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Tag: universal

The Zen Circus “Cari Fottutissimi Amici” (Capitol / Universal, 2022)

Tempo di bilanci

Per gli Zen Circus sembra arrivato il momento di tirare alcune somme e qual è il modo migliore per fare un bilancio se non con i tuoi amici più cari? Con gli amici di una vita, con quegli amici che potrebbero essere i tuoi fratelli minori e anche con gli amici che sono appena arrivati nel gruppo, perché è importante ascoltare anche le voci delle nuove generazioni.

Cari Fottutissimi Amici – e già il titolo mostra quanta confidenza ci sia in questa cerchia – è un disco immerso tra passato e presente, tra ricordo e consapevolezza. Ci sono picchi di nostalgia che vengono subito ridimensionati da uno sguardo verso il futuro sia nel sound, come si rivela ad esempio nella lunga coda strumentale di Caro Fottutissimo Amico (feat. Motta), sia nella scelta degli amici con cui condividere il microfono: da Speranza a Ditonellapiaga passando per Emma Nolde, classe duemila. 

Questo bilancio di quasi mezza età si esprime con i toni e con i generi più disparati, ma sicuramente predomina la consapevolezza di essere invecchiati. Si arriva a capire che la giovinezza ormai è passata, che i giovani d’oggi non si capiscono più, che si è diventati come i propri padri. Si guarda al passato con una nostalgia a metà strada tra il patetico e il romantico, come cantano in Ok Boomer (feat. Brunori Sas), traccia che apre il disco e serve da dichiarazioni di intenti: qui si parla anche di ciò che spesso non vogliamo sentirci dire.

E in questa consapevolezza non c’è rancore, quanto piuttosto disillusione. Una gran disillusione che accompagna quasi tutte le tracce del disco con immagini piuttosto nitide. Tre esempi su tutti: Voglio Invecchiare Male (feat. Management), Johnny (feat. Fast Animals and Slow Kids) e 118 (feat. Claudio Santamaria). In quest’ultima emerge proprio la stoica amarezza degli ultimi, di chi ha toccato il fondo e sa di essere usato dagli altri come termine di paragone per sentirsi meglio con se stessi. La voce di Claudio Santamaria è un contributo perfetto e rende la canzone particolarmente toccante e in un certo senso inquisitoria. 

Insomma, un disco eclettico ed eterogeneo accompagnato da un unico fil rouge che apre la strada a diverse riflessioni e si conclude con un finale inaspettato ma incredibilmente azzeccato. Salut les Copains (feat. Musica da Cucina) è una traccia esclusivamente strumentale in cui una serie di suoni prodotti con strumenti musicali e strumenti culinari creano un’immagine evocativa. Provate a immaginare mentre l’ascoltate: siamo in un salotto, o in un giardino se preferite, già che si avvicina l’estate. Si sta facendo tardi e dopo una bella serata passata insieme i nostri amici devono andare a casa. Si sparecchia, si tolgono le posate, i bicchieri, le bottiglie. I suoni di questo scenario sono esattamente questa musica qua. 

Perché in fin dei conti anche le serate più belle, con la miglior compagnia, prima o poi finiscono.

 

The Zen Circus

Cari Fottutissimi Amici

Capitol / Universal

 

Francesca di Salvatore

Rancore “Xenoverso” (Capitol / Universal, 2022)

Noi e l’altro

Parlare di questo album è complicato quasi quanto al liceo lo era parlare in modo improvvisato di cosa volesse dire Breton con le sue poesie surrealiste. Con Xenoverso, Rancore ha superato se stesso e qualsiasi aspettativa, già molto alte dopo il suo ultimo lavoro Musica per Bambini. Siamo di fronte a un viaggio difficile da decifrare, che ascolto dopo ascolto mostra nuove sfaccettature e nuove chiavi di lettura. Un diario di bordo che somiglia anche a un romanzo di formazione, una di quelle storie dove il giovane protagonista, lo stesso Tarek/Rancore a bordo della sua nave da cronosurfista, cerca di portare a compimento il suo percorso. 

C’è qualcosa di epico non solo nei testi dai toni concitati e quasi bellici ma anche nelle musiche, ancora più elaborate e curate dei lavori precedenti. Archi e tastiere si uniscono a elementi elettronici, perché d’altronde il futuro è già qui, tra viaggi nel tempo e tra le dimensioni. Tutto contribuisce a creare delle immagini così vivide da riuscire quasi a guardarle, ma allo stesso tempo veloci e difficili da decifrare, lasciando così solo atmosfere e sensazioni.

Si percepisce come queste diciassette canzoni vadano a comporre una storia complessa e studiata nei minimi dettagli, intervallata da due interludi parlati dove la voce di Tarek aiuta a contestualizzare meglio. Vengono lasciati ulteriori indizi per comporre il puzzle, si introducono nuovi personaggi in questa epica storia che è Xenoverso e che non possono non ricordarci alcuni archetipi della narrazione, dall’Aiutante al papabile Mentore. Ed è proprio grazie all’interludio che riusciamo finalmente a collocare la trilogia di singoli – Lontano 2036, X Agosto 2048 e Arkano 2100 – pubblicata a Marzo. 

