Skip to main content

Tag: tre domande

Tre Domande a: Réclame

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Il progetto nasce dalla volontà di unire le sonorità elettroniche con quelle acustiche e di racchiudere il tutto all’interno di strutture pop. Le influenze che si mescolano sono molteplici e, soprattutto, cambiano con il passare del tempo. Sicuramente l’alternative rock contemporaneo, l’indietronica e tutti gli anni ’70 fanno parte del nostro DNA musicale. Il nostro punto di riferimento, per quanto riguarda la canzone italiana, è indubbiamente Fabrizio De André. Lo reputiamo uno dei capisaldi della canzone d’autore, non solo italiana ma mondiale. Altri autori italiani che ci hanno influenzato sono Paolo Conte, Lucio Dalla (soprattutto per questo disco) e, in generale, tutta la scuola cantautorale degli anni ’60 e ’70.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

La complessità del reale. Non crediamo che le canzoni, così come l’arte, debbano ricercare verità assolute, puntare il dito o dare giudizi tagliati con l’accetta. La canzone deve essere un confronto costante con il reale, con gli altri e con noi stessi. Soprattutto, bisogna sempre cercare di raccontare un qualcosa da più angolazioni possibili, offrendo sempre il contraddittorio, perché non c’è mai il bene da un lato e il male dall’altro e non c’è mai una soluzione semplice per questioni complesse.

 

Progetti futuri? 

La dimensione live è, sicuramente, la naturale prosecuzione del lavoro che abbiamo condotto in studio. Sicuramente, quest’estate intendiamo suonare e presentare il nuovo disco sul maggior numero possibile di palchi italiani. Il 18 Giugno proporremo, per la prima volta, il disco live a Roma presso il locale Le Mura Live Club. Le altre date saranno annunciate, a breve, su tutti i nostri profili social.

Tre Domande a: Lepre

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Tantissimi, tutti, anche quelli che non mi piacciono hanno una grande influenza… faccio un elenco pazzo… vado: il primo disco di Tricarico mi ha salvato in un momento tanto complicato e mi ha aperto un canale emotivo che utilizzo per la scrittura. Lo devo a lui. Poi c’è tantissima musica che ho ascolto e vivo e apprezzo e sono legato a tanti autori della mia generazione: Ale Fiori, Bianconi, Calcutta, Motta, Truppi… è una scena che mi piace e fare una lista è doloroso, ma ce ne sono davvero tanti. Ci sono tante cantautrici che mi fanno impazzire: Bilie Eilish, Fiona Apple, Regina Spektor, Björk. E poi le band: Battles, Radiohead, Tortoise, Blonde Redhead. E i maestri, geniali e visionari, Dalla e Conte.
Mi fermo, ma potrei andare avanti… ho cercato di fare una sintesi ma non è facile.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Tantissimi… davvero è pieno di persone che stimo…. se dovessi dire solo una persona direi Emma Nolde. Il suo disco è entusiasmante, il suo modo di scrivere, di cantare… e direi di stare al mondo, mi affascina, mi sveglia. Io le voglio bene.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Mi piacerebbe portare le canzoni di Lepre e del disco Malato a Fosdinovo, ad un festival che si chiama Fino al Cuore della Rivolta: è una festa partigiana che mi ha davvero colpito per l’energia che ho sentito. Ci sono stato con Giancane e Lucio Leoni, mi piacerebbe davvero tanto tornarci.

Tre Domande a: Glauco

Come e quando è nato questo progetto?

Glauco nasce dal piacere di fare rap. Facevo sempre freestyle e scrivevo canzoni, pensai di farne uscire una. Non pensavo sarebbe andata bene. Da lì ho iniziato a sentire di dover continuare ma non avevo i mezzi adatti per poter fare la mia musica. Per quanto mi riguarda il progetto vero e proprio è nato da un paio di anni, dal momento in cui iniziato a prendere consapevolezza di me stesso, più nello specifico da un anno a questa parte grazie anche all’incontro col mio produttore. Ora lavoro in team con persone competenti e sento di voler raccontare senza paura la mia vita.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Io, vera e provincia. Io perché indubbiamente viene da me e da come vedo e sento le cose. Vera perché è reale, non sparo cazzate, non parlo di ciò che qui non si vive, non parlo di pistole solo perché fa tendenza. Provincia perché vengo da un paese e questo lo porterò sempre con me. Penso che in un modo o nell’altro sia una cosa che traspare, mi piacerebbe essere la voce della mia gente. O meglio la voce di chi ha già voce e non sa usarla.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Il mio sogno sarebbe collaborare con Massimo Pericolo, amo la sua scrittura e anche lui viene dalla provincia come me. Il sogno ancora più grande Marracash.

