith, protagonista di 1984, di George Orwell; ma anche un gioco di pronuncia con The Winston’s Myth band jazz/soul americana anni ‘60) uscito il 10 maggio per le piattaforme virtuali, oggi 31 maggio invece, in formato fisico.

La loro misticità verbale è accompagnata da abiti bianchi, contrapposti ad uno spirito canterburiano, una voglia matta di mischiare le carte (musicali) in tavola e stravolgere così la concezione stessa di musica. 

Bassi graffianti e striduli, tastiere dal sound penetrante e batterie martellanti, accostati ad atmosfere classiche contraddistinguono questo disco del power trio più enigmatico della scena indie italiana.

Impossibile “etichettare” questa band, poiché il loro lavoro è un amalgamarsi di stili e di generi musicali.

Ci fanno salire su una DeLorean, catapultandoci direttamente negli iconici anni ‘60/’70: le nostre ossa scricchiolano per l’umidità del Kent e il nostro cuore è stravolto dal fango di Woodstock, in piena rivoluzione musicale.

La loro peculiarità risiede nella bravura di non scadere nella cover, o nel revival; piuttosto possiedono la capacità di modernizzare le origini del Rock, trasportandolo nel 2019. Lo stravolgono e lo fondono con generi lontani dal progressive rock, come può essere la musica classica o jazz, il tutto infarcito con del buon vecchio grunge di Seattle.

Mokumokuren, primo brano dell’album, in Giapponese identifica un fantasma casalingo che nasce dagli squarci nelle pareti di carta, tipiche delle abitazioni di questo paese. Gli occhi dello spettro appaiono dalle fenditure, spaventosi, i quali si limitano a esaminare l’interno della vostra abitazione. 

Ecco l’intento di questa band: attraverso l’intro psichedelico e in crescendo, crea pertugi nel tessuto della musica contemporanea dai quali noi possiamo spiare all’interno, regalandoci l’opportunità di scoprire qualcosa di nuovo, fungendo da Ciceroni in questo viaggio psichedelico al di fuori della normalità a cui il mercato musicale è abituato.

Pezzi come The blue traffic light ci danno l’impressione che i Beatles si siano cimentati in un ménage a trois con i King Crimson e i Pink Floyd. E nella mischia si sia ritrovato invischiato anche Nicola Piovani.

L’album alterna pezzi melodici, dove vengono musicalmente chiamati in giudizio i Ragazzi di Liverpool come Blind o Not Dosh for Parking Lot, decisamente in stile beat anni ‘60, o Around the Boat dove abbandonano per 2 minuti e 9 secondi l’atmosfera psichedelica per regalarci una pausa malinconica, a pezzi più cazzuti come Tamarind Smile/Apple Pie, che presenta cambi di registri improvvisi e passaggi psichedelici non tradizionali.

Ci destabilizzano con l’uso di strumenti datati, poco pertinenti con lo stile rock della band come il sax in Soon Everyday, donando al brano un’atmosfera esoterica, e cori in pieno stile Ennio Morricone.

Il Canterbury Sound si palesa nella cooperazione con Richard Sinclar (bassista, chitarrista, compositore nonché fondatore dei Caravan) in Impotence, che combina il jazz rock, il pop al rock psichedelico, dando una connotazione surreale. 

Nic Cester (cantautore australiano frontman dei JET) firma Rocket Belt, impregnato di rock anni ‘60, con sprazzi vocali degni di Mick Jagger, tastiere impazzite sul finale,  pezzo allucinogeno e coinvolgente.

Imperdibile e stravagante, questo nuovo album è un ritorno al passato attraverso gli occhi (e le orecchie) di ragazzi che non hanno vissuto i mitici anni ‘60 dal vivo. Ci scaraventano in un universo di sonorità arcaiche, un calderone di spiritualità e trasgressione.

Una band completa, con uno stile forsennato, capaci di mischiare il Rock’n’Roll nella sua forma più pura ad un clima malinconico degno di Ennio Morricone.

 

The Winstons

Smith

Tarmac\Sony, 2019

 

Marta Annesi