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Fanta, Amore ed Europop: il Romanticismo anni ’90 de Gli Orzo

Maschere, costumi da unicorno ed un indie italiano con influenze anni ’90, sono questi Gli Orzo?
La risposta è NO. Si nasconde molto di più sotto questo progetto che ha fatto parlare di se dopo la breve apparizione alle audizioni di X Factor.
N. e F. (cosi ci danno il permesso di chiamarli) hanno scelto VEZ Magazine per rilasciare la loro prima intervista. Ecco com’è andata!

 

Ciao ragazzi e benvenuti su VEZ Magazine! Da dove nasce il progetto Gli Orzo e qual’è il significato delle vostre maschere?

N.: Gli Orzo sono nati fondamentalmente perché entrambi produciamo musica al Deposito Zero Studios di Forlì. Ci siamo trovati condividendo gli stessi spazi e il tutto è nato quasi per caso.

F.: Esattamente: è nato tutto su quel tavolo (ride ed indica il grande tavolo vicino noi). Volevamo farci un video ma non volevamo farci vedere.

N.: Si, è vero! È nato tutto su un tavolo con delle maschere fatte con dei bidoni della spazzatura. Volevamo fare un video cretino di una cover degli 883 (Con Un Deca ndr), con due tastiere, batteria elettronica ed una chitarra… ma poi ci siamo chiesti perché non potessimo fare anche qualcosa di più serio. E così, alla fine di ogni giornata, ci trovavamo a mettere insieme le nostre idee e lasciavamo andare la nostra creatività.

F.: La parte seria è iniziata dopo un po’: all’inizio era più uno sfogo, che partiva da noi ma in cui finivano per essere tirati dentro anche i nostri amici. Era una sorta di condivisione creativa.

N.: Il nome Gli Orzo è nato perché dovevamo trovare un anagramma con il nome dello studio nel quale collaboriamo (Deposito Zero Studios). Abbiamo deciso di prendere come partenza la parola zero, ma in realtà veniva orze e non ci suonava bene. Così è diventato orzo e successivamente Gli Orzo, che poi gli è plurale e orzo singolare: non abbiamo ancora capito perché sia uscito così (ride).

F.: Le maschere invece sono nate dal video di Senti-Menti, il primo singolo uscito. Nel video si vede una realtà alterata, in cui i protagonisti vivono da stesi su un lettino d’ospedale indossando i visori. All’interno dei visori vengono proiettate delle immagini, una sorta di realtà virtuale, e alla fine del video ci siamo anche noi indossando i visori in una sorta di cameo. Da lì abbiamo pensato che questa cosa potesse essere funzionale, che quello che noi vedevamo nei visori fosse un’altra realtà e che i visori stessi potessero essere un mezzo per trasportare la gente che ci ascolta nel nostro mondo, invisibile agli occhi ma percepibile con l’ascolto e l’immaginazione.
Questi visori sono poi stati perfezionati nel tempo fino all’ultimo prototipo (ride) che abbiamo portato ad X Factor: non è una cosa estetica ma concettuale.

 

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Da dove traete ispirazione per la vostra musica?

N.: Sicuramente arriva da tutto ciò che abbiamo ascoltato nella nostra vita, anche se non c’è una vera e propria ispirazione: non puntiamo né ad avere un risultato ben definito né vogliamo assomigliare ad un prodotto esistente.  E’ una fusione tra il mio mondo e quello di F. ed ovviamente alcuni ascolti comuni.
Non vogliamo emulare nessuno. Quello che abbiamo dentro lo facciamo uscire in produzione, mischiamo le idee senza avere una direzione del flusso, tutto viene lasciato libero. L’ispirazione è una non ispirazione: è inconscio come processo e molto istintivo, non ci mettiamo paletti.

 

Come definireste la vostra musica in tre parole?

F.: Lo slogan lo abbiamo già! Fanta, Amore ed Europop. La versione buonista di Sesso Amore & Rock’and’Roll. La Fanta perché ci ricorda la bibita delle feste delle medie, Amore perché siamo dei romantici e Europop perché è il genere che fonde un po’ tutto, è il sound che abbiamo ricercato nelle ultime produzioni.

 

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C’è qualche artista con cui sognate di collaborare?