Tre Domande a: Daniele Meneghin

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

I tempi in cui viviamo sono davvero particolari, ed è innegabile il fatto che le possibilità di fare cassa con la musica si sono ridotte molto. Penso però che non dobbiamo perdere di vista che fare musica, emozionarci con la musica sia una libertà che nessuno ci ha tolto, bisogna trovare modi diversi, ma la musica c’è, ed è sempre pronta a darci un sorriso, un’emozione, un conforto. 

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Sincera. Non ho mai fatto canzoni perché dovevo farle, ho sempre scritto quando ne avevo la voglia e la necessità, esprimendo il mio personale modo di vedere e vivere il mondo.
Radicata. Le mie canzoni parlano di me e di quello che vedo mentre vivo, quindi sono lo specchio del mio quotidiano ben radicato nella mia area geografica che è il Nord Est.
Libera. La mia musica sono io, senza mediatori, senza stare tanto a pensare chi devo accontentare o no, libera nei concetti, libera nella forma.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché? 

Siamo Uomo dal mio ultimo album Gesto Atletico uscito per Adesiva Discografica. Il brano è un autoritratto indiretto e racconta delle difficolta da superare per rendere il quotidiano speciale. Nell’intero album ci sono dodici piccoli gesti atletici raccontati in altrettante canzoni, Siamo Uomo ne è il capolista, anche per questo è stato il primo singolo uscito a rappresentare tutto il lavoro.

Tre Domande a: D.In.Ge.Cc.O.

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Premetto che sono stato sempre un melomane e che ho sempre ascoltato attentamente tutto ciò che poteva suscitare, in me, delle emozioni. Quindi ho ascoltato e amato di tutto, dalla musica classica al trash metal, senza fare distinzioni tra cosiddetta musica colta e popolare.
Posso dirvi che l’interesse e la passione per la musica elettronica, che poi è il linguaggio musicale con il quale mi esprimo, sono nati da bambino. Negli anni ’80 la new wave imperava. Alphaville, Depeche Mode, Duran Duran per citare i più famosi. Ma vi citerei anche i Visage, i Freur e i Pet Shop Boys, i Sigue Sigue Sputnik. Come non citare poi Jean Michelle Jarre, i Kraftwerk, Vangelis, gli Art of Noise e i nostri italianissimi Goblin, volendo rimanere sul genere “musica elettonica”, per intenderci.
Posso dire che l’amore per la disco music e per il funky, è nato ancora prima, quando davvero ero piccolissimo, così come anche quello per la musica sudamericana che tanto fa parte di questo ultimo disco. Alcune musicalità sono rimaste a livello inconscio da quell’epoca, magari perché ascoltate alla radio quando ancora ero in culla. I Bee Gees, Donna Summer, poi riscoperti anche più tardi negli anni. Per non parlare poi di tutte le sigle dei cartoni animati, soprattutto quelle dei cosiddetti “robottoni”. Pensate alla bellezza di un pezzo come Shooting Star, sigla di chiusura di Ufo Robot Goldrake, un pezzo electro funky straordinario. Poi sono arrivati gli anni dell’house e della techno. Prima ancora ho amato i primi dischi della R&S Records, un’etichetta belga (quella col cavallino tipo Ferrari, per intenderci) che ha fatto storia. E poi l’esplosione della house music. Tra tutti Frankie Knuckles, Masters at Work, David Morales, Todd Terry.
Ho però capito che la musica elettronica sarebbe stata la mia strada, con la nascita della cosiddetta Intelligent Dance Music. Chemical Brothers, Daft Punk, e poi tutto il gruppone della Warp Records: Plaid, Aphex Twin, Boards of Canada.
Ho amato Björk e i Primal Scream di Screamadelica con il geniale Andrew Weatherall.
Tra gli autori di musica elettronica più recenti mi piace molto il francese Rone così come Jon Hopkins, Floating Points e Flying Lotus. Mi piace molto anche Anna Meredith. Se poi parliamo di indie adoro gli Arcade Fire e gli MGMT. Beh, insomma, tante citazioni e tanti sono gli artisti che mi hanno influenzato, tra i nomi che vi ho citato. Poi, però, bisogna anche fare i conti con tanto altro. Dalla classica al Jazz al Pop. Da David Bowie a Brian Wilson, dai Beatles a J.S.Bach, sino a Franco Battiato, ma sforiamo in un mare magnum fatto di monumenti della storia della musica che, inevitabilmente, hanno influenzato tutto quello che è venuto durante e dopo.
Per quanto riguarda, in modo specifico, questo ultimo lavoro, Bacanadera, vi posso citare però alcuni nomi in particolare, relativi alla musica sudamericana e non solo.
Primi tra tutti Chico Buarque e gli MPB4, ma anche il primo Ennio Morricone così come Carmencita Lara, una leggenda in Sud America, è stata una cantante peruviana di huaynos, marineras, polka e valzer.
Mi pare che l’elenco degli artisti a cui mi ispiro possa bastare! In fondo se ascoltate attentamente Bacanadera, un pizzico di un po’ tutti ce lo trovate dentro. Ma credo che in ogni creazione di qualsiasi musicista, ci sia un po’ della musica che è stata in grado di provocargli emozioni, anche solo per una volta nella vita.