Le storie ambientate nel futuro mantengono un sentore di passato e presente, declinazione di un eterno ritorno che emerge ancora più chiaramente in Federico, alter ego di Frederich Nietzsche che affianca il nostro protagonista nella terza traccia dell’album, dove si dipinge un’invasione di filosofi zombie. La vena colta e le citazioni – cifra stilistica di Rancore – sono ancora ben presenti e salde anche in questo suo ultimo lavoro.

Altro fil rouge che si lega al tema della battaglia è quello della comunicazione: quella tra Universo e Xenoverso, tra noi e l’altro, tra le parole che, in una scintilla di vita propria, arrivano fino a noi. Comunicazione già affrontata nel singolo Equatore, dove la collaborazione con Margherita Vicario ha portato alla luce una delle tracce più particolari e diverse dell’intero disco. 

Insomma, forse la difficoltà non sta tanto nel parlare di quest’album, quanto nel capirlo leggendo tra le righe. Le idee arrivano a chi ascolta con un certo décalage o addirittura si fermano prima perché incomunicabili, ma d’altronde le cose belle raramente sono immediate.

 

Rancore

Xenoverso

Capitol / Universal

 

Francesca di Salvatore

The Zen Circus “L’Ultima Casa Accogliente” (Polydor/Universal, 2020)

Negli ultimi mesi abbiamo sentito parecchio parlare di casa, forse troppo e forse nemmeno in modo così accomodante, ma piuttosto senza troppi fronzoli. Però, nel loro nuovo album L’Ultima Casa Accogliente, che arriva dopo un 2019 di festeggiamenti tra i vent’anni di carriera, i dieci del disco Andate Tutti Affanculo, l’omonimo romanzo e il Festival di Sanremo, gli Zen Circus reinseriscono questa parola in un altro paradigma, fuori dall’attualità: la casa diventa il nostro corpo – e prima ancora il corpo di nostra madre — con una marea di immagini che vi ruotano attorno. Un corpo che può essere prigione da cui volersi liberare, come in Catrame, o può essere rifugio e rassicurazione, specie se condiviso con qualcun altro. 

Certamente anche in questo disco si potrebbero trovare dei riferimenti a ciò che stiamo vivendo, ma ridurlo a questo pare un dispetto nei suoi confronti. Perché sì, è facile leggere un po’ di attualità in strofe come “Il cielo è un tetto sopra le case / quindi alla fine non usciamo mai” di Appesi Alla Luna oppure “quanto è difficile da immaginare / come una guerra dove non si muore /o una malattia che non ha sintomi e anche senza cura / non dà dolore” di Come Se Provassi Amore. Eppure, farlo sembra una cattiveria, quasi a togliere a queste canzoni quell’aura di poesia un po’ brutale che le rendono universali e non dovrebbero, quindi, perdere mai.

Già, perché se c’è una cosa che è da sempre parte integrante della discografia degli Zen Circus è la potenza che attribuiscono alle parole. Quella non cambia mai, forse è solo meno cattiva rispetto a dieci anni fa, quando cantavano Gente di Merda, ma resta comunque una forza brutalmente sincera nella sua poeticità.

Resta anche l’impegno, la volontà di far passare un messaggio che vada oltre e scuota un po’ le coscienze. Emblematica è la fine di 2050, che cerca di predire come sarà il mondo tra trent’anni piantando però il seme del dubbio: tutto quello che facciamo spinti dalla voglia di progresso servirà a qualcosa? “Abbiamo fatto tutto / abbiamo fatto niente” recita l’ultima strofa, alla fine di un climax che è un po’ anche il marchio distintivo dell’album. 

È raro infatti che queste canzoni seguano la struttura classica e ripetitiva di strofa e ritornello. Al contrario, e forse contro logica, è molto più facile trovare pezzi in cui tutto è un crescendo, dalla musica alla voce che si fa sempre più carica. C’è poco che si ripete, per lasciare invece spazio ad una sorta di tensione verso l’alto. Già si vedeva nel secondo singolo pubblicato, Catrame, dove le prime frasi sono addirittura cantate a cappella prima di lasciar spazio anche a chitarra e batteria, ma si sente ancora meglio in Non, che inizia con una base di pianoforte, per poi aggiungere gli altri strumenti uno alla volta. Anche la voce diventa sempre più forte, arrivando quasi ad urlare, per poi sfumare alla fine.

Insomma, un album più suonato che pensato, per citare la stessa band. Un racconto eterogeneo dove ogni pezzo ha la sua parte, ma alla fine tutti sono legati da un unico filo conduttore, da tante immagini comuni. 

E ascoltarlo, in qualche modo, lascia un po’ la sensazione di un ritorno a casa, ma una di quelle che si conoscono bene. In cui ci si sta volentieri. 

 

L’ultima casa accogliente

The Zen Circus

Polydor/Universal

 

Francesca Di Salvatore