N.: Dato che ci ispiriamo al mondo del passato forse ci piacerebbe collaborare con qualche artista che è scomparso dalle scene, magari anni ’80/’90… Ripescare un artista del passato, che ne so, tipo i Righeira, o comunque qualcuno di quegli artisti da cui la nostra musica trae origine come atmosfera, quella freschezza ed immediatezza che avevano le canzoni di quegli anni: sarebbe interessante duettare con artisti di quel periodo.

 

Qual’è il cambiamento che vorreste portare alla scena italiana con la vostra musica?

F.: La positività. Visti i contenuti che musicalmente vengono portati avanti in questo periodo, il nostro è un messaggio più fresco, più immediato e positivo. Vorremmo ricongiungere la musica con contenuti positivi, non banali come sole cuore amore, ma proporre positività attraverso il racconto di storie vere. Nella musica attuale c’è molto disagio e noi vogliamo parlare di cose felici. Adesso si dà spazio di più all’artista che deve raccontare la sua sofferenza, in tutte le cose; noi andiamo in direzione contraria e soprattutto lo facciamo con una nostra poetica, una positività immediata che descriviamo tramite immagini.

 

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Una canzone italiana recente che vi ha particolarmente colpito?

N.: Non mi ha colpito proprio un cazzo, il panorama italiano è molto povero purtroppo. Forse, a livello di suono, una delle ultime uscite di Jovanotti prodotte da Rick Rubin posso dire che sia veramente valida. 

 

Ora parliamo di X Factor, come avete vissuto questa esperienza?

N.: È stata una bellissima esperienza, divertente e soprattutto costruttiva, nel senso che ci ha fatto vedere come sono certe dinamiche del mainstream e della televisione. Ci sono molti limiti dettati dal contesto, che non premiano le peculiarità musicali o in messaggio che cerchiamo di trasmettere, tuttavia il format ha una sua coerenza e va preso per quello che è.
Questa apparizione ad X Factor ci ha portato molta visibilità e ci è dispiaciuto non procedere nell’avventura, ma sicuramente siamo fatti per un altro tipo di percorso, che non è quello prettamente televisivo, con le sue regole e dinamiche, e in fondo in fondo preferiamo essere rimasti liberi.  L’avere visibilità è comunque un rischio: ci sono arrivati una marea di insulti sulla pagina Facebook di X Factor. Gli insulti sono stati comunque bilanciati dai commenti super positivi che ci sono arrivati pubblicamente tramite la pagina del programma o in privato. Insulti e complimenti ci hanno fatto capire che il progetto ha del potenziale: questo ci ha sia tirato giù che rincuorato. La gente è stata affascinata dal progetto in maniera pressoché immediata, il ché ci ha fatto intendere che siamo sulla strada giusta. Tra l’altro, era la nostra prima vera apparizione: non avevamo fatto nessun live prima di quel momento.
La casa produttrice che fa scouting per X Factor ci aveva chiamati chiedendoci se volevamo partecipare e così abbiamo preso la palla al balzo. Forse siamo stati troppo frettolosi e superficiali, ma ci siamo detti: Facciamolo!
I giudici hanno comunque detto cose giuste, e siamo d’accordo con le loro scelte. Nonostante Mara Maionchi e Samuel non si siano esposti troppo, il dibattito era giusto ed eravamo pronti per quello che poi è stato.
Dai, il prossimo anno andiamo ad Amici o Italia’s Got Talent! (ridono)

 

E’ uscito da qualche giorno il vostro singolo Monella: il futuro cosa prevede? 

N.: Sarò breve: sono in arrivo tante belle cose positive. Restate semplicemente sintonizzati sui nostri canali!

Instagram: https://www.instagram.com/gliorzolaband/

Facebook: https://www.facebook.com/gliorzo/

Spotify: https://open.spotify.com/artist/4KMuALx9YlpuRhGu7yhiE9?si=2SGXBMjqQ7GAL7EyX3L7ow

 

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Intervista e foto a cura di Luca Ortolani

 

 

End of A Century: ce ne parlano Raffaele e Alessandro

Dal 2017 VEZ Magazine occupa il proprio posticino online.

E da quella data ho iniziato a leggere sempre più attentamente le webzine e qualsiasi tipo di magazine ci fosse online.