    
Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Evocativa: perché credo che la musica debba essere capace di trasportarti altrove, di farti volare con l’immaginazione ed i suoni. Di evocare stati d’animo ma anche atmosfere e luoghi, magari lontani.
Emozionante: perché faccio musica per emozionarmi ed emozionare. È il mezzo con il quale cerco di mettere a nudo alcune mie sensazioni ed emozioni ed il mio mondo interiore. Se un brano musicale non è in grado di suscitare emozioni, qualunque esse siano, allegria, malinconia, rabbia, stupore, beatitudine interiore, allora significa che  non ha seguito la sua vocazione principale. Poi molto dipende anche dal livello della sensibilità dell’ascoltatore.
Futuribile: quando faccio musica cerco sempre d’incamminarmi in dei sentieri scoscesi, poco battuti o mai battuti prima, pur di cercare soluzioni innovative, nuove vie, aldilà delle mode e delle tendenze del momento. Certamente facendo tesoro della grande fonte d’ispirazione che è la musica del passato e contemporanea, ma sempre cercando una mia modalità di espressione, guardando molto al futuro. 


Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Viviamo in un’epoca che non ci lascia mai il tempo per dedicarci a noi stesi. Siamo presi dalle mille cose da fare, da una routine alienante, dall’interpretare al meglio i ruoli sociali che siamo costretti a recitare ogni giorno, cambiando maschera in base all’occorrenza.
Sono stato sempre convinto che la musica è uno strumento che è in grado di collegarci con il lato spirituale dell’esistenza. Lo è sempre stato sin dalla notte dei tempi.
Quindi, in chiave moderna, contemporanea, vorrei, con la mia musica, tentare di svegliare le coscienze dal torpore, trasportarle in un mondo magico, fatto magari di ritmi tribali e suoni futuribili, un mondo onirico ricco di spiritualità, di ritualità e di ancestrali evocazioni. Vorrei che la mia musica risvegliasse il lato spirituale dell’ascoltatore, che fosse uno stimolo magico per indurlo alla ricerca di nuovi stati di coscienza, guardando dentro se stesso innanzitutto, vorrei che facesse da tramite tra tutto ciò che è visibile e tutto ciò che è invisibile. 

Tre Domande a: Guzzi

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Ciao ragazzi! Se proprio devo scegliere un artista solo scelgo Mobrici. Lo seguo dai tempi dei Canova e mi rivedo tantissimo in quello che scrive e nella maniera in cui si racconta. Credo che sia un cantautore vero, uno di quelli che seguono ancora le scie delle canzoni per vocazione.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Se dovessi scegliere un brano per raccontarmi al meglio punterei tutto su La Notte Porta Consiglio, perché forse è quella che racconta al meglio un potutto di me, ironico ma anche malinconico, socievole ma a tratti disperatamente bisognoso di solitudine. La solitudine quella buona però, quella che poi ti fa apprezzare di più la compagnia degli altri.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui ti piacerebbe partecipare?

Sogno il festival di Sanremo da tutta la vita. Penso che se mi chiedessero due dita della mano in cambio di una partecipazione al Festival accetterei in meno di un minuto.
Ho avuto la fortuna di arrivare tra i finalisti di AreaSanremo due anni fa, ma il fatto di non aver vinto forse mi ha fatto capire ancora di più quanto in realtà io desideri partecipare al festival italiano per antonomasia. Sanremo per un musicista è come Wimbledon per un tennista, parteciperesti anche se sapessi in anticipo di arrivare ultimo!

Tre Domande a: Nathan Radovic

Com’è nato questo progetto?

Non posso realmente dire che questo progetto sia “nato” da qualcosa in particolare. Tutto quello che ho fatto nel passato, dalla prima nota strimpellata sul pianoforte di mia nonna ai miei attuali esprimenti da produttore autodidatta mi hanno portato a questo punto della mia crescita artistica. Sicuramente il lockdown di due anni fa è stato un momento catartico. Come sempre nei momenti dove paura e incertezza potrebbero prendere il sopravvento quello che faccio è rifugiarmi nella musica. E per la prima volta dopo molti anni mio malgrado con un sacco di tempo a disposizione, mentre la vita frenetica di tutti i giorni aveva subito un brusco stop.
Ho ascoltato, cercato, provato sonorità nuove e scoperto quello che non avevo mai fatto sino ad ora: le mie radici più profonde. Sono nato a Trieste ma la mia famiglia originariamente ha radici serbo-croate. Ricordo che durante le videochiamate con i miei genitori su FaceTime abbiamo ripercorso tutto l’albero genealogico. Da lì ho iniziato ad ascoltare e riascoltare la musica proveniente delle mie terre: da Bregovic (mio papà è un suo grande fan e l’abbiamo visto circa una decina di volte dal vivo) ai Balkan Beat Box. Nello stesso periodo ho conosciuto Alberto Ladduca che da subito ha sposato il progetto che avevo in mente: unire le sonorità balkan con l’elettronica. Si è poi aggiunto anche Giacomo Carlone e ne è nato un vero e proprio brainstorming, o dovrei dire una tempesta di musica, dove ciascuno di noi è riuscito con il suo contributo e le proprie competenze a rendere reale qualcosa che prima era solo nella mia testa.
Zagabria è solo il primo singolo di questo nuovo progetto.

 

Cosa vorresti fare arrivare a chi ti ascolta?

Zagabria parla di un viaggio ma non necessariamente di una meta. Dovrei dire che parla di un percorso. A volte sentiamo il bisogno di percorrere kilometri non tanto per andare altrove quanto per interiorizzare qualcosa. La canzone ad un primo ascolto parla di un amore, forse perduto, sicuramente lontano. In realtà parla dell’Amore e di tutti gli amori. È un viaggio di cruda analisi di se stessi. Senza indorature, senza accondiscendenze ma anche senza giudizi. Perché solo capendo se stessi, i propri errori come anche le proprie imprescindibili necessità, solo così si può raggiungere l’Amore. In primo luogo l’amore per se stessi.
Anche a livello di arrangiamento musicale l’intento è quello di suscitare emozioni. Ad esempio il moog (per me uno dei migliori synth mai esistito) quando parte è un vero e proprio tuffo al cuore, e non solo sonoramente. L’instrumental inizia come una tranquilla ballad ma poi cambia ed esplode con l’energia delle danze gitane amate da Battiato. Questo è ciò che voglio far arrivare: un ballo emozionale.

 

Progetti futuri?