La qualità del lavoro in molti casi è davvero alta ed avendo collaborato con molte di queste durante il mio lavoro di Ufficio Stampa ho notato anche una grande professionalità.

Per questo motivo noi di VEZ abbiamo deciso di dare a questi magazine un giusto spazio sulle nostre pagine, per raccontarsi e farci sentire ancora più partecipi di questo meraviglioso mondo che è la musica.

Oggi abbiamo incontrato Raffaele Rossi e Alessandro Gennari che ci hanno aperto le porte del bellissimo End of A Century.

Buona lettura!

 

1) Quando avete fondato End of a Century e da che idea è nata?

End of a Century è nato nel 2013, prima su piattaforma free e poi dal 2017 con un proprio dominio e un sito strutturato. Il nome è ispirato a una canzone dei Blur, “End of a Century” appunto – per la mia grande passione verso il Britpop e in particolare per Damon Albarn e Graham Coxon. L’idea iniziale era quella di far arrivare le nuove sonorità di USA e UK al pubblico italiano (rimane ancora oggi il focus di EOAC), come fanno webzine più settoriali come Indie For Bunnies oppure Indie-Rock.it. Poi ho deciso di ampliare il target trattando anche musica italiana e altri generi come metal, elettronica e rock in generale (ma anche rap e trap) riuscendo così a coinvolgere alcuni amici appassionati di musica.

 

2) In quanti siete nello Staff e da quale realtà provenite? Nel senso, qual è il vostro lavoro?

Nello staff ci sono io, Raffaele, che sono editore e redattore: gestisco le mail, i rapporti con il pubblico e con i promoter, curo i social, gli articoli e mi dedico alla musica live. Decido tutto ciò che va sopra End of a Century. Dopo aver lavorato tra uffici stampa e altre situazioni extra musicali, ho intrapreso per passione questo percorso che ormai è diventato il mio lavoro stabile. Alessandro dirige Pianeta Scherma e lavora in ambito giornalistico sportivo; Michele è un appassionato di musica italiana e lavora stabilmente in redazioni sportive; Edoardo commenta la Superbike su Sky e adora la musica pesante; Gianluca è doppiatore e bartender, grande esperto di sonorità oltreoceano; Renato è l’unico vero giornalista tra noi, milanista e di stanza ad Amsterdam per lavoro. Eccoci!

 

 

 

 

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3) Quali sono le cose che EOAC ti ha “regalato” in termini di  soddisfazione e gratificazione? Puoi raccontarmi qualche evento o  qualche grande opportunità che vi è stata proposta o qualche realtà alla  quale avete partecipato?

Parliamo di un evento fresco, quest’anno siamo finiti nel backstage del Concertone del Primo Maggio a Roma, il più grande evento gratuito d’Europa. Emozione tanta ma ancor di più la curiosità. Ci siamo mischiati così ai professionisti, quelli veri. Sempre quest’anno siamo media partner di due importanti festival, uno del nord e uno del sud Italia: il Sexto ‘Nplugged a Sesto Al Reghena, in Friuli (con un cast internazionale: Billy Corgan, Sharon Van Etten, Michael Kiwanuka e Ex:Re) e il Mish Mash in Sicilia con un cast completamente italiano (Nada, Pinguini Tattici Nucleari, Eugenio In Via Di Gioia, Nitro). Direi non male dai. La gratificazione arriva ogni giorno che un ufficio stampa o un promoter ci nota, ci ringrazia e ci dà fiducia con un accredito, vuol dire che stiamo facendo bene il nostro lavoro ma la strada da percorrere è sempre lunghissima!

 

4) Da quando siete “su piazza” ci sono degli aneddoti divertenti che vi  sono successi? Se è si quali?

Un aneddoto divertente ricorrente rimane sempre quello di fare lo spelling del nome del sito ogni qual volta siamo a conferenze o presenziamo a concerti – End of a Century non è proprio un nome facilmente orecchiabile come Rolling Stone o Rockol. Molte volte arrivano messaggi privati sui social tipo “fate suonare questo brano a questo artista” e questa cosa ci fa sorridere e ci ricordiamo che alla fine questo lavoro si fa per il pubblico molte volte lasciato spaesato dai silenzi dei promoter.