Dopo Zagabria sono già pronti altri singoli dello stesso progetto. Nel frattempo in brevissimo tempo uscirà anche il video della canzone diretto da Philipp Berezin – è un giovane regista russo di grande cuore e con tanta arte dentro. Ci siamo trovati molto in sintonia e sono super orgoglioso di aver potuto collaborare con lui. Poi spero di poter passare del tempo nella mia città natale per assorbire nuovi impulsi. Trieste è da sempre una città cosmopolita, crocevia di popoli e non di meno città di mare. Il suo essere poliedrica è la cosa più bella. Ovviamente vorrei anche portare tutte le canzoni dal vivo: finalmente stanno riaprendo i concerti e non vedo l’ora di poter vedere le reazioni “live” del pubblico. E’ una cosa che mi elettrizza. Finger crossed.

Tre Domande a: Ave Quasàr

C’è un artista in particolare con cui vi piacerebbe collaborare?

Il primo artista che mi è venuto in mente è Caterina Barbieri. Siamo legati alla musica strumentale e lei è meravigliosa sia dal punto di vista della ricerca che da quello della scrittura. Mi piacerebbe molto far curare un brano da una musicista così distante dalla forma canzone pop. La voce è un suono ma il significato delle parole la posiziona sempre su un piano di ascolto immediato. Mi piacerebbe vivere un’esperienza di produzione della voce insieme ad un musicista che si occupa principalmente di musica strumentale, sarebbe sicuramente un percorso nuovo e pieno di sorprese. 

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Direi FollaFoglia perché è la canzone che rappresenta al meglio il nostro presente ma anche il nostro futuro.

 

C’è un evento, un festival in particolare a cui vi piacerebbe partecipare?

Beh, sono tanti i festival a cui ci piacerebbe partecipare. Quest’anno siamo orgogliosi di presenziare ad Inchiostro Festival. Sonorizzeremo le battle tra illustratori la sera del 4 Giugno. Andate a cercarlo e rimanete aggiornati: http://www.inchiostrofestival.com
È un festival che accoglie tra i migliori illustratori, calligrafi, artisti e stampatori d’arte dall’Italia e dall’estero.

Tre Domande a: Floridi

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Vera, malinconica e senza tempo.
Vera perché quando scrivo mi lascio andare senza filtri, il mio approccio è sempre molto istintivo al foglio di carta o alle note vocali, però sono molto organizzato quando si tratta di affrontare un lavoro autorale, lascio fluire, lascio fluire ma poi in un determinato momento incanalo il tutto e chiudo il pezzo che poi magari riprendo in mano diverse volte nei giorni/mesi seguenti.
Malinconica perché le canzoni rispecchiano il mio carattere e di natura sono tendenzialmente un malinconico, con una buona dose di ottimismo, ma comunque un malinconico.
Senza tempo può sembrare pretenzioso, lo so, ma il messaggio che voglio far passare è che in realtà scrivo, compongo fregandomene altamente di quello che funziona in playlist o quello che va su tiktok, se funziona più l’indie o l’R’n’B, il mio obiettivo è far arrivare la mia musica al cuore di chi ascolta senza etichette di genere, senza l’hype di un social, voglio che sia diretta, senza compromessi.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Mi piacerebbe scrivere un album, una canzone con Cesare Cremonini, analizzare il suo approccio alla scrittura, alla composizione. È un artista che stimo e seguo da sempre, ho apprezzato tantissimo la sua evoluzione artistica e sarebbe davvero un sogno poter fare un feat con lui.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Sceglierei Murakami perché è la mia seconda rinascita artistica, la seconda possibilità dopo un periodo duro, difficile da comprendere e gestire psicologicamente come gli ultimi due anni. Non ho avuto fino in fondo la possibilità causa covid di poter promuovere l’album in uscita nel 2020 e mi sentivo davvero frustrato per questo. Ho provato a farmi forza e ripartire dalla cosa che amo più fare, scrivere canzoni. Murakami è nata di notte, in videochiamata, durante il mio periodo di quarantena. L’ho scritta insieme a Niccolò Dainelli amico e come lo definisco io “CollaborAutore” e poi è stata prodotta interamente da Davide Gobello. Murakami parla di leggerezza e del suo potere terapeutico nelle nostre vite così incasinate. Murakami mi ha aiutato ad affrontare qualcosa di complesso, per questo ve la consiglio e spero tanto che vi ci possiate ritrovare.