 

5) Ci sono invece stati momenti un pochino bui durante questa attività?

Ci sono sempre momenti bui, dei periodi in cui sembra che nulla vada bene tra visite, pubblico e richieste non accettate. Poi passano e si risale pian piano. È anche il brivido di questo lavoro, fatto costantemente di alti e bassi. Poi ti ricordi che stai facendo tutto questo unicamente per la musica e vai avanti.

 

6) Com’è il rapporto con i tuoi colleghi giornalisti, con le webzine e  le testate?

Tranquillo e di stima, leggo tantissime webzine perché mi piacciono i vari approfondimenti che ognuno dei giornalisti e appassionati riesce a dare a uno specifico argomento. Penso che in ogni ambito, in particolare in quello musicale, ci sia sempre da imparare. Non è facile lavorare nella musica e ogni giorno bisogna andare a cercarsi la notizia, è un mondo molto molto settoriale, un po’ stantio e va aiutato come meglio si riesce.

 

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7) Che cosa ti auguri per il futuro?

Mi auguro che End of a Century diventi un punto di riferimento per chiunque si avvicini per la prima volta alla musica. Spero possa crescere ogni giorno di più e negli anni diventare un colosso senza mai perdere il brio e la voglia di far conoscere nuove sonorità al pubblico. Mi auguro nuove partnership per gli anni a venire per concerti e festival e che il nostro lavoro venga sempre più riconosciuto e valorizzato nella enorme giungla del web.

 

Testo: Sara Alice Ceccarelli

Foto: Silvia Consiglio

Non fate mai riflettere i Fast Animals and Slow Kids

<< Non era una di quelle persone di cui ti chiedi se è felice, quello. Lui era Novecento, e basta. Non ti veniva da pensare che c’entrasse qualcosa con la felicità, o col dolore. Sembrava al di là di tutto, sembrava intoccabile. Lui e la sua musica: il resto non contava >>

Novecento, Alessandro Baricco

Questa è un’intervista a cui tengo in modo particolare. I Fast Animals and Slow Kids sono una band che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere più approfonditamente un paio di anni fa, attraverso i loro dischi e qualche domanda che feci ad Aimone, Alessandro, Jacopo e Alessio durante il tour di Forse non è la felicità. È stato bello incontrarli, di nuovo, oggi, poco dopo la pubblicazione del loro quarto album, Animali notturni, uscito lo scorso 10 maggio. Tante curiosità ed esperienze da raccontare. Trasformazioni, come quelle che scorrono e si susseguono in Novecento, traccia che chiude il disco. Un numero che ho ricollegato, oltre al secolo, al libro omonimo di Alessandro Baricco, incentrato proprio sul profondo legame tra uomo e musica. Una ragione esistenziale, la luce inconfondibile che ho visto accendersi negli occhi di questi artisti. Li ringrazio, ancora una volta. E lascio che siano loro a dare il titolo alla nostra chiacchierata.

 

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Partiamo da Animali Notturni, il vostro ultimo album. Quali caratteristiche umane hanno questi animali? Chi sono?

Aimone: Si parla di Animali Notturni ma quello che intendiamo, chi intendiamo è la persona, l’uomo…e le caratteristiche umane principali sono due. Caratteristiche opposte ma che sono presenti, assieme, in ognuno di noi. Quindi capita che, nella stessa sera, puoi essere una persona estremamente superficiale, distaccato, che non riflette e non ragiona…anzi misragiona, cercando proprio di non utilizzare la testa e poco dopo…o il giorno dopo…una persona riflessiva, chiusa in se stessa e che non ferma mail il cervello. Alla base dell’album c’è questa idea dualistica dell’animale notturno inteso come quello che esce la sera e si spacca a merda, non ricordandosi come sia fatto…e il totale contrario…cioè quello che si ricorda bene come è fatto e anzi non si piace, si chiede cosa sta sbagliando e che cosa può migliorare.

Sulla copertina appaiono insegne al neon, in contrasto con la notte. Quale edificio o locale potrebbero illuminare?