 

Un abbraccio amiche ed amici di VEZ.

Tre Domande a: Bipolar

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?
Penso che la pandemia abbia danneggiato molti più artisti affermati che emergenti, l’attenzione sui social e la fame di nuovi contenuti era talmente alta che ha favorito tutte quelle figure che “non avevano niente da perdere”, quindi senza album in uscita, in-store o un tour.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

Nostalgica, dettagliata e vera. Non riesco a scrivere un concetto o una situazione se non la vivo in prima persona. Con la musica riesco ad esprimermi al 100 %. Non sempre mi trovo a mio agio tra la gente, ma quando sto in studio a registrare, o scrivo qualcosa di nuovo che poi registro, mi sento vivo, e soprattutto vero.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

I social sono necessari ma non sono tutto. Servono a condividere l’immaginario e non a crearlo. Ultimamente le persone si lasciano trasportare dai social, e da quello che vedono. Se ci pensate, non tutti i social sono specchio di verità quanto lo sono altri momenti, come un live, o un talk show. I social, ad esempio instagram, rappresentano solo i successi e la parte più bella delle persone, ma nascondono i fallimenti. È importante avere un programma di utilizzo, ma non puntare tutto su questo.

Tre Domande a: Pitch3s

Come e quando è nato questo progetto?

Pitch3s nasce concretamente nell’Agosto 2020 dal nostro primo incontro, il quale inizialmente aveva uno scopo didattico (essendo due batteristi che seguivano con interesse l’uno il lavoro dell’altro, ci incontrammo per studiare). Una volta in studio, alla fine, non toccammo neanche una bacchetta, chiacchierammo e ascoltammo tanta musica, scoprendo di avere in comune l’amore per alcuni artisti tra cui Thom Yorke, Apparat, Battles, il primo James Blake. Decidemmo di buttare giù qualche idea e dopo otto mesi ci ritrovammo con due brani finiti e sei bozze aperte. 

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Ci piacerebbe che l’ascoltatore che si imbatte o che cerca i Pitch3s possa provare le stesse emozioni che viviamo quando scriviamo qualcosa o quando riascoltiamo ciò che avevamo da dire. Che si immedesimi con ogni centimetro della mente e del corpo, e se ciò non dovesse accadere, semplicemente che trovi piacere nell’ascoltare la nostra musica, che la trovi anche esteticamente interessante, accattivante, travolgente. 

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché? 

Probabilmente Agafia, perché rappresenta appieno da un lato il nostro modo di prendere un argomento che ci ha particolarmente colpito direttamente o indirettamente, di metabolizzarlo, trasformandolo in suoni e parole che ci rimandano ad esso; dall’altro, il punto d’incontro ideale del nostro gusto musicale condiviso, il prodotto degli ascolti e delle esperienze che ci accomuna, una sorta di manifesta della nostra idea di fusione tra elettronica e pop.