Aimone: Pensavamo più che altro agli hotel scrausi. Hotel che hanno caratterizzato dieci anni di concerti…da quando sono diventati hotel. All’inizio non c’era niente che avesse a che fare con un hotel o motel. Già il passaggio all’insegna è stata una tappa importante: scoprire che non fossero divani o furgoni. Al di là di questo, se c’è un immaginario a cui ricollegare le insegne è proprio quello della strada, del furgone, dell’unione rafforzata anche da queste esperienze. Esistono ormai poche band in Italia con un percorso così lungo di concerti. Sono un po’ animali estinti. Abbiamo intrapreso un cammino particolare che ci ha fatto sperimentare un contatto profondo con i chilometri, con posti assurdi, persi così tanto nel nulla che ti chiedi: << Siamo ancora in Italia? >>. Molta della nostra poetica è connessa ai chilometri, alcuni pezzi sono stati scritti in tour. E il nuovo disco è ampiamente influenzato dal driving rock americano. Quei pezzi che ascolti guidando lungo le strade deserte. Sei tu, la musica e il paesaggio intorno. E magari qualche insegna.

 

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Il disco ha un respiro più “aperto” rispetto ai precedenti…

Aimone: Più aperto significa “più pop”…? È il nuovo modo del 2019 per dire pop…? (ride)

No aspetta, mi spiego…Con “aperto”, intendo un disco in cui si contemplano addirittura le parole “cuore” e “amore”, impensabili nei precedenti. Ho notato, però, una tendenza a riscoprire un sentimento o una persona dopo averne sperimentato la perdita.

Aimone: Madonna! Sono pienamente d’accordo con te. Al 100%. Ma ci conoscevamo noi prima? (ride) Quindi posso farti una domanda io ora. Invertiamoci ti prego. Ok torniamo seri. È assolutamente così. Riguardo al discorso di aperto, chiuso…All’esterno è sembrata quasi una rivoluzione. In realtà, non è cambiato un cazzo. Abbiamo sempre continuato a raccontare la quotidianità, le nostre giornate. Il musicista non è solo musicista. È una persona e vive una sua emotività.

Alessio: Quotidianità ed emotività che cambiano per fortuna, di giorno in giorno!

Aimone: Esatto. Ci sono le due anime che dicevamo prima. Vissute, spezzate in mezzo, ma sicuramente autentiche. Proprio in funzione delle rivoluzioni che accadono in questi frangenti, abbiamo pensato di togliere ogni sorta di maschera, finzione…in senso buono. Abbiamo voluto che nella nostra musica fossero evidenti gli step degli ultimi anni. Lanciare la nostra vita nella nostra musica, come sempre. Dunque questo disco si è trovato a raccontare un nuovo mondo, anche lessicale, dialettico. E lo dici “cuore”, lo dici “amore”. Cazzo. Sono parole che utilizzi davvero. Tuttavia, nel momento in cui si va a creare “arte”, c’è sempre quella stupida, infondata paura di esprimersi, di essere male interpretati. Soprattutto oggi, con tutta la merda che gira…dici “cuore”, allora sei it pop. È un attimo che sei lì dentro…e tutti in crisi con questa cosa qua. Ma il modo peggiore per reagire a un contesto che non ti piace è autocensurarsi e mettersi nella posizione della non libertà. La nostra posizione è l’opposto. Anzi ci sentiamo ancora più liberi, ancora più puri. L’apertura è massima coscienza, ecco.

 

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E quali sono gli artisti che vi hanno maggiormente ispirato anche in questa concezione musicale. Il giorno dell’uscita dell’album, sulla foto che avete pubblicato, è apparsa una dedica ai Rem e Bruce Springsteen…

Aimone: Ecco, mi ricollego al discorso di poco fa. Uno può chiedere: << Quali sono le tue ispirazioni? >>. Risposta: << Rem e Bruce Springsteen >>. Allora, cazzo, fallo davvero! Suona in quel modo! Provaci! Con qualche anno di esperienza alle spalle, abbiamo anche imparato a conoscere il suono, a studiarlo, più scientificamente quasi… Abbiamo gli strumenti per avvicinarci a quello che sogniamo. Allora proviamoci. Per una volta, davvero. Artisticamente si tende sempre a fare un passo indietro. Ma perché? Chi dice che è troppo…Poi se non mi riesce, almeno ho tentato! È matematico, magari, che non ti riuscirà: sono i Rem e Bruce Springsteen…Do vai? Però tendi a quella cosa lì e ti impegni per avvicinarti il più possibile a quello che per te è il sogno musicale.

Alessandro: Soprattutto “Do vai?” è bellissimo, Aimo (ride).

La registrazione del disco a Milano è stata influenzata da questa ricerca sul suono? Vi è mancata la casa sul Lago Trasimeno che ha visto nascere i precedenti lavori?

La registrazione del disco a Milano è dipesa anche da una componente emozionale. Abbiamo scritto e registrato tre dischi nella stessa casa, nello stesso modo. Andarci una quarta volta avrebbe avuto senso? Oggi so benissimo come cucina Alessio. So benissimo come si riduce una casa tra persone che non puliscono mai. Ma abbiamo voluto cercare nuovi stimoli. Abbiamo fatto i musicisti per avere una vita incasinata, per essere sempre un po’ nella merda. Se ti crei un orticello e coltivi soltanto quello…prima o poi finisce la fiamma, finisce la voglia di arrivare e convincere qualcuno. E decadi. Questa è una cosa da evitare. Il musicista deve stare sull’orlo del baratro, sempre e comunque. Quindi ci siamo detti: << Ok ragazzi, ci piace fare dischi così? >>. << Si ci piace. Continueremo a pensare a quel posto come il posto della nostra vita…eppure…proviamo una cosa nuova! Usciamo! >>. Sullo stesso slancio, abbiamo provato cinque produttori e siamo finiti con Matteo Cantaluppi, il produttore dei Thegiornalisti ragà! Visto così può sembrare che essendo passati sotto Warner, la stessa Warner ha imposto il produttore.

Alessio: Invece no! Siamo arrivati da loro che avevamo già fatto tutte le scelte.

Aimone: Ammetto che, in termini comunicativi, abbiamo scatenato un po’ un casino con l’unione di FASK + WARNER + MATTEO CANTALUPPI. Che cazzo è successo? Cortocircuito completo.

Alessandro: La scelta fatta ha reso semplicemente giustizia alle canzoni, così come erano state pensate.

Aimone: Ecco, l’unico obiettivo che ci siamo prefissati è la realizzazione dei nostri brani così come ce li avevamo in testa. Tendere a una pulizia sonora messa in conto già durante la scrittura del disco. Come è sempre avvenuto poi negli anni… solo che, andando avanti, i cambiamenti di etichette o di riferimento non sempre vengono compresi e non sempre si ha il tempo di spiegarli (in realtà non ce ne frega nemmeno niente di spiegarli…). A prescindere da ciò… io dico sempre che i Fask sono un po’ anomali in questo periodo storico e uno dei motivi di questa anomalia è che son dieci anni che fanno come cazzo vogliono. E con questa base è difficile spostare degli artisti dal loro punto di vista. Noi continuiamo a comporre in quattro, come a diciassette anni, alle superiori. Quindi oggi, qualsiasi interlocutore con cui ci confrontiamo trova una band molto coesa, molto granitica sia a livello di pensiero che di composizione. Tutti i passaggi e i vari step sono delle scelte che imputiamo a noi stessi, essendo molto coscienti di quello che accade e di come lo stiamo facendo accadere. Secondo la nostra prospettiva, non è cambiato mai nulla: andiamo a registrare nella maniera con cui vogliamo registrarlo, provando tanti suoni, ottenendo quello migliore e più vicino a quello che volevamo. È un processo lineare, dritto e in funzione dell’aspetto più importante: la musica.

 

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Mi ricollego alla musica… anche la musica è un po’ un animale notturno? Si sottolinea sempre un sentimento dicotomico di amore e odio rispetto ad essa. Vedi canzoni come Odio suonare o le “note che non sopporto più” di Un’altra ancora