Tre Domande a: Bia Rama

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

La prima parola che scegliamo è “incontro” perché è quello che è successo alla nascita del nostro progetto, è quello che succede ogni volta che suoniamo assieme ed è quello che succederà sempre in futuro. È una parola che può avere più significati, anche per questo è stata la prima che abbiamo scelto e quelli che più ci identificano ne sono due. Il primo e il “ritrovarsi”, cioè stare assieme, essere presenti tra persone che si percepiscono e che si sentono. Questa è una conditio sine qua non per portare avanti un progetto come il nostro, proprio perché riusciamo a trovare idee e spunti necessari alla nostra musica sopratutto dalle nostre diversità, dovute alle differenti esperienze che ognuno di noi vive, dai differenti stati emotivi che ognuno di noi prova e dai diversi studi e interessi musicali che ognuno sta portando avanti in quel momento. L’altro significato è come sostantivo, quello che viene spesso usato nelle competizioni sportive. Come un incontro di boxe, il nostro è stato un incontro musicale forte perché si è risolto spesso dopo momenti di difficile conciliazione. Tutti e tre ci siamo battuti, ognuno con una personale idea sonora, per portare avanti il proprio pensiero riguardo un arrangiamento, o delle soluzioni musicali, per la scelta di alcuni suoni o altro, sempre riguardo la musica. Poi, contrariamente a come si potrebbe pensare, la cosa divertente sta nel fatto che riusciamo sempre ad uscircene con una musica dove sono forti tutte e tre le diverse identità e idee musicali.
La seconda parola è “riscatto”. Questa motivazione può essere anche letta con una leggera flessione egoista, perché in un certo senso può riguardare la riscossa o l’emancipazione personale da qualcosa, nel nostro caso dal panorama musicale a cui apparteniamo. Comunque, sebbene valutiamo l’egoismo come un sano atteggiamento che ognuno di noi, nei giusti modi e nelle giuste quantità, dovrebbe avere, in questo caso il riscatto riguarda sopratutto il riscatto da noi stessi. Siamo convinti di avere tra le mani delle idee musicali interessanti e di poter realizzare, in potenza, qualcosa a cui teniamo tanto. Non perché siamo narcisisti e stravediamo per la nostra musica, come quasi tutti di rado siamo contenti delle nostre performance musicali. Faccio riferimento a fatto che siamo veramente appassionati a quello che facciamo, della musica che proviamo a realizzare, sopratutto perché nasce da un bisogno naturale che abbiamo e che si realizza realmente solo quando otteniamo un risultato musicale, che noi per primi dobbiamo ritenere all’altezza. Proviamo a riscattarci prima di tutto da noi stessi e dall’idea che abbiamo di noi.
La terza parola ve la regaliamo, perché in realtà già la prima ne vale due! Comunque questa è “complesso”, inteso come aggettivo. Riguarda la nostra musica ed è quello da cui, per certi versi, la maggior parte delle volte proviamo a scappare. Spesso ci hanno detto che la nostra musica è complessa. Da musicisti, e da ascoltatori, sappiamo che al mondo esistono migliaia di musiche terribilmente semplici che hanno però una forza inaudita. Può sembrare strano ma spesso è a quel tipo di musica, a quei ritornelli o a quel semplice giro di accordi, ciò a cui ci ispiriamo. La nostra è un eterna lotta per provare a rendere semplice cioè che per noi è complesso, mediante un intenso lavoro di arrangiamento e di ricerca sonora, oppure provando a rendere più naturale e musicale possibile una progressione ritmica. Siamo consci che la strada è ancora lontana ma ci stiamo provando!

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

L’idea del progetto nasce per trovare un posto, un luogo, qualcosa in cui ci si può esprimere senza compromessi, senza condizionamenti. Quello che vorremmo far arrivare al pubblico che ci ascolta è proprio questo. L’obiettivo che ci poniamo è quello di ricercare un qualcosa di autentico, che ci appartiene e speriamo arrivi al pubblico… vorremmo che la gente si emozioni, pianga, o rida con noi, e magari balli anche!

 

Se doveste scegliere una sola delle vostre canzoni per presentarvi a chi non vi conosce, quale sarebbe e perché?

Se dovessimo scegliere, Tightrope Walker sarebbe il nostro biglietto da visita.
Questo brano rappresenta un po’ il nostro “primo amore”. È, infatti, il primo inedito che abbiamo realizzato e segna il nostro incontro, la fusione e l’equilibrio tra noi tre,come identità artistiche,che vogliono emergere attraverso la ricerca di un sound che si muove tra influenze jazz, neo-soul, sonorità acustiche ed elettroniche.
È un brano che ci rende orgogliosi e ci emoziona ogni volta. Noi lo definiamo “un viaggio”: un viaggio di voci che si sovrappongono a variazioni ritmiche che evolvono, attraverso momenti, che arrivano ad un crescendo, musicale ed emozionale.
Tightrope Walker è la nostra anima che prende forma e non potrebbe che essere, a nostro parere, la scelta migliore da proporre a chi non sa di noi, con lo scopo di poter coinvolgere l’ascoltatore in questo mix elettrizzante e sognante.