Aimone: La musica rovina…. Aspetta, come la imposto questa. Allora… abbiamo trovato una via per definire noi stessi come persone, per sentirci meglio, per dare una risposta ai problemi esistenziali…e per crearcene una valanga dietro. La musica è qualcosa che ti prende come uno tsunami…e prende insieme a te tutto quello che hai intorno. Noi siamo diventati musica, parte di ferro del nostro furgone. In questo processo, viene coinvolto chiunque sia accanto a noi. Le relazioni, le amicizie, gli amori sono completamente devastati dallo tsunami musicale che ci ha mangiato dentro. Quindi, alcune mattine, ti alzi e pensi: << Stiamo sbagliando qualcosa? C’è davvero solo la musica e un concerto è più importante della tua stessa salute? >>. La risposta gira sempre attorno al fatto che la soddisfazione che ti dà la musica non arriverà mai da nient’altro…ma allo stesso tempo è impossibile non percepire l’energia che prosciuga. Nella musica dai te stesso, ti stai spiegando e stai anche cercando di convincere gli altri con le tue opinioni. È più vicino alla politica… un politico fallito che vuole trovare il suo spazio nel mondo…e urla e parla e canta e sgomita… C’è un sottofondo drammatico, ecco. E non molto normale…perché non è normale che un essere umano si metta lì a suonare, a farsi vedere, a farsi notare…. non è normale! C’è qualcosa che non funziona (ride). Per me, ogni concerto, è un po’ come chiedere a una ragazza: << Ti vuoi mettere con me? >>. Metti in campo tutto te stesso.

In Hybris cantavate Combattere per l’incertezza, in Alaska vi chiedevate Come reagire al presente, ora a chiudere il disco c’è Novecento con il suo sguardo fiducioso e con il suo brindisi al futuro. Quali sono state le tappe di questo cammino? O è stata più una svolta?

Aimone: Io credo che sia più una speranza, ragazzi (ride). Ci ho provato dai. Lasciatemi stare, fatemi sperare. Riflettiamo così tanto sulle nostre esistenze che forse, a un certo punto, anche una botta di ottimismo ci vuole. Quella canzone parla di cambiamenti coscienziosi, basati su una serie di ragionamenti precedenti. Non stravolgimenti. Trasformazioni in base all’età. Io ho trentuno anni…Ognuno di noi sta vivendo un passaggio da una vita musicale ad un’altra, dall’incoscienza alla coscienza di suonare solo per suonare. Sapere che non c’è futuro in questo, è una via senza futuro. Mia nonna diceva: << Se la cima è aguzza, il culo non ce lo posi >>. Io ci credo. Quindi, quel brano è un’esortazione a non vedere tutto questo come un qualcosa che svanirà e basta…ma come un arricchimento che porterà a un altro passaggio, a nuove fasi, diverse ma non per forza negative. Il brindisi al futuro è davvero un invito a continuare così, perché in termini emotivi stiamo facendo la cosa giusta, stiamo assecondando noi stessi e stiamo esaudendo il sogno che avevamo da bambini. Quella frase tipo: << Voglio fare l’astronauta >>. E poi lo fai.

Ultima domanda. Ad oggi, qual è il demone che vi fa più compagnia e qual è il demone che vi spaventa di più?

Aimone: Ah questa è personale…iniziate voi dai…

Alessio: Il demone del fallimento credo…

Aimone: Ma che demone è… quello lo devi accogliere…io ho già una stanza preparata per quello (ride)! Io, ad esempio, ho paura del demone di diventare un essere senz’anima. Di iniziare a vivere la musica come un lavoro, lontana da me stesso. Vale lo stesso per i rapporti…viverli in funzione di… di una posizione sociale, del potere, dei soldi. Questa è una paura che ho da sempre, di perdere l’umanità. Il mio vero demone è il timore di diventare io il demone senza cuore.

Alessio: Wow! Questa è pesante… Il demone Aimone!

Aimone: Ho una band scema!

Jacopo: L’altro giorno, mentre portavo mia figlia all’asilo, ho pensato alla morte. Mi è balenato in testa: << Se oggi morissi, mia figlia non mi ricorderebbe >>. La persona più importante della mia vita, non mi ricorderebbe. Questo mi fa davvero paura.

Aimone: La chiusura del cerchio con la morte. Evviva! Queste sono le riflessioni della nostra band. E la morale è: << NON FATE MAI RIFLETTERE I FASK >>. Deve essere questo il titolo dell’intervista. Più domande sul perché ci chiamiamo così. Per quanto riguarda le domande esistenziali…Beh lì, apri una porta verso l’inferno.

 

Intervista a cura di Laura Faccenda

Foto: Luca Ortolani

 

Grazie a Ma9 Promotion

 

 